Passeggiata storica/3

Per giungere alla terza fermata occorre inerpicarsi lungo la ripida salita che collega il “Paese Vecchio” all’area denominata “Petto del Principe” (più comunemente: “Petto”). La sosta, a poche decine di metri dalla vetta, consente al viandante di prendere fiato prima dello strappo finale.

PANNELLO 3: IL CALVARIO

Il “Calvario” (via Roma) collega il “Vecchio Abitato” con il “Petto del Principe”, il pianoro che si estende verso la “Pezza Grande”. Lo sviluppo urbanistico successivo al terremoto del 5 febbraio 1783 interessò il “Petto” e la zona alta del paese, dove alcuni notabili costruirono la propria abitazione. In cima al “Calvario” dominava Palazzo Fimmanò, mentre a metà strada si trovava Palazzo Capoferro, i cui ruderi sono ancora oggi visibili. La denominazione popolare trae origine dal monumento che riproduce la scena delle Tre Croci. Realizzato nella metà del XIX secolo, dalla relazione redatta il 25 marzo 1846 dall’ingegnere Gaetano Oliverio (autore del progetto, su incarico del sindaco Paolo Capoferro), si apprende che un’opera simile, preesistente, era andata distrutta nel corso degli anni.
Luogo dalle mille suggestioni, al “Calvario” il poeta Domenico Cutrì (27 luglio 1902 – 13 dicembre 1983) ha dedicato due liriche:

Lu Carvariu

«Quantu voti passandu di sta via
m’indinucchiai vicinu a stu carvariu
sgranandu cu la menti nu rusariu
’nsuffraggiu di la morta mamma mia.
E mentri ch’iu pregava cu fervuri,
ogni divotu chi di ccà passava
cu fidi na candila ci ddumava
sutta li pedi di nostru Signuri.
St’artari misu ’mmenzu a ddù paisi
d’ogni fidili canusci li peni,
pari ca dici: «vulitivi beni
senz’odiu, senza chianti, ma surrisi».
O vecchiaredda cu la testa janca
chi ’nchiani pe la strata purvirusa,
avvicinati, o matri dulurusa,
dammi la manu si ti senti stanca…
… e quandu simu ni lu crucivia
ogn’unu pigghia pe lu so’ caminu,
s’abbrazza lu so’ pallidu Destinu,
lu bagagghiu pisanti e… Cusì sia!

[Cascami. Poesie dialettali, 1965]

Sulla strada del Calvario

Lasciatemi salire
arrancare ancora una volta
per questa pietraia.
Lasciatemi baciare ancora
la croce arrugginita
dell’icona.
Sarà l’ultima volta.

[L’eterno sentire. Liriche, 1974]

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Passeggiata storica/2

La seconda tappa del percorso storico all’interno delle vie del paese ci porta nella casa di un grande artista eufemiese.

PANNELLO 2: CARMELO TRIPODI

Carmelo Tripodi nacque il 28 aprile del 1874 da Giuseppe e Teresa Filardi. Cresciuto nella bottega dell’artista eufemiese Giosuè Versace, nel 1895 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Messina. Al termine degli studi aprì nel paese natio uno studio di pittura e scultura. Nel 1906 espose all’Esposizione Campionaria Internazionale di Palermo le opere “Galileo Galileo” e “Sant’Antonio abate”, che gli procurarono le più alte onorificenze. L’anno successivo si impose nel Premio Concorso Internazionale “Gran Coppa d’Italia”, mentre nel 1912-1913 fu componente della Giuria d’Onore all’Esposizione Internazionale di Parigi. Molti quadri, sculture e opere architettoniche di Tripodi sono custoditi nelle chiese della provincia di Reggio Calabria. Altre opere fanno invece parte di preziose collezioni private; molte sono state invece distrutte dal terremoto del 1908, tra le quali l’altare della chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Artista dal “multiforme ingegno”, sviluppò una personalissima tecnica nella lavorazione di stucchi, creta, cartapesta ed estese il suo campo d’interesse alla musica e alla fotografia. Sono suoi gli scatti che testimoniano la distruzione del paese e la sofferenza della popolazione eufemiese in occasione del tragico evento sismico. Morì il 31 marzo 1950.
Capostipite di una “dinastia d’arte”, la sua eredità è stata raccolta dai figli Agostino, Graziadei (restauratore di Giotto e dei grandi trecentisti) e Domenico Antonio (“L’aspromontano” pluripremiato in tutto il mondo per le sue opere, tra le quali vanno ricordate “Il filosofo” e il monumentale ciclo pittorico della Divina Commedia).

