La due giorni di storia, organizzata insieme all’Associazione culturale Aspromonte e all’amministrazione comunale, è stata tanto intensa quanto divertente. Alla fine della presentazione dell’ultimo pannello illustrativo, non sono riuscito a trovare un aggettivo più appropriato per descrivere il mio stato d’animo. Mi sono davvero divertito tanto. Un mio amico, da ex docente, mi ha fatto notare che non c’è niente di più bello che avere davanti gente che ti ascolta. Probabilmente questa chiave interpretativa è veritiera. La presentazione del libro “Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea” nel vialone della pineta comunale mi ha dato la possibilità di approfondire aspetti della storia del nostro paese che in altre occasioni, per ragioni di tempo, non avevo potuto affrontare. Dal tavolo dei relatori, il colpo d’occhio era suggestivo per la presenza di un pubblico composto in particolare da eufemiesi emigrati, per i quali l’iniziativa era stata pensata. Ho trovato azzeccatissima la formula “domanda e risposta” con la moderatrice Monia Sangermano, perché ha facilitato la mia esposizione e contribuito a mantenere sempre alta l’attenzione dei partecipanti. La “passeggiata storica” è stata una piacevole sorpresa. Dalla “Nucarabella” alla pineta comunale, i partecipanti hanno affrontato un autentico viaggio nel tempo, non a caso iniziato nel “Paese Vecchio” e concluso nel rione “Pezzagrande”, dopo avere attraversato il “Petto”. Il percorso che si è snodato lungo le vie del paese ci ha consentito di attraversare due secoli di storia e di soffermarci, nei nove punti di installazione dei cartelli illustrativi, sugli avvenimenti e sui personaggi che hanno fatto la storia di Sant’Eufemia. Una sorta di “museo all’aperto”, che offre una prospettiva inedita di racconto e potrebbe rivelarsi – questo è il mio auspicio – uno strumento di divulgazione efficace in chiave didattica. Ringrazio gli organizzatori e coloro che hanno aderito alle due iniziative, perché mi hanno dato l’opportunità di parlare della materia che più amo, nel posto che più amo.
Tra le iniziative della ricca programmazione estiva approntata dall’Associazione culturale “Aspromonte”, in collaborazione con l’amministrazione comunale, due mi vedranno direttamente coinvolto. Il primo appuntamento si svolgerà l’8 agosto alle ore 19:00 presso la pineta comunale. Presenteremo il libro Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società, biografie, in un incontro che sarà moderato dalla giornalista Monia Sangermano. Abbiamo ritenuto opportuna questa presentazione, a due mesi e mezzo dal “Maggio dei libri” organizzato dall’Associazione “Terzo Millennio”, per dare la possibilità di partecipare, porre domande o soltanto esporre considerazioni ai tanti emigrati che fanno ritorno in paese durante l’estate. Ma anche per consentire di presenziare a coloro che a maggio avrebbero voluto intervenire, ma non hanno potuto oppure non hanno avuto il tempo per esporre la propria domanda perché il dibattito si era piacevolmente protratto più di quanto avessimo previsto. Il giorno dopo, 9 agosto, alle ore 19:00 si terrà invece una “passeggiata storica”, con partenza dalla fontana Nucarabella e arrivo alla pineta comunale. Lungo il tragitto scopriremo nove installazioni illustrative, realizzate graficamente dalla “Graphic Design” di Tina Sobrio, che ripercorrono le biografie e gli avvenimenti storici suggeriti dal percorso stesso: Nucarabella, Carmelo Tripodi, Calvario, Carlo Muscari, Giacomo Chiuminatto, Vittorio Visalli, Michele Fimmanò e Croce Verde, Chiesa Sant’Ambrogio e terremoto del 1908, maggiore Luigi Cutrì. Ringrazio l’Associazione culturale “Aspromonte” e l’amministrazione comunale, per la sensibilità dimostrata nei confronti di una materia tanto preziosa quanto bistrattata. Per me si tratta di un riconoscimento molto gratificante, perché valorizza le ricerche che in questi anni ho dedicato alla storia del nostro paese. E mi incoraggia a proseguire negli studi sulla ricostruzione dell’identità eufemiese e nella ricerca di quelle radici che tengono insieme tutti noi, come un filo ideale che lega passato, presente e futuro.
In Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società biografie ho dedicato a Domenico Occhiuto Laudi il paragrafo “Lettere a Mimì Occhilaudi” (pp. 91-96), incentrato sulle lettere ricevute dal paese e dal fratello Francesco, che si trovava al fronte, nel periodo della prima guerra mondiale. Anche Mimì, che era stato riformato, fu richiamato e dichiarato abile a svolgere i servizi sedentari, per cui – a differenza del fratello – non partecipò ad azioni di guerra. Il brano riportato è alle pagine 91-92:
Uno dei rari ritratti esistenti di Domenico Giovanni Occhiuto, sguardo intenso e capelli indomabili, ci consegna l’immagine di un uomo tormentato da demoni silenziosi, come il ragazzo spartano richiamato da Edgar Lee Masters nei versi dedicati a “Dorcas Gustine” (Antologia di Spoon River), che “nascose il lupo sotto il mantello/ e si lasciò divorare, senza un lamento”. Figlio di Fortunato e Carmela Laudi, egli nacque il 24 giugno 1894 a Sant’Eufemia d’Aspromonte ed elesse la solitudine a compagna di vita e musa ispiratrice. Secondo quanto ricordato da Giuseppe Pentimalli sulla rivista “Incontri”, per lunghi anni Occhiuto visse in uno stato di indigenza: «Viveva di elemosine, nel senso che di tanto in tanto le persone più abbienti del paese lo invitavano a pranzo, vuoi per pietà vuoi per la curiosità di conoscere meglio questo tipo estroso». Un minimo di aiuto lo riceveva anche dal Comune, per il quale svolse compiti di archivista e copista degli atti amministrativi finché non fu assunto come impiegato, nel 1940. Solitario e taciturno, Occhiuto fu autodidatta e scrisse essenzialmente per sé stesso: della sua produzione, nel 1968 ha avuto pubblicazione la selezione di liriche Polvere senza pace. Il rogo, la cenere, il vento. Un anno dopo, egli moriva a Reggio Calabria (2 novembre 1969). Pochissimi gli altri componimenti dei quali, fino a poco tempo fa, si aveva notizia. Il carme Ave, Saturnia Tellus, stampato dalla Tipografia “C. Zappone” di Palmi nel 1933 con due titoli (il secondo: Saluto alla terra rifiorente), in piena epoca fascista salda il tema poetico della rinascita della natura con quello politico della rinascita della nazione. D’altronde, anche in un coevo manoscritto inedito, Occhiuto esalta il mito del primato italiano, che trova occasione di propaganda nell’impresa transoceanica di Italo Balbo (Per la crociera atlantica del Decennale. Ai trasvolatori degli oceani). Un altro inedito richiama invece la tradizione della satira di costume (Galleria degli uomini illustri del mio paese. Primo profilo della serie) e doveva essere parte di un progetto incompiuto, o comunque andato disperso, con il quale “u poeta” si proponeva di mettere alla berlina i personaggi più in vista della comunità eufemiese. Tuttavia, la cifra autentica della poesia di Mimì Occhilaudi, come amava firmarsi saldando i cognomi dei genitori, è dolore cupo e lancinante, strappato dalle viscere con un atto liberatorio che diventa sfiatatoio e terapia. Polvere senza pace raccoglie 44 componimenti, più due parti del poema Per un granello di sabbia, rimasto incompiuto. In particolare Episodio della morte di Cristo (l’altra è Episodio della eruzione del Vesuvio e della distruzione di Ercolano e Pompei) assurge a paradigma dell’umana sofferenza: «e ciascuno risale un suo calvario/ per esser solo sul più alto vertice/ a illuminarsi col proprio dolore/ e riscattarsi solo con la morte,/ sì che ciascuno in lui si riconosca». In liriche come Attesa e La serie dei tramonti la poetica dell’autore si manifesta compiutamente come capacità di tradurre solitudine e silenzi in versi che, nella poesia L’ospite, raggiungono il diapason della disperazione: «Nessuno m’attende la sera/ – tra luce e penombra – vegliando/ le care cose sparse per la stanza./ Quand’io rincaso deluso,/ triste che quasi m’avvinghio alla morte,/ nessuno m’accoglie./ Sopra la soglia, nella fredda notte/ viva, nel fitto buio/ di un infinito brulichio di stelle/ e del cantare di lontane acque,/ mi si richiude alle incurvate spalle/ con secco schianto/ la porta/ coperchio di bara».
Quella di giovedì 8 giugno, a partire dalle ore 21:00, sarà la mia prima diretta Facebook. Non è mai troppo tardi, anche perché ritengo molto gratificante la possibilità di parlare dei miei studi sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte con la comunità di eufemiesi sparsi in tutta Italia e all’estero. Per questo ringrazio gli amici dell’Associazione culturale “Aspromonte” e il suo presidente Massimo Rositano, da anni impegnati in una meritoria opera di rafforzamento del filo ideale che lega alla propria terra d’origine la Sant’Eufemia più vasta, sparsa oltre i confini regionali. Converseremo senza alcuna pretesa professorale. Il mio libro servirà da guida alla discussione, che è aperta al contributo di tutti coloro che, a Sant’Eufemia o fuori da Sant’Eufemia, coltivano la passione per la storia del nostro paese. A quest’ultima mi sono dedicato a partire dal 2008, con gli articoli sul blog e con le pubblicazioni: Sant’Eufemia d’Aspromonte. Politica e amministrazione nei documenti dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria. 1861-1922 (2008); Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte (2013); Sant’Eufemia d’Aspromonte e la Grande Guerra (2018); Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società, biografie (2021). Il senso del mio ultimo lavoro sta proprio nella necessità di dare organicità e sintesi in un unico volume a tre lustri di ricerche dedicate alla ricostruzione di particolari eventi storici (terremoti del 1783, 1894, 1908; Risorgimento, Prima guerra mondiale), alla “fotografia” del mondo – oggi lontanissimo – dei nostri nonni e dei nostri genitori, alla stesura delle biografie degli eufemiesi più eminenti. Altri protagonisti cittadini sarebbero stati meritevoli di un medaglione biografico e altro ci sarebbe da scrivere sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma purtroppo l’attività di ricerca si scontra con difficoltà oggettive e al momento di non facile superamento. Può darsi che in futuro ci sarà la possibilità di ampliare il raggio della ricerca storica su Sant’Eufemia. E magari ci saranno giovani che porteranno avanti un lavoro fondamentale per rinvigorire il sentimento della nostra identità. Questo è il mio auspicio.
Ci tengo a ringraziare i tantissimi che ieri sono stati al municipio per l’iniziativa “Primavera di libri”, organizzata dall’Associazione “Terzo Millennio”. L’incontro ha dato a noi relatori la possibilità di parlare dei nostri libri, e questo è scontato. Ciò che non lo era è stata la partecipazione attiva del pubblico. In circostanze simili, spesso si ha ritrosia nel prendere il microfono. Non è stato così. Ne è scaturito un dibattito interessante, moderato da Maria Luppino, che partendo dai libri ha spaziato sulle tematiche più svariate ma evidentemente molto sentite nella nostra comunità. Lo stimolo fornito dalla presenza di due autorevoli scrittori e intellettuali come Gioacchino Criaco e Mimmo Gangemi, che presentavano rispettivamente Il custode delle parole e L’atomo inquieto, è stato indubbiamente decisivo. Ed è stato bello constatare come dopo tre ore nessuno fosse stanco e, anzi, avrebbe voluto continuare ad ascoltare e ad intervenire, tanto che alla fine il presidente Francesco Luppino ha dovuto “imporre” d’autorità la chiusura dell’incontro. Ha ragione Gioacchino Criaco: «I calabresi non devono essere parlati ma devono parlare e parlarsi». Io stesso avevo ancora molto da dire, ma spero che possano esserci in futuro altre occasioni per condividere il mio amore per la storia di Sant’Eufemia, la nostra storia.
Come nel fortunato programma televisivo Viva Rai2!, a Sant’Eufemia “è arrivata una buona notizia”, solo che a differenza di ciò che accade ogni mattina nel glass di via Asiago 10, a Roma, con gli scanzonati Fiorello, Biggio e Casciari, nessuno l’ha comunicata. Un articolo di giornale, un comunicato, un post sui canali social istituzionali o personali. Niente di niente. A mio parere, invece, si dovrebbe dare rilievo alle notizie positive per una comunità, se non altro per tentare di pareggiare quelle negative, che sicuramente ci sono e non hanno problemi di visibilità e di diffusione. La buona notizia è che circa una settimana fa la Regione Calabria ha pubblicato la graduatoria dell’avviso pubblico “Misure di sostegno per Biblioteche e Archivi storici pubblici”, al quale il nostro comune ha aderito per la Macro Area 1 – Tipologia A (Biblioteche di Ente pubblico locale e statale) con il progetto “B.A.N.G.! – Biblioteca Aspromonte Nuove Generazioni”, che ha ottenuto il contributo massimo concedibile: 60.000 euro. Tra i 61 (su 157) progetti finanziati dalla Regione, quello presentato dall’amministrazione di Sant’Eufemia, con 89 punti, si è infatti posizionato al ventiduesimo posto, a pari merito con altri cinque comuni. Il progetto del nostro comune, che si concluderà ad ottobre, presenta aspetti interessanti: la previsione di attività (di intrattenimento, itineranti) volte ad incrementare l’attrattività della biblioteca, ma anche la valorizzazione delle tradizioni e della storia locali e il miglioramento degli standard di qualità dei servizi bibliotecari in termini di accessibilità, formazione del personale, servizi personalizzati e raccolta di materiali specifici per soggetti fragili (audiolibri, libri in Braille, DVD, riviste in formato digitale). Sono previste attività di catalogazione e di digitalizzazione delle risorse documentarie disponibili, la sistemazione di spazi specifici e attrezzati per lo svolgimento di varie attività; l’istituzione del fondo per il prestito digitale; l’allestimento della sezione di materiali in lingua straniera e quella di testi per persone con deficit sensoriali; la creazione e lo sviluppo della rete di comunità narrative; attività di intrattenimento e programmi di lettura; stage laboratoriali di teatro sociale; incontri-dibattito, programmi di alfabetizzazione e corsi di scrittura curati dalle associazioni partner. Il settore della cultura è storicamente il parente povero, bistrattato dalle amministrazioni di ogni livello quando si decide la ripartizione dei fondi pubblici. Pertanto dovrebbe costituire ragione di soddisfazione, meritevole di divulgazione, la notizia che riguarda l’assegnazione di un finanziamento specifico.
“Primavera di Libri”, una delle iniziative più qualificanti dell’Associazione Terzo Millennio, torna dopo la pausa degli ultimi anni. Mi fa molto piacere ed è per me motivo di orgoglio parteciparvi da protagonista insieme a Gioacchino Criaco e Mimmo Gangemi, due giganti della letteratura contemporanea, acuti intellettuali e difensori della Calabria, che sanno leggere la realtà oltre le etichette e gli stereotipi della vulgata dominante. L’appuntamento è per domenica 28 maggio, a partire dalle ore 17:00, presso la sala del consiglio comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Gli interventi, sollecitati dalle domande del pubblico, saranno intervallati dall’esecuzione di brani a cura della banda musicale “Thàleia”.
Immagine tratta dal sito: www.centrostudibeppefenoglio.it
Come spesso succede in Italia dopo una tragedia, alla diffusione della notizia del terremoto che il 28 dicembre 1908 aveva raso al suolo Reggio e Messina, si mise immediatamente in moto la macchina degli aiuti. Ovunque sorsero comitati di soccorso per la raccolta di beni di prima necessità e, da tutta la Penisola, sui luoghi del disastro accorsero volontari che per giorni interi scavarono anche a mani nude per trarre in salvo chi era rimasto intrappolato sotto le macerie, per estrarre i cadaveri, per puntellare le abitazioni non completamente crollate. Nei comitati massiccia fu la presenza della nobiltà lombarda, piemontese e toscana. Già il 4 gennaio 1909, il “Corriere della Sera” informava che la signora Giulia Baglia-Bambergi, presidentessa dell’Assistenza pubblica milanese, la contessina Giulia Melzi d’Eril e la contessa Emilia Giulini Airoldi, avevano rivolto un appello alle dame milanesi, affinché cooperassero alla preparazione di biancheria e alla confezione di indumenti da recapitare nel centro di raccolta allestito presso l’Istituto pedagogico forense (il riformatorio) di via Bellini a Milano. La contessa Carla Visconti di Modrone (madre del futuro regista Luchino Visconti) aveva invece messo a disposizione villa Librera, nella Bovisa, per l’eventuale ricovero dei feriti. Nelle zone terremotate la situazione era drammatica e la tensione sempre pronta ad esplodere, tanto che gli stessi soccorritori dovettero imporsi con le cattive per ottenere la collaborazione della popolazione, timorosa che la presenza di cadaveri