I miei Pink Floyd

Girovagando nel web, mi sono imbattuto in una votazione sugli album dei Pink Floyd, la band inglese composta in origine da Syd Barret (chitarra e voce), Roger Waters (basso e voce), Nick Mason (batteria) e Richard Wrigth (tastiera), ai quali quasi immediatamente si unì David Gilmour (chitarra e voce) per supportare e infine sostituire Barrett, annientato dai propri demoni e dall’LSD. Un passaggio fulmineo e sfavillante nella storia del rock psichedelico che in seguito ispirò ai Pink Floyd l’album Wish you were here – in particolare, la canzone Shine on you crazy diamond – e, in parte (essendo prevalente l’autobiografia di Waters), il personaggio Pink nel monumentale The wall, “concept album” diventato anche film (regia di Alan Parker, con Bob Geldof nel ruolo del protagonista).
Devo però mettere le mani avanti. Non sono un esperto di musica. Quello che so sui Pink Floyd l’ho appreso quasi passivamente e senza accorgermene, come aria che si respira. Merito di mio fratello Luis, “pinkfloydologo” d’eccezione: tutto quello che è stato scritto, tutti i dischi (poi cd), tutte le videocassette (poi dvd), persino due tatuaggi, uno tratto dalle immagini dell’album The wall, l’altro da The division bell. Un giubbotto di jeans, che credo ancora conservi, sul quale ai tempi del liceo fece ricamare la copertina di The wall. Ecco, lui può dibattere indifferentemente e con rara competenza degli inizi psichedelici e degli anni della maturità; conosce le biografie di ogni singolo componente; sa tutto sulla genesi di ogni canzone e album; di tutte è in grado di recitarne il testo, in inglese e in italiano. Sa indicare con esattezza l’ingresso della batteria di Mason in Atom hearth mother (9.09: “ascolta ora 50 secondi di perfezione”), quella batteria che nella canzone In the flesh? diventa una raffica. Sa tutto, ma proprio tutto, sugli assoli di Gilmour, sublimati nella straordinaria Comfortably numb. Può anche fare una lezione su una canzone strumentale mai incisa ed eseguita soltanto dal vivo (Reaction in G), che forse gli stessi Pink Floyd non ricordano. I suoi dischi sono cimeli, suonati soltanto una volta per essere copiati sulle musicassette (all’epoca non esistevano cd). Poi sono stati idealmente messi dietro una teca, con il divieto assoluto, per chiunque, di toccarli.
Io non so scegliere tra The dark side of the moon e The wall. E anche a costo di andare controcorrente, penso che The final cut (l’ultimo prima dell’uscita di Waters, 1983) sia un grandissimo album.
Per me la musica è soprattutto pelle d’oca. È l’emozione di Time, che cantavo con mio fratello sotto la doccia (lui le strofe di Gilmour; io quelle di Wright); oppure la pace di Marooned, pezzo strumentale che ascolto quando devo prendere una decisione importante o raggiungere il massimo della concentrazione (ai tempi dell’università, prima di un esame). È l’emozione del concerto a Cinecittà, il 20 settembre 1994, al quale non potevamo mancare. Soprattutto dopo che, ancora minorenni, ci eravamo persi quello di Venezia, nella tournée del 1989. Prendemmo il treno insieme al nostro amico Cosimo e arrivammo di primo mattino davanti ai cancelli, ancora chiusi. Non c’era nessuno. Mio fratello ci proibì di muoverci, perché “dovevamo” entrare per primi e arrivare sotto il palco. E così fu. Tredici ore di attesa per un’esperienza straordinaria, condensata dalla sua battuta al sacerdote-professore di religione del liceo: “ha presente uno che prega, prega e di colpo gli appare la Madonna? Ecco, quando sul palco è spuntato Gilmour, credo di avere provato una cosa del genere!”.

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6 risposte a “I miei Pink Floyd”

  1. Bello,bellissimo post.Nel quale il vero protagonista è quell'amore totalizzante,mistico e talvolta anche un pò feticista, per la musica.Quando leggo di tuo fratello è come leggere di me stesso.Le musicassette, i vinili custoditi come reliquie,i viaggi e le ore di attesa per assistere ai concerti,il dogma svelato del mio guitar hero visto dal vivo.A 15 anni ( era il 1982 ),ricordo che da solo presi il treno e da Milano mi recai a Roma a vedere i Genesis, che nel mio immaginario adolescenziale sostituivano i Pink Floyd.Per il primo concerto degli U2 in italia stetti dieci ore all'addiaccio ( era febbraio ), Per Springsteen nel 2008 a Milano feci complessivamente 8 chilometri a piedi.Tutti ricordi che valgono l'emozione di una vita.A proposito di Pink floyd : non sono un osservante ortodosso, anche se posseggo la discografia al completo.Direi The Wall su tutti,anche se personalmente coltivo un debole per Animals, che è un disco minore,ma per me evocativo.Complimenti ancora per il post e…un saluto al fratellone,ovviamente 🙂

  2. Aspettavo con ansia il tuo giudizio (e ovviamente quello di mio fratello). Mi sento come un calciatore della domenica di fronte a Messi! Mi fa piacere sapere che con il primo docente sono andato abbastanza bene, incrocio le dita per il secondo…

  3. ti ringrazio per la libera docenza, ma io semmai mi sento un mediano dai piedi buoni.Ci metto corsa e cuore e ogni tanto qualche bel tiro all'incrocio.Ma ho da imparare tutto da tutti.tengo d'occhio il post,sperando di leggere il commento di tuo fratello ( che a questo punto bisognerebbe convincere ad aprire una sua pagina .)Ciao,Dome 🙂

  4. da condividere la passione per il culto di una band; io sono cresciuto invece con una musica, il punk, che voleva distruggere la psidechelia e il progressive alla Pink Floyd. Quindi erano risse musicali e dialettiche con quelli più vecchi di noi.

  5. no, no, io non sono arrivato a tanto. Lo ripeto, in confronto a voi sono un dilettante, anzi un amatoriale di quelli che danno un calcio a un pallone e non sempre lo prendono! 🙂

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