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Passeggiata storica/1

Inizio oggi la pubblicazione in nove puntate dei pannelli storici collocati in diversi punti del paese, in occasione della “passeggiata storica” del 9 agosto.

PANNELLO 1: NUCARABELLA

Il toponimo “Nucarabella” trae origine dall’omonimo torrente che lambisce la chiesa di S. Maria delle Grazie e scorre sotto piazza don Minzoni. Indica sia la fontana monumentale realizzata nel XIX secolo, sia l’intera area circostante. Prima dell’introduzione del servizio idrico nelle abitazioni, costituiva per la popolazione eufemiese un fondamentale punto di approvvigionamento d’acqua, che veniva raccolta e trasportata con “bombole” (orci) e “cortare” (lancelle). Le vasche collocate nello spazio retrostante alla fontana venivano invece utilizzate dalle donne per il lavaggio di biancheria, vestiti e panni. Come tutti i lavatoi pubblici, rappresentava anche un significativo luogo di socializzazione.
Secondo la tradizione popolare, la zona fu teatro della relazione tra la popolana Clementina e un nobile del posto, protagonisti di una storia d’amore capace di imporsi sulle severe convenzioni sociali del tempo. Qui infatti i due innamorati si incontravano, all’ombra di un grande albero di noci. Il toponimo nascerebbe quindi dall’espressione rivolta dal giovane all’amata: «Sta nucara è beddha comu a tia».
Alla fine del XIX secolo, accanto alla fontana l’amministrazione comunale edificò il mattatoio pubblico, che fu tra le poche costruzioni rimaste quasi intatte dopo il terribile sisma del 1908. Dal 2004 il fabbricato ospita il Piccolo museo della civiltà contadina, ideato e diretto da Caterina Iero.
Alla “Nucarabella” il poeta Domenico Cutrì (27 luglio 1902 – 13 dicembre 1983) ha dedicato i versi nostalgici della lirica “La tua voce”:

Dopo anni e anni di silenzio,
stamane ho udito la tua voce
confusa col murmure del fiume Nucarabella:
mi ha chiesto cose
che non saprei più dirti,
né darti.

[L’ultimo volo, 1985]

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Un tuffo nella storia, tra le vie del paese

La due giorni di storia, organizzata insieme all’Associazione culturale Aspromonte e all’amministrazione comunale, è stata tanto intensa quanto divertente. Alla fine della presentazione dell’ultimo pannello illustrativo, non sono riuscito a trovare un aggettivo più appropriato per descrivere il mio stato d’animo. Mi sono davvero divertito tanto. Un mio amico, da ex docente, mi ha fatto notare che non c’è niente di più bello che avere davanti gente che ti ascolta. Probabilmente questa chiave interpretativa è veritiera.
La presentazione del libro “Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea” nel vialone della pineta comunale mi ha dato la possibilità di approfondire aspetti della storia del nostro paese che in altre occasioni, per ragioni di tempo, non avevo potuto affrontare. Dal tavolo dei relatori, il colpo d’occhio era suggestivo per la presenza di un pubblico composto in particolare da eufemiesi emigrati, per i quali l’iniziativa era stata pensata. Ho trovato azzeccatissima la formula “domanda e risposta” con la moderatrice Monia Sangermano, perché ha facilitato la mia esposizione e contribuito a mantenere sempre alta l’attenzione dei partecipanti.
La “passeggiata storica” è stata una piacevole sorpresa. Dalla “Nucarabella” alla pineta comunale, i partecipanti hanno affrontato un autentico viaggio nel tempo, non a caso iniziato nel “Paese Vecchio” e concluso nel rione “Pezzagrande”, dopo avere attraversato il “Petto”. Il percorso che si è snodato lungo le vie del paese ci ha consentito di attraversare due secoli di storia e di soffermarci, nei nove punti di installazione dei cartelli illustrativi, sugli avvenimenti e sui personaggi che hanno fatto la storia di Sant’Eufemia. Una sorta di “museo all’aperto”, che offre una prospettiva inedita di racconto e potrebbe rivelarsi – questo è il mio auspicio – uno strumento di divulgazione efficace in chiave didattica.
Ringrazio gli organizzatori e coloro che hanno aderito alle due iniziative, perché mi hanno dato l’opportunità di parlare della materia che più amo, nel posto che più amo.

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Così inchieste flop e scioglimenti copia e incolla hanno raso al suolo l’impegno politico di una regione

Le considerazioni sui provvedimenti di scioglimento dei comuni per infiltrazioni o condizionamenti mafiosi, espresse nella sua lettera a “Il Dubbio” dall’ex vicesindaca di Rende Marta Petrusewicz, hanno aperto un interessante dibattito, al quale l’avvocato Pasquale Simari ha offerto il contributo dell’esperto: «La vicenda di Rende – ha sottolineato – non si differenzia da quella della maggior parte dei Comuni sciolti per mafia».
Parole forti, suffragate da fatti che purtroppo godono di scarsa visibilità mediatica: le sentenze dei processi che, a distanza di anni dai titoloni dei giornali, ridimensionano o addirittura smentiscono le ordinanze di custodia cautelare. Sarebbe pertanto ora di pensare ad un albo dei comuni sciolti per mafia ingiustamente, da pubblicare (per dirla con Sciascia) “a futura memoria”.
Con questo spirito, mi permetto di segnalare il caso del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Il 25 febbraio 2020, la maxi retata dell’operazione “Eyphèmos” privò della libertà – tra gli altri – il sindaco Domenico Creazzo, appena eletto consigliere regionale in quota Fratelli d’Italia, il vicesindaco Cosimo Idà, il presidente del consiglio comunale Angelo Alati, il sottoscritto (consigliere di minoranza) e il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino. La presenza di cinque indagati “infiltrati” nel comune determinò la sospensione e poi lo scioglimento del consiglio comunale (14 agosto 2020): «All’esito di approfonditi accertamenti – si legge nel decreto – sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’ente locale a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale». Al termine dei diciotto mesi previsti dalla legge, secondo prassi consolidata, seguì la proroga di ulteriori sei mesi, poiché non risultava ancora “esaurita l’azione di recupero e risanamento” dell’ente.
Lo scioglimento dei comuni si fonda sulla relazione del prefetto al ministero dell’Interno: nella sostanza, la condivisione dei contenuti dell’ordinanza di custodia cautelare, a sua volta una sorta di copia-incolla degli “esiti dell’attività di indagine” e delle “notizie di reato” trasmessi dagli investigatori al pubblico ministero.
Tre anni dopo gli arresti, la sentenza di primo grado (17 febbraio 2023) ha smentito l’esistenza di un condizionamento dell’amministrazione comunale, poiché all’archiviazione del sottoscritto si è aggiunta l’assoluzione degli altri quattro indagati.
Per il sindaco di Sant’Eufemia Creazzo, l’accusa era di scambio elettorale politico-mafioso: a “cercare la ’ndrangheta è la politica e non il contrario”, aveva sentenziato la relazione del ministro Lamorgese. Quasi un anno e mezzo di arresti domiciliari e un provvedimento di obbligo di dimora, prima della sentenza di assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Il vicesindaco Cosimo Idà veniva presentato come “capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di ’ndrangheta di Santa Eufemia”. Nove mesi di carcerazione preventiva, la scarcerazione per accertato scambio di persona e l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Scambio di persona anche per Angelo Alati, presidente del consiglio comunale accusato di rivestire la carica di “mastro di giornata” e assolto perché “il fatto non sussiste”, l’inconsistenza indiziaria era già emersa nell’udienza del Tribunale del riesame che ne aveva ordinato la scarcerazione, un mese e mezzo dopo l’arresto.
Terzo scambio di persona riguardò chi scrive, accusato “di monitorare gli appalti assegnati dal Comune di Santa Eufemia per consentire alle aziende del locale di ’ndrangheta di insinuarsi nei lavori”, [di fungere] “da spia” interna al Comune, [di mettersi] a disposizione della cosca per compiere atti minatori nei cantieri, [di disporre di “agganci”] che gli consentivano di conoscere preventivamente gli esiti delle indagini che provvedeva a veicolare tra i sodali per eludere l’attività investigativa o la cattura». Sette mesi di carcerazione preventiva, scarcerazione e proscioglimento al termine dell’udienza preliminare.
Il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino era accusato di prendere parte a riunioni di ’ndrangheta e di operare “in favore della cosca affinché gli appalti fossero assegnati direttamente [o indirettamente] a una ditta gradita all’organizzazione mafiosa locale. Assolto perché “il fatto non sussiste”, dopo ben tre anni di carcere.
Il filone politico dell’inchiesta si è rivelato un flop totale. Del “solido complesso probatorio” restano parole che sono sale su ferite ancora aperte: «Nel caso del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte si va comunque ben oltre i “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso” o le “forme di condizionamento” degli amministratori. L’operazione “Eyphèmos” dimostra che diversi OMISSIS piuttosto che “collegati” o “condizionati dalla ’ndrangheta” sono organici alla stessa. Un salto di qualità rispetto alla fattispecie di cui all’art. 143 T.U.E.L. del tutto evidente». Ma di evidente, purtroppo, c’è soltanto lo scarto tragico tra ipotesi e realtà.
Quando, nove mesi fa, si è votato per ridare alla comunità eufemiese un’amministrazione comunale, soltanto due tra i trentanove candidati nella precedente elezione si sono ripresentati. In un piccolo paese esistono dinamiche familiari e sociali che rendono arduo l’impegno politico sulla base delle attuali disposizioni di legge. Molti preferiscono defilarsi: per paura, per delusione, per senso di responsabilità.
Prevenzione e pregiudizio sono spesso le facce della stessa medaglia e concorrono alla compressione della democrazia, laddove impediscono l’affermazione della volontà popolare. Per questo, occorre denunciare la criminalizzazione subita da vaste aree del Paese. Affinché gli studenti di domani avvertano lo stesso moto di indignazione oggi suscitato dagli studi sul volto truce del potere nella storia d’Italia: la brutalità della legge “Pica”, la revisione arbitraria delle liste elettorali in epoca crispina, i mazzieri di Giolitti, lo scioglimento dei comuni nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista. Ogni volta che, in nome dell’interesse superiore del mantenimento dell’ordine pubblico, una “guerra santa” ha ferito i principi democratici, sospeso le garanzie costituzionali e causato un numero spropositato di “vittime collaterali”.
Oggi come ieri questo è stato. Ma questo è Stato?

*Pubblicato su: Il Dubbio, 8 agosto 2023

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Una nuova presentazione del libro “Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea” e la “passeggiata storica”

Tra le iniziative della ricca programmazione estiva approntata dall’Associazione culturale “Aspromonte”, in collaborazione con l’amministrazione comunale, due mi vedranno direttamente coinvolto.
Il primo appuntamento si svolgerà l’8 agosto alle ore 19:00 presso la pineta comunale. Presenteremo il libro Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società, biografie, in un incontro che sarà moderato dalla giornalista Monia Sangermano. Abbiamo ritenuto opportuna questa presentazione, a due mesi e mezzo dal “Maggio dei libri” organizzato dall’Associazione “Terzo Millennio”, per dare la possibilità di partecipare, porre domande o soltanto esporre considerazioni ai tanti emigrati che fanno ritorno in paese durante l’estate. Ma anche per consentire di presenziare a coloro che a maggio avrebbero voluto intervenire, ma non hanno potuto oppure non hanno avuto il tempo per esporre la propria domanda perché il dibattito si era piacevolmente protratto più di quanto avessimo previsto.
Il giorno dopo, 9 agosto, alle ore 19:00 si terrà invece una “passeggiata storica”, con partenza dalla fontana Nucarabella e arrivo alla pineta comunale. Lungo il tragitto scopriremo nove installazioni illustrative, realizzate graficamente dalla “Graphic Design” di Tina Sobrio, che ripercorrono le biografie e gli avvenimenti storici suggeriti dal percorso stesso: Nucarabella, Carmelo Tripodi, Calvario, Carlo Muscari, Giacomo Chiuminatto, Vittorio Visalli, Michele Fimmanò e Croce Verde, Chiesa Sant’Ambrogio e terremoto del 1908, maggiore Luigi Cutrì.
Ringrazio l’Associazione culturale “Aspromonte” e l’amministrazione comunale, per la sensibilità dimostrata nei confronti di una materia tanto preziosa quanto bistrattata. Per me si tratta di un riconoscimento molto gratificante, perché valorizza le ricerche che in questi anni ho dedicato alla storia del nostro paese. E mi incoraggia a proseguire negli studi sulla ricostruzione dell’identità eufemiese e nella ricerca di quelle radici che tengono insieme tutti noi, come un filo ideale che lega passato, presente e futuro.

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24 giugno 1894: nasce Mimì Occhilaudi

In Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società biografie ho dedicato a Domenico Occhiuto Laudi il paragrafo “Lettere a Mimì Occhilaudi” (pp. 91-96), incentrato sulle lettere ricevute dal paese e dal fratello Francesco, che si trovava al fronte, nel periodo della prima guerra mondiale. Anche Mimì, che era stato riformato, fu richiamato e dichiarato abile a svolgere i servizi sedentari, per cui – a differenza del fratello – non partecipò ad azioni di guerra. Il brano riportato è alle pagine 91-92:

