Trentasei anni senza P.P.P.

Sono arrivato a Pier Paolo Pasolini da solo. O quasi. Ai tempi del liceo, lo sfiorai tra la prima e la seconda classe, quando la professoressa di lettere ci assegnò alcuni libri da leggere durante le vacanze estive. Conobbi così Pasolini, Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi e qualcun altro autore del Novecento. Le fortune dei ragazzi passano spesso dagli insegnanti che incontrano lungo il cammino scolastico. A me è andata bene. Nel biennio, un rapporto splendido, anche sotto il profilo umano, con la professoressa Paino; nel triennio, quello decisivo per la mia formazione con il professore Monterosso (storia e filosofia). In quinta, però, studiammo poco o niente gli autori del Novecento. Di sicuro, non li leggemmo. E anche se il professore di lettere avesse avuto questa intenzione, non credo che ci avrebbe fatto leggere Pasolini. Troppo distante dal suo mondo.
Per vie traverse ci sono però arrivato ugualmente. Mi capita spesso di leggere qualcosa che rimanda ad altri autori. E così è stato. Mi sono “imbattuto” nella raccolta di poesie Le ceneri di Gramsci e così ho prima approfondito il poeta, quindi sono passato alla lucidità del pensiero degli Scritti corsari, all’intellettuale scomodo, scandaloso e affascinante per chi si rifiuta di sottostare alle logiche e ai valori propagandati dal consumismo e dall’edonismo dominanti. Nessuno meglio di Pasolini ha saputo leggere i cambiamenti della società italiana nel secondo dopoguerra. Nessuno è stato così profetico e coraggioso nel mettere in guardia, con quarant’anni d’anticipo, dal baratro verso il quale l’umanità stava (e sta) precipitando. Le denunce contro il Palazzo, il ruolo e la funzione della televisione in una società di massa, l’omologazione culturale, la trasformazione antropologica della società sono temi drammaticamente attuali.
Domani ricorre il trentaseiesimo anniversario dell’assassinio di Pasolini. Una vicenda che presenta ancora molti lati oscuri. L’ennesimo mistero della storia d’Italia. Nella sua appassionata orazione funebre, Alberto Moravia pronunciò parole forti e condivisibili: “abbiamo perso prima di tutto un poeta, e poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono soltanto tre o quattro in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta: il poeta dovrebbe essere sacro!”.

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3 risposte a “Trentasei anni senza P.P.P.”

  1. Anch'io sono arrivata a leggere Pasolini per caso, anzi, per esigenza dato l'argomento della mia tesina della maturità. Non riuscivo a trovare un autore di italiano che mi convincesse, così ho iniziato a cercare davvero qualcuno che parlasse di società, di omologazione, di appiattimento. E ho trovato lui, precisamente le sue poesie contenute ne "La religione del mio tempo". La mia prof di italiano non era per niente contenta di Pasolini nella mia "tesina", non l'avevamo nemmeno fatto, diceva che un altro, tra quelli che avevamo studiato, potevo anche trovare. E invece no. Ormai mi ero fissata, le sue parole mi sembravano perfette. Così ho fatto di testa mia e ho studiato un autore nuovo, per conto mio. Nell'estate dopo la maturità alla pesca di una festa di paese ho vinto un vecchio libro usato e ciancicato: "Scritti corsari", l'ho letto. Ho letto poi anche altre cose. Leggere Pasolini mi sembra tanto complicato, ho la sensazione, spesso, di non capire bene le cose, però mi piace, anche perché a volte ho l'impressione che le cose che scriveva 40 anni fa potrebbero averle scritte proprio oggi. Parla della DC, ma se si sostituisse a "DC" altri simboli di partito non credo farebbe tanta differenza. Pasolini a me sembra molto attuale e penso sia un vero peccato non farlo studiare al liceo.

  2. Hai perfettamente ragione. Gli Scritti corsari dovrebbero costituire materia di studio per chiunque voglia comprendere la storia d'Italia dal secondo dopoguerra agli anni Settanta. Un intelletuale scomodo, puro e onesto. Ce ne sarebbe ancora un gran bisogno.

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