La fattoria degli animali

Nei giorni scorsi i giornali hanno dato notizia della visita al carcere di Sollicciano da parte del ministro Salvini, il quale ha esercitato una prerogativa che è propria dei parlamentari e dei membri del governo. Un gesto certamente apprezzabile, che ha consentito al leader della Lega di verificare le condizioni di una struttura considerata tra le più invivibili a causa del sovraffollamento (aspetto comune alla quasi totalità delle carceri italiane) e per le criticità strutturali del penitenziario fiorentino: «Una struttura – riferisce il “Corriere della Sera” – che necessiterebbe di essere demolita e ricostruita ex novo, in quanto monolite in cemento armato che d’estate diventa un forno e d’inverno una sorta di ghiacciaia». L’alternanza forno/congelatore – è noto, ma a pochi importa – è una delle caratteristiche peculiari delle galere italiane. Bene, quindi, se la visita di Salvini può rivelarsi utile per accendere i riflettori sul dramma vissuto quotidianamente da decine di migliaia di detenuti senza volto e senza voce. Meno bene se, come maliziosamente sospetta l’Osapp (una sigla sindacale della polizia penitenziaria), Salvini abbia approfittato del suo status di parlamentare per fare visita al padre della sua compagna, Denis Verdini, non appena quest’ultimo è stato condotto nel carcere di Sollicciano dopo avere violato la misura degli arresti domiciliari alla quale era sottoposto. Prendendo a prestito La fattoria degli animali, con George Orwell verrebbe da dire che i detenuti sono tutti uguali, ma alcuni detenuti sono più uguali degli altri.
Si sa che il personaggio è volubile e, per questo, poco credibile anche quando apparentemente sostiene una giusta causa. Anche perché, in decenni di attività politica, Salvini ha sostenuto tutto e il contrario di tutto. La contraddizione, tra chi passa disinvoltamente dal sostegno ai referendum sulla giustizia all’invocazione di più reati e più carcere, è di facile lettura.
Con la sentenza Torreggiani, nel 2013 l’Europa ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamento inumani o degradanti». Non ricordo iniziative di Salvini per porre fine a questo vergognoso sconcio. Ricordo invece altre uscite, rivelatrici di ben altra sensibilità sui temi del garantismo, della giustizia e dell’esecuzione della pena.
Tra le tante, la pubblicazione delle fotografie dei presunti boss e mafiosi che nella primavera del 2020 furono scarcerati, a suo dire, “con la scusa del Covid”, sull’onda della polemica sollevata dal settimanale “L’Espresso” e dal programma televisivo “L’Arena”. In seguito si sarebbe accertato che i boss scarcerati furono tre, gravemente malati: e pazienza se tra i “boss” del post di Salvini vi era anche chi invece era stato rimesso in libertà dal Tribunale della Libertà per “evidenti ragioni di inconsistenza indiziaria”.
Dal primo gennaio ad oggi nelle carceri italiane sono stati registrati 21 suicidi, ai quali vanno aggiunti 31 decessi “per altre cause”. Una vera e propria emergenza, che in generale non sembra affatto turbare il sonno dei politici del nostro Paese. Nonostante le “visite” di Salvini.

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