Uno dei rari ritratti esistenti di Domenico Giovanni Occhiuto, sguardo intenso e capelli indomabili, ci consegna l’immagine di un uomo tormentato da demoni silenziosi, come il ragazzo spartano richiamato da Edgar Lee Masters nei versi dedicati a “Dorcas Gustine” (Antologia di Spoon River), che “nascose il lupo sotto il mantello/ e si lasciò divorare, senza un lamento”.
Figlio di Fortunato e Carmela Laudi, egli nacque il 24 giugno 1894 a Sant’Eufemia d’Aspromonte ed elesse la solitudine a compagna di vita e musa ispiratrice. Secondo quanto ricordato da Giuseppe Pentimalli sulla rivista “Incontri”, per lunghi anni Occhiuto visse in uno stato di indigenza: «Viveva di elemosine, nel senso che di tanto in tanto le persone più abbienti del paese lo invitavano a pranzo, vuoi per pietà vuoi per la curiosità di conoscere meglio questo tipo estroso».
Un minimo di aiuto lo riceveva anche dal Comune, per il quale svolse compiti di archivista e copista degli atti amministrativi finché non fu assunto come impiegato, nel 1940.
Solitario e taciturno, Occhiuto fu autodidatta e scrisse essenzialmente per sé stesso: della sua produzione, nel 1968 ha avuto pubblicazione la selezione di liriche Polvere senza pace. Il rogo, la cenere, il vento. Un anno dopo, egli moriva a Reggio Calabria (2 novembre 1969).
Pochissimi gli altri componimenti dei quali, fino a poco tempo fa, si aveva notizia. Il carme Ave, Saturnia Tellus, stampato dalla Tipografia “C. Zappone” di Palmi nel 1933 con due titoli (il secondo: Saluto alla terra rifiorente), in piena epoca fascista salda il tema poetico della rinascita della natura con quello politico della rinascita della nazione. D’altronde, anche in un coevo manoscritto inedito, Occhiuto esalta il mito del primato italiano, che trova occasione di propaganda nell’impresa transoceanica di Italo Balbo (Per la crociera atlantica del Decennale. Ai trasvolatori degli oceani). Un altro inedito richiama invece la tradizione della satira di costume (Galleria degli uomini illustri del mio paese. Primo profilo della serie) e doveva essere parte di un progetto incompiuto, o comunque andato disperso, con il quale “u poeta” si proponeva di mettere alla berlina i personaggi più in vista della comunità eufemiese.
Tuttavia, la cifra autentica della poesia di Mimì Occhilaudi, come amava firmarsi saldando i cognomi dei genitori, è dolore cupo e lancinante, strappato dalle viscere con un atto liberatorio che diventa sfiatatoio e terapia.
Polvere senza pace raccoglie 44 componimenti, più due parti del poema Per un granello di sabbia, rimasto incompiuto. In particolare Episodio della morte di Cristo (l’altra è Episodio della eruzione del Vesuvio e della distruzione di Ercolano e Pompei) assurge a paradigma dell’umana sofferenza: «e ciascuno risale un suo calvario/ per esser solo sul più alto vertice/ a illuminarsi col proprio dolore/ e riscattarsi solo con la morte,/ sì che ciascuno in lui si riconosca».
In liriche come Attesa e La serie dei tramonti la poetica dell’autore si manifesta compiutamente come capacità di tradurre solitudine e silenzi in versi che, nella poesia L’ospite, raggiungono il diapason della disperazione: «Nessuno m’attende la sera/ – tra luce e penombra – vegliando/ le care cose sparse per la stanza./ Quand’io rincaso deluso,/ triste che quasi m’avvinghio alla morte,/ nessuno m’accoglie./ Sopra la soglia, nella fredda notte/ viva, nel fitto buio/ di un infinito brulichio di stelle/ e del cantare di lontane acque,/ mi si richiude alle incurvate spalle/ con secco schianto/ la porta/ coperchio di bara».

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Aspetti della vita politica e sociale a Sant’Eufemia nel bollettino parrocchiale del 1956

