L’Unità d’Italia tra mito e controstorie

L’Italia del 1861 non era certamente una democrazia compiuta, ma era pur sempre uno Stato che consentiva al Sud, tanto per entrare a piedi uniti nelle polemiche di questi giorni, di uscire da una realtà per certi versi ancora feudale. Il revisionismo storiografico degli ultimi tempi e, soprattutto, la strumentalizzazione politica che con molta malizia viene da più parti fatta, sembrano condurre invece alla conclusione che quasi ci si debba vergognare del Risorgimento e che forse sarebbe stato meglio non unificare il Paese. Per essere chiari, io non credo che il revisionismo in sé costituisca un male. I fatti storici sono sempre rivisitabili ed è naturale che più carte inedite escono dagli archivi, più la storia va riscritta alla luce delle nuove fonti. Ma su alcune questioni di fondo non ci dovrebbero essere dubbi. Giampaolo Pansa, per esempio. I suoi lavori sugli eccessi della Resistenza vanno bene se si vuole dire che anche tra chi fece la Resistenza vi furono dei criminali, non vanno bene se si vogliono mettere tutti sullo stesso piano, perché è innegabile che da una parte si lottava per la libertà, dall’altra per la dittatura nazifascista. Su questo non si può transigere: il giudizio storico è definitivo, né può essere messo in discussione. Con le luci e le ombre che sono inevitabili in processi tanto straordinari quanto complessi.
Purtroppo, spesso a prevalere è la bassa strumentalizzazione politica. Ho letto pure io Terroni, di Pino Aprile. Non c’è dubbio che il libro aiuti a comprendere le ingiustizie e i crimini commessi contro il Mezzogiorno. Ma ha ragione Vittorio Cappelli, quando precisa che “dire che una fantomatica storia ufficiale abbia trascurato o nascosto la drammaticità e il peso del brigantaggio e della questione meridionale è una sonora sciocchezza”. Senza dire che il metodo di Aprile, dal punto di vista scientifico, non è correttissimo. Le testimonianze “si parlava di 1.000 morti” non sono verità storiche. Se dai registri parrocchiali di Pontelandolfo risultano 150 vittime, mentre per la tradizione orale si arriva anche a 9.000 e si utilizza il dato più alto, si vuole sostenere una tesi polemica (e forse politica), non certo fare storia.
Giordano Bruno Guerri, autore di un libro, Il sangue del Sud, che si inserisce anch’esso nel filone “revisionista” premette che “occorre continuare a considerare il Risorgimento un atto fondamentale, necessario e benigno, della storia d’Italia, pur con tutti gli errori e le colpe che accompagnano gli eventi epocali”. Condivido in pieno.
Non è intellettualmente onesto insinuare, dietro il legittimo tentativo di ricostruire anche le pagine più oscure della nostra storia, un giudizio di valore sull’unificazione che, diciamolo chiaramente, serve soltanto per fare il gioco della Lega. Si poteva fare di meglio? Certamente. Ecco perché non giovano le mitizzazioni e la retorica risorgimentale, ma neanche alcune improbabili “controstorie”. Per quanto mi riguarda, risolvo la questione “all’inglese”: giusto o sbagliato, questo è il mio Paese.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *