
“Cosa c’è di diverso nel vostro morire?”, chiede il chimico dell’omonima canzone di Fabrizio De André nella straordinaria trasposizione musicale del capolavoro di Edgar Lee Masters. Cosa c’è di diverso nelle morti che ci circondano, che interrogano soprattutto sul senso della vita.
La morte fisica, certo. Il sipario che cala lasciando al di qua della tela ricordi, sorrisi, rimpianti. Con la quale, chi resta, deve in qualche modo imparare a convivere. Elaborando il lutto, raccomandano gli psicologi. Superando vuoti e assenze che trafiggono l’anima con i loro tuttoèfinito. Il tempo, in questi casi, può diventare un prezioso alleato. Perché riesce a colorare il buio con i colori dell’allegria passata, della condivisione dei momenti di felicità, delle tante lezioni imparate. La medicina del cuore confina in un angolo la sofferenza, esalta la gratitudine per ciò che è stato e per ciò che è rimasto. Il tempo stempera, diluisce, accarezza. È mano di mamma. La morte fisica è un punto di non ritorno, se c’è un aspetto sopportabile è proprio la sua irrimediabilità. Bisogna farsene una ragione. Se non sarà subito, accadrà dopo.
Altro avviene con la morte sociale. Chi muore fisicamente, è altrove: niente sente e niente vede. Un lungo sonno. Chi vive la condizione dell’appestato, avverte invece sulla propria pelle la morte vera: l’abbandono, l’emarginazione, il pregiudizio. È un morire diverso. E a nulla vale la resurrezione di un momento. La condizione prevalente è quella dell’oblio. Non si è più ciò che si è stati. Lo stigma è coperchio di bara che tutto esclude. Non se ne parla e basta. Per non compromettersi, per evitare imbarazzi in chi chiede e in chi risponde. Succede quando c’è di mezzo una malattia irreversibile, quando non si è più in grado o liberi di uscire di casa, di parlare, di coltivare relazioni.
Poi c’è la verità. Che sta sempre in fondo al pozzo, ricorda Leonardo Sciascia. Chi osserva da sopra, sporgendosi appena sul baratro, ci vede il sole o la luna. Si sente confortato da una certezza che è soltanto un riflesso. Un inganno. Ma soltanto chi cade dentro al pozzo conosce la verità. Al prezzo di fratture e con il rischio concreto di non riuscire più a risalire dal fondo. Di restarci.
Nel confino scuro che la memoria dissolve, vita e morte si abbracciano senza più niente aspettarsi. Impastandosi con il sangue e con le lacrime di giornate sempre uguali. E non sai più se è un giorno di festa o un giorno di lutto.