Grazie alla generosità di Caterina Iero, sono venuto in possesso del numero speciale del Bollettino della parrocchia di Sant’Eufemia del mese di agosto del 1956, dedicato al centenario della parrocchia istituita il 19 agosto 1856 con il decreto emanato dal vescovo di Mileto Filippo Mincione. Veniva così accolta l’istanza presentata dal sindaco Michele Fimmanò – agli inizi della straordinaria carriera che avrebbe segnato la politica comunale fino alla sua morte (1913) –, il quale aveva motivato la necessità di una seconda parrocchia con il progressivo aumento della popolazione del rione Petto, che ormai contava circa 3.200 abitanti per via del trasferimento di numerose famiglie dal Vecchio Abitato, negli anni successivi al terremoto del 5 febbraio 1783.
Le quattro pagine del giornale “La mia parrocchia”, diretto dal parroco Antonino Messina, offrono uno spaccato significativo della società eufemiese negli anni ’50. Sono riportate le adesioni al comitato d’onore (presieduto da Pina Fimmanò Perrelli e Gabriele Fimmanò) e al comitato esecutivo (presidenti: il parroco Antonino Messina e l’insegnante Antonino Caserta; cassiere: Andrea Fedele; segretari: professore Giuseppe Parisi e Giovanni Forgione); il rendiconto economico delle feste centenarie; l’elenco delle donazioni per la costruzione del monumento ai caduti della prima e della seconda guerra mondiale, realizzato su iniziativa della parrocchia; l’albo d’oro delle offerte a beneficio dei poveri; la nomina prefettizia di Antonino Caserta a commissario della sezione comunale dell’opera nazionale maternità e infanzia (ONMI), che operava per mezzo del consultorio pediatrico diretto dal dottore Bruno Gioffrè Napoli nei locali dell’ospedale “Garibaldi”.
Dall’articolo dedicato alle “Sacre Missioni” si evince la straordinaria partecipazione del popolo ad alcune manifestazioni della parrocchia, tra le quali spicca “il corteo antiblasfemo che si snodò per le vie della Parrocchia tra sventolio di bandierine e di cartelli con scritte contro la bestemmia ed il turpiloquio”.
Siamo in piena guerra fredda e la contrapposizione tra il blocco atlantico e l’universo sovietico ha ripercussioni anche i piccoli paesi, dove proprio le parrocchie diventano l’avamposto culturale, sociale e politico della militanza cattolica. Sant’Eufemia d’Aspromonte non fa eccezione. Il parroco Messina imprime all’Azione cattolica uno sviluppo imponente, organizza serate di studio e di preghiera, accoglie i bambini nell’asilo infantile “San Diego”, raduna giovani e meno giovani mettendo loro a disposizione il televisore acquistato quando in paese quasi nessuno ancora lo possiede, istituisce il cinema parrocchiale.
L’articolo del parroco “Vivere la vita parrocchiale” suona come una chiamata alle armi: «La crisi è grave e profonda e postula un intervento deciso e coraggioso: essa non è solo di natura economica […] ma è soprattutto crisi di valori che investe dalle fondamenta tutta la realtà umana […]. Stare ai margini a guardare; disinteressarsi della realtà storica […] come se l’ideale della vita sia starsene dietro le persiane e contemplare ciò che avviene in piazza, nella illusione di potersi mantenere estranei alla travolgente vicenda degli avvenimenti, è da stolti e da irresponsabili. […] Per noi cattolici ormai il dilemma è chiaro: o inserirci nella dialettica sociale, col peso dei valori del cristianesimo integrale, e vivere; oppure restare al margine, in messianica attesa, e perire. […] Le organizzazioni parrocchiali sono in prima fila, araldi di un mondo migliore. […] Lasciamo da parte i pesi morti, che vivono di nostalgie impossibili; non curiamo i funambolismi dei ridicoli capofazione, che fiutano la direzione del vento per mutar gabbana in tempo; non è più l’ora delle preminenze individuali, personali; il popolo marcia a schiere compatte, consapevole dei suoi diritti; nostro compito è di sentire e far sentire gli ideali del Vangelo nel loro valore sociale, esemplare, finale ed efficiente».
L’obiettivo polemico era locale e faceva riferimento alla competizione elettorale che il 27 maggio 1956 aveva impegnato le liste Pigna (indipendenti), Tromba (socialcomunisti) e Scudo Crociato (democristiani). Il parroco Messina consegna ad un lungo articolo (“Idee, simboli, uomini”) un durissimo commento nei confronti della Democrazia Cristiana cittadina, che esce sconfitta dalle urne comunali a fronte di un’affermazione positiva nel voto provinciale (primo partito con 1531 voti): «La D.C. ha perduto qui da noi perché pochissimi erano i veri democristiani presenti in lista, perché nella faziosità e nell’incoerenza politica fu concepita ed attuata la lista, perché la campagna elettorale fu un capolavoro di inettitudine […]. E poi che diritto avevano le sezioni DC di chiedere voti quando per anni sono state assenti dalla vita paesana e dagli interessi del popolo? […] Vogliamo augurarci che le forze politiche che rappresentano l’idea cristiana si convincano della necessità di essere continuamente attive e non si sveglino solo all’ultimo momento».
Con gli occhi di oggi, una biasimevole invasione di campo. In quel preciso momento storico si trattava invece di un normale aspetto della dialettica politica tra due chiese irriducibili nello scontro ideologico e nella competizione per il predominio tra i ceti popolari.
Per la cronaca, si impose la lista Tromba con 1067 voti (Pigna: 968, Scudo Crociato: 877). Il consiglio comunale elesse poi sindaco l’avvocato Francesco Spanto, il quale rimase in carica soltanto per due anni prima delle dimissioni che aprirono la strada per il ritorno di Carmelo Papalia, primo cittadino di Sant’Eufemia per due mandati (1952-1956 e 1958-1962).