sotto le rovine delle case potesse scatenare un’epidemia. Una corrispondenza da Sant’Eufemia ne dava notizia sul “Corriere della Sera”, il 6 gennaio 1909: «Sono ritornato stamane a Sant’Eufemia. Il disseppellimento dei cadaveri, che è assai faticoso, continua fra l’enorme cumulo di macerie su cui la squadra milanese fa continue disinfezioni. Purtroppo, però, i morti giacciono per ore e ore, perché nessuno vuole prestarsi a trasportarli al cimitero. Non bastano gli incitamenti del Comitato, non l’esempio: bisognerebbe ricorrere alla violenza. Oggi l’ing. Zanetti di Milano dovette puntare la rivoltella su un individuo che si rifiutava di aiutarlo nel trasporto di un cadavere. E l’atto energico ebbe benefici effetti. Ma si può fare sempre così? All’ospedale mancano i mezzi, le materasse e i cuscini, e i poveri feriti sono sul duro suolo. La volenterosa squadra milanese, malgrado i gravi disagi a cui va incontro, lavora indefessamente alle demolizioni, disinfezioni e dissotterramenti. Stanotte i bravi giovani, che sono semplicemente attendati senza paglia e senza coperte per le difficoltà del trasporto, non hanno potuto a lungo stare sul suolo, perché gelava e hanno dovuto passare la notte all’aperto, davanti ad un gran fuoco». Nello stesso articolo, il giornalista evidenziava però anche la grandezza di una nobildonna accorsa in paese insieme ai nipoti, la marchesa Adele Alfieri di Sostegno: «Un’opera che conforta assai ed è da additare a tutte le dame italiane, è quella della marchesa Alfieri di Sostegno, la quale, dalle prime ore del giorno fino ad ora avanzata, è nella tenda di medicazione fra i medici a curare i feriti. Oggi la Regina Madre le ha telegrafato, elogiandola per l’opera sua altamente filantropica e comunicandole l’invio di due suore ai suoi ordini. La marchesa Alfieri ha, dal canto suo, rivolta preghiera alla Principessa Letizia [figlia di Giuseppe Carlo Bonaparte e Maria Clotilde di Savoia, primogenita del primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II] perché le mandi una automobile per poter spiegare più facilmente la sua attività». Ma chi era Adele Alfieri di Sostegno? Figlia di Carlo Alfieri di Sostegno e Giuseppina Benso di Cavour, per parte materna era nipote di Gustavo, fratello dello statista Camillo Benso di Cavour; il padre era invece Cesare Alfieri di Sostegno, primo ministro, presidente del Senato del regno di Sardegna e, dopo l’unificazione, senatore del regno d’Italia; nonché cugino di Vittorio Alfieri. Potendo contare sull’eredità di un vasto patrimonio, Adele e la sorella Luisa, moglie del più volte ministro degli esteri marchese Emilio Visconti Venosta, furono molto attive nel campo della beneficienza. Adele istituì in Italia e all’estero scuole materne, scuole elementari, laboratori femminili di cucito e promosse la raccolta di fondi per gli emigrati all’estero. Coltivò inoltre con il grande meridionalista Pasquale Villari un rapporto “profondo e duraturo”, secondo quanto documentato dalla sua biografa Giustina Manica. Alla base del suo impegno in favore delle popolazioni del Mezzogiorno vi fu certamente l’interesse per la “questione meridionale”. In occasione del terremoto del 1905 aveva accolto nell’asilo di Santena (Torino) due orfanelle del catanzarese. Dopo quello del 1908 si recò in Calabria, accompagnata dai nipoti Enrico e Giovannino. Il vescovo di Mileto, Giuseppe Morabito, che secondo la testimonianza del medico eufemiese Bruno Gioffrè fu il primo ad arrivare a Sant’Eufemia («Solo il primo gennaio del 1909, Capodanno tristissimo, si vide la prima faccia umana, e fu il Vescovo della Diocesi, Monsignor Morabito, con un carro di viveri e con parole di soave conforto»), in un telegramma alla sorella Luisa elogiò l’operato dei figli (“impareggiabili, lavorano con generoso ed esemplare slancio”) e sottolineò che Adele era “ammirata da tutti”. Encomio ribadito anche dal colonnello Rostagno, comandante del reggimento dei granatieri di Sardegna: «Ella fu superiore a qualsiasi elogio e parole nostre di riconoscenza non gioverebbero mai a sostituire quelli che mille infermi rivolgono alla Gentile Signora, per l’opera buona umana e generosa da essa prestata». La ricerca storica ha un aspetto etico, che consiste nel fare giustizia dell’oblio immeritato riservato a personaggi eccezionali. L’azione umanitaria in favore della popolazione terremotata assegna alla marchesa Adele Alfieri di Sostegno un posto di rilievo nella storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Bibliografia: *Domenico Forgione: Sant’Eufemia nell’età contemporanea. Storia, società, biografie, Il Rifugio Editore, Reggio Calabria 2021. *Giustina Manica, Adele Alfieri di Sostegno: profilo di una nobildonna, in “Rassegna storica toscana”, numero speciale “Elementi di studio dell’identità femminile fra Ottocento e Novecento”, luglio-dicembre 2016 (anno LXII – n. 2), pp. 245-258. Le parole di elogio del vescovo Morabito e del colonnello Rostagno sono a pagina 254. *Bruno Gioffré, Quarant’anni in condotta, Tipografia Ugo Quintily, Roma 1941.
Corriere della Sera, 6 gennaio 1909Monsignor Morabito a Sant’Eufemia d’Aspromonte. Benedizione dei defunti
Il terremoto del 1908 fu il primo avvenimento “mediatico” nella storia italiana. In riva allo Stretto arrivarono gli inviati dei quotidiani più diffusi, con al seguito i fotografi. Le immagini pubblicate sui giornali consentirono alle popolazioni delle province più lontane di “vedere” la devastazione, i morti, i feriti e l’opera dei soccorritori, contribuendo così anche al consolidamento dello spirito nazionale. Nel mio ultimo lavoro sulla storia di Sant’Eufemia ho riportato la relazione dell’ingegnere Antonio Pellegrini sull’attività del comitato lombardo di soccorso, insieme a quelle preparate dalla Croce Rossa Italiana e dalla Croce Verde (Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea, Il Rifugio Editore, 2021, pp. 60-66). Il contributo della Croce Verde fu enorme, tanto che alla benemerita associazione il nostro comune aveva dedicato una via del paese, la cui denominazione fu imperdonabilmente cambiata dopo la seconda guerra mondiale. E prima o poi bisognerebbe intervenire sulla censurabile abitudine di cancellare, con un tratto di penna, fatti e personaggi rilevanti nella storia di una comunità: quando basterebbe una targhetta (“già via…”) per salvare la memoria storica del posto in cui si vive. Quando scrissi il libro non possedevo alcuni articoli del “Corriere della Sera” (pubblicati tra il 30 dicembre 1908 e il 13 marzo 1909), nei quali si fa riferimento a Sant’Eufemia d’Aspromonte e all’opera dei soccorritori. Documenti straordinari, che ho potuto visionare grazie alla generosità di Alberto Minissi, volontario e cultore della storia della Croce Verde. Di particolare importanza è il reportage di A. Jannoni, pubblicato il 5 gennaio 1909 con il drammatico titolo “L’agonia dei sepolti vivi a Sant’Eufemia”. Lo riporto integralmente, per il suo alto valore storiografico e umano:
«Mentre nell’accampamento dei soldati del 20° fanteria regna grave il silenzio, un sibilo forte, e poi uno scuotimento come di un treno che passasse vicinissimo, ci sveglia di soprassalto. Tutti siamo in piedi, in preda al panico: la gente raccolta nelle vicine baracche grida terrorizzata. La scossa è stata fortissima: ma la stanchezza è tanta che torniamo a dormire. Per tempo stamane ho ripreso il mio giro, inoltrandomi nella parte più alta del paese: le stesse rovine, le vie scomparse, macerie da per tutto. Solo in via Cremona due case resistono ancora, apparentemente in buono stato; ma all’interno tutto è precipitato: in una di esse abitavano due famiglie di dodici persone ciascuna, e tutti si salvarono da un balcone. In piazza Cavallotti è ancora sulla via la carogna di un mulo, col basto, e un carico di barili di vino sfasciati. Ieri l’altro era stato estratto lì presso il padrone, un contadino sconosciuto. Costui si recava a un paese vicino per vendere del vino; ma giunto colà, sorpreso dal crollo di una casa, restò sepolto. Nella stessa via mi si mostra una casa da cui ieri soltanto fu estratto il cadavere di un certo Tommaso Anastasio, che, sorpreso dal terremoto mentre scendeva le scale, restò con la mano afferrato alla ringhiera. Caduti il giorno dopo, per le successive scosse, un muro e le macerie che ricoprivano il cadavere, questo, irrigidito, restò nella stessa posizione per tre giorni; e tutti si recavano a vederlo. Molti dei sepolti vivi sopravvissero per vari giorni; poi, per mancanza di soccorsi, morirono. Così Giuseppe Passalacqua, ebanista, che rimase sotto le macerie per quattro giorni, con la moglie e quattro figli già cadaveri, fino a venerdì, poté implorare aiuto; ma la sera di quello stesso giorno, per l’enorme cumulo di materiali, morì. Vicino, era Francesco Tripodi con la moglie e sette figli; chiamò aiuto per tre giorni, ma quando s’iniziarono i lavori per il dissotterramento, era già cadavere. Furono