Via Roma (u Carvariu)

Mi sono ritrovato nella casella di posta elettronica una email che mi ha molto gratificato. Mi ha scritto Cosimo Oliverio, un nostro concittadino (che non conosco personalmente) emigrato in Germania a quattordici anni, nel 1969. Poche righe per ringraziarmi e per dirmi che aspetta “sempre con ansia” qualche articolo su “Sant’Eufemia D’Aspromonte e dintorni”: “Quando leggo il suo blog mi sembra di essere di nuovo ragazzino e correre per le vie del paese vecchio. Abitavo a Via Roma e a via Telesio”.

Gli attestati di stima fanno sempre piacere, soprattutto quando sono inaspettati ed espressi con la semplicità di chi quasi chiede comprensione perché, “dopo 44 anni di emigrazione”, ha “dimenticato purtroppo la nostra bella lingua”. In questo caso, ciò che conta sono i sentimenti, non la perfezione stilistica delle frasi.

Complimenti del genere danno davvero un senso alle cose che scrivo. E quindi sono io a sentirmi in dovere di ringraziare il signor Oliverio e, con lui, tutti gli amici che vivono fuori Sant’Eufemia.
Riporto dal mio libro Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte (p. 136) un brano della voce “via Roma”, donandolo idealmente al signor Oliverio, che là ha trascorso la sua infanzia:

“Via Roma è anche conosciuta come “Il Calvario”, per via del monumento raffigurante la scena delle tre croci collocato quasi in cima alla ripidissima salita che dal Vecchio Abitato porta al Petto. Dalla relazione dell’ingegnere Gaetano Oliverio, autore nel 1846 del progetto originale su incarico dell’allora sindaco Paolo Capoferro, si apprende che un’opera simile, preesistente, era andata distrutta nel corso degli anni […]”.

Al numero uno della via, in alto, si trovava la residenza di Michele Fimmanò, uno degli amministratori più longevi e influenti della storia comunale. Ma altre famiglie eufemiesi importanti avevano in via Roma le proprie dimore, ridotte oggi a ruderi irriconoscibili. Come Palazzo Greco, in origine proprietà dei Capoferro che Rosaria portò in dote a Saverio Greco e che fu ereditato dal figlio Domenico, nato a Delianuova e podestà di Sant’Eufemia nella metà degli anni Trenta, prima di essere assassinato il 19 settembre 1936.

A questa strada, che collega il “Paese Vecchio” con il rione “Petto”, sorto dopo il terremoto del 1783, il poeta Domenico Cutrì (al quale è intitolata la biblioteca comunale) ha dedicato due poesie, la prima in lingua dialettale.

“Lu Carvariu” è contenuta nella raccolta Cascami (1965):

Quantu voti passandu di sta via
m’indinucchiai vicinu a stu carvariu
sgranandu cu la menti nu rusariu
’nsuffraggiu di la morta mamma mia.

E mentri ch’iu pregava cu fervuri,

ogni divotu chi di ccà passava

cu fidi na candila ci ddumava

sutta li pedi di nostru Signuri.

St’artari misu ’mmenzu a ddù paisi

d’ogni fidili canusci li peni,

pari ca dici: «vulitivi beni

senz’odiu, senza chianti, ma surrisi».

O vecchiaredda cu la testa janca

chi ’nchiani pe la strata purvirusa,

avvicinati, o matri dulurusa,

dammi la manu si ti senti stanca…

… e quandu simu ni lu crucivia

ogn’unu pigghia pe lu so’ caminu,

s’abbrazza lu so’ pallidu Destinu,

lu bagagghiu pisanti e… Cusì sia!

“Sulla strada del Calvario” è invece tratta da L’eterno sentire (1974):

Lasciatemi salire,

arrancare ancora una volta

per questa pietraia.

Lasciatemi baciare ancora

la croce arrugginita
dell’icona.

Sarà l’ultima volta.

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