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Diretta Facebook sulla storia di Sant’Eufemia

Quella di giovedì 8 giugno, a partire dalle ore 21:00, sarà la mia prima diretta Facebook. Non è mai troppo tardi, anche perché ritengo molto gratificante la possibilità di parlare dei miei studi sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte con la comunità di eufemiesi sparsi in tutta Italia e all’estero. Per questo ringrazio gli amici dell’Associazione culturale “Aspromonte” e il suo presidente Massimo Rositano, da anni impegnati in una meritoria opera di rafforzamento del filo ideale che lega alla propria terra d’origine la Sant’Eufemia più vasta, sparsa oltre i confini regionali.
Converseremo senza alcuna pretesa professorale. Il mio libro servirà da guida alla discussione, che è aperta al contributo di tutti coloro che, a Sant’Eufemia o fuori da Sant’Eufemia, coltivano la passione per la storia del nostro paese. A quest’ultima mi sono dedicato a partire dal 2008, con gli articoli sul blog e con le pubblicazioni: Sant’Eufemia d’Aspromonte. Politica e amministrazione nei documenti dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria. 1861-1922 (2008); Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte (2013); Sant’Eufemia d’Aspromonte e la Grande Guerra (2018); Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società, biografie (2021).
Il senso del mio ultimo lavoro sta proprio nella necessità di dare organicità e sintesi in un unico volume a tre lustri di ricerche dedicate alla ricostruzione di particolari eventi storici (terremoti del 1783, 1894, 1908; Risorgimento, Prima guerra mondiale), alla “fotografia” del mondo – oggi lontanissimo – dei nostri nonni e dei nostri genitori, alla stesura delle biografie degli eufemiesi più eminenti. Altri protagonisti cittadini sarebbero stati meritevoli di un medaglione biografico e altro ci sarebbe da scrivere sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma purtroppo l’attività di ricerca si scontra con difficoltà oggettive e al momento di non facile superamento.
Può darsi che in futuro ci sarà la possibilità di ampliare il raggio della ricerca storica su Sant’Eufemia. E magari ci saranno giovani che porteranno avanti un lavoro fondamentale per rinvigorire il sentimento della nostra identità. Questo è il mio auspicio.

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Primavera di libri

Ci tengo a ringraziare i tantissimi che ieri sono stati al municipio per l’iniziativa “Primavera di libri”, organizzata dall’Associazione “Terzo Millennio”. L’incontro ha dato a noi relatori la possibilità di parlare dei nostri libri, e questo è scontato. Ciò che non lo era è stata la partecipazione attiva del pubblico. In circostanze simili, spesso si ha ritrosia nel prendere il microfono. Non è stato così. Ne è scaturito un dibattito interessante, moderato da Maria Luppino, che partendo dai libri ha spaziato sulle tematiche più svariate ma evidentemente molto sentite nella nostra comunità.
Lo stimolo fornito dalla presenza di due autorevoli scrittori e intellettuali come Gioacchino Criaco e Mimmo Gangemi, che presentavano rispettivamente Il custode delle parole e L’atomo inquieto, è stato indubbiamente decisivo. Ed è stato bello constatare come dopo tre ore nessuno fosse stanco e, anzi, avrebbe voluto continuare ad ascoltare e ad intervenire, tanto che alla fine il presidente Francesco Luppino ha dovuto “imporre” d’autorità la chiusura dell’incontro.
Ha ragione Gioacchino Criaco: «I calabresi non devono essere parlati ma devono parlare e parlarsi».
Io stesso avevo ancora molto da dire, ma spero che possano esserci in futuro altre occasioni per condividere il mio amore per la storia di Sant’Eufemia, la nostra storia.

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