salvati tre figli suoi, ma uno è in pericolo di morte. Dalla barella su cui giace, grida agitandosi: «Ecco il terremoto! Salvatevi!». Dalle rovine dell’albergo “Aspromonte” furono estratti in due giorni consecutivi i cadaveri di Antonio Militano, proprietario dell’albergo e quelli del padre suo, della madre, di due zie e di tre figliuoli: mancavano ancora la moglie e un bambino lattante di 9 mesi. Ieri si continuò il lavoro, e si rinvenne alfine il cadavere della povera donna che faceva col suo corpo ponte al figlioletto. Questo era ancor vivo dopo cinque giorni: e fu da alcuni pietosi congiunti raccolto e trasportato a Sinopoli. Dopo quattro giorni sono stati estratti ancora vivi dalle macerie anche certa Maria Cassone con il bambino incolume, che era avvinto al cadavere del padre. Appena estratto, il bimbo cominciò a scherzare. Maria Ascrizzi abitava in via Telesio, in un punto dove si sviluppò l’incendio. Ella udiva le grida strazianti dei feriti e la puzza d’arso, e attendeva la morte rassegnata. Passarono così tre giorni, senza che le venisse dato alcun aiuto; poiché ormai disperava e le sue sofferenze erano enormi, pensò di abbreviarle appiccando il fuoco a poche schegge di legno raccolte con alcuni fiammiferi che aveva in tasca. Stava già per mettere in atto il suo disegno, quando intese dei colpi ripetuti ad un muro vicino. Sperò allora, e gridò: e l’indomani fu salvata. Sta bene relativamente e chiede da mangiare. Due impiegati comunali perdettero la vita in circostanze orribili e quasi identiche. Giuseppe Melardi, segretario-capo, abitava in via Roma. Precipitato nel baratro, gli rimase fuori un braccio, e con voce flebile chiedeva aiuto, mentre agitava nell’aria la mano di tanto in tanto, quasi a mostrare che era ancora vivo. Il fratello Antonio, professore di ginnasio a Monteleone, e che era qui in licenza, uscito sano dalle macerie, accorse subito per tentare il salvataggio; ma l’impresa era impossibile, ed allora egli si diede a confortare il sepolto, standogli vicino. Gli gridava a breve intervallo: «Coraggio! Coraggio!». Fino a che non vide rinserrarsi quella mano per non più riaprirsi. E il povero superstite, senza attendere altro, si allontanò dal paese. Gaetano Zagari era vicesegretario e corrispondente del Giornale d’Italia. Abitava con la vecchia madre, di cui era il sostegno. Travolti tutti e due, la madre si salvò ed è ora impazzita. Il povero giovane restò con ambe le braccia di fuori, e agitò per un paio d’ore le mani per dar segno di vita. Molti tentarono il salvataggio assai difficile: ma quando videro che le mani non si agitarono più, si allontanarono. Allora la povera madre, che sino a quel momento aveva pianto, cessò dal versar lacrime, e accollatasi presso le braccia inerti, si mise a ricoprire di baci. La fine di Rocco Occhiuto è stata anche più straziante. Rimosso il materiale che gli era intorno, uscì fuori con la testa intrisa di fango: e poiché egli era ancora vivo, furono intensificati dai parenti i lavori di dissotterramento. A poco a poco riuscì a metter fuori le spalle, il petto, le braccia: nella caduta egli era rimasto in piedi. Ma ogni sforzo per liberarlo dall’enorme massa di rottami che lo teneva fortemente stretto fu inutile: e il disgraziato, mentre urlava cercando di districarsi, dava intanto precise indicazioni sul posto ove doveva trovarsi un suo figliuolo. Difatti, a pochi metri di distanza, questi veniva salvato e il povero Occhiuto veniva abbandonato al suo destino, dopo aver avuto la cura – per sottrarlo alla furia della pioggia – di innalzare sul suo capo, su due listelle di legno, un riparo di tavole. Egli sopravvisse in simile difficile posizione per oltre due ore dopo lo scavo, ossia fin verso sera… Per i soccorsi ai superstiti provvede qui il Comitato di Milano. Stamane sono qui tornati il maggiore Bassi e l’ing. Stucchi per rifornire l’attendamento».
“Curacaro”, traduzione dell’inglese caregiver (“colui che si prende cura”) è un neologismo introdotto nella lingua italiana dallo scrittore Flavio Pagano, autore di Perdutamente (Giunti, 2014), Infinito presente (Sperling & Kupfer, 2017), Oltre l’Alzheimer. L’arte del caregiving (Maggioli, 2019), nonché del corto Abbracciami, presentato nel 2021 all’Alzheimer Fest di Cesenatico, manifestazione ideata nel 2017 dal giornalista Michele Farina, il quale – a sua volta – ha dedicato alle problematiche che coinvolgono i pazienti affetti da demenza senile, i loro familiari e gli operatori sanitari il libro-inchiesta Quando andiamo a casa? Mia madre e il mio viaggio per comprendere l’Alzheimer. Un ricordo alla volta (Rizzoli, 2015). I cura cari, scritto dal giornalista, critico musicale e poeta Marco Annicchiarico, prende in prestito (separando le due parole) il neologismo di Pagano e racconta l’esperienza dell’autore, già nota ai lettori delle sue due rubriche: Diario di un caregiver, per la rivista «Mind», è “la storia delle difficoltà, degli ostacoli, della burocrazia e dei paradossi che affronta chi assiste un malato di demenza”; Caregiver Whisper – Storie di ordinario Alzheimer, per il blog collettivo «Poetarum Silva», racconta invece “piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l’ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili”. Prendersi cura di familiari malati è un’attività dai forti risvolti emotivi, oltre che pesante sotto il profilo materiale: basti considerare che il 70% di chi assiste un familiare malato è costretto ad abbandonare il lavoro. Quando poi si tratta di soggetti affetti da Alzheimer o da altre forme di demenza, le difficoltà si avvertono in forma ancora più acuta. Come riuscire, infatti, a trovare un senso ad un’esperienza che spesso comporta l’annullamento della propria vita? Come gestire la malattia del familiare e l’inevitabile deterioramento del proprio equilibrio psicofisico? Annicchiarico, che affronta la questione ricorrendo alla propria esperienza personale, offre al lettore una storia d’amore tra madre e figlio che è al tempo stesso poetica e dolorosa: “un romanzo-pugno e un romanzo-carezza, capace di commuovere e di farci sorridere nello stesso rigo”. I cura cari è la ricerca di un nuovo equilibrio, che consenta a madre e figlio di ritrovarsi in quella realtà parallela del malato che Pietro Vigorelli (autore, tra l’altro, del libro edito da FrancoAngeli nel 2015: Alzheimer. Come favorire la comunicazione nella vita quotidiana) ha definito “mondi possibili”: «Noi dobbiamo accettare quello che i malati sono ora. Il salto nei mondi possibili ci permette di stare vicino a loro “dove sono in questo momento” rispettando, anche nelle situazioni più drammatiche, la loro dignità di persona e valorizzando le abilità che hanno mantenuto». Annicchiarico attraversa le diverse fasi della malattia della madre Lucia, che inevitabilmente si ripercuotono sulla sua quotidianità, stravolta dagli effetti devastanti della caduta del familiare nel gorgo della demenza. Il sasso che manda in frantumi la finestra della propria esistenza si manifesta con la perdita dei ruoli (“non si può tornare ad essere figlio, non si può tornare ad essere madre”). All’inizio prevale il senso di vergogna, di fronte ad una mamma che gradualmente perde ogni freno inibitore: mangia con le mani, diventa scurrile, non è capace di controllare le funzioni corporali. Poi subentra l’accettazione, a conclusione di un processo graduale, che porta alla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un’altra persona, che vede quello che non c’è e lo rivela al figlio. Con questa nuova mamma, sospesa sempre nell’altrove in cui è finita, l’autore si sforza di entrare in relazione, nonostante l’avvilente impressione di essere lo spettatore di una donna che lentamente si sta dissolvendo. Madre e figlio si incontrano così in storie spesso inventate, raccontate con l’utilizzo di una nuova lingua, una sorta di esperanto fatto di frasi e parole senza senso o che non esistono. «Sono una ticococca», afferma Lucia sul finire del libro, in un dialogo che ispira all’autore versi struggenti:
Ho scoperto che mia madre è diventata una ticococca, per metà è fatta di carne e per metà è fatta di nebbia. La notte scompare nel suo letto, riesci solo a sentirne la voce, flebile, che arriva da lontano. Al mattino, però, con tutta la sua forza chiude le dita dolenti attorno alle mie mani. A volta sembra sussurrare: «Sono qui, vienimi a salvare».
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