E meno male che non è successo niente

Ha dovuto arrendersi all’evidenza. Non ce n’era più uno favorevole alla “bella morte” in un’ordalia parlamentare di prodiana memoria. Si è fermato un attimo prima. Merito, forse, dell’invito di Bossi a fare un passo “di lato”, giunto dopo che già il ministro dell’Interno Maroni aveva dichiarato che l’accanimento terapeutico non aveva senso. Verrebbe proprio da dire sic transit gloria mundi, pensando a quanto i destini e la fortuna della Lega siano dipesi dal rapporto preferenziale avuto con Berlusconi.
L’immagine del premier in Aula, impegnato a controllare i tabulati della votazione per accertarsi sull’identità dei “traditori” è una nemesi crudele per il presidente del consiglio insediatosi con la più ampia maggioranza della storia repubblicana. Sino alla fine, nonostante l’atmosfera da fine impero, è stata però una gara a chi era più convincente e surreale nel minimizzare. Bastava ascoltare il giornalista di Libero Filippo Facci, tanto per fare un esempio utile anche per deprecare la latitanza della Rai, nel momento più delicato per il governo, e l’ottimo servizio pubblico reso invece da una televisione privata (La7), con la lunghissima no-stop pomeridiana: “non è successo nulla”. Cos’altro doveva accadere, se hanno votato 308 deputati su 630 (309 se si prende per buona la giustificazione di Gianni Malgieri: “ero in bagno”)? Il Rendiconto generale dello Stato è stato approvato grazie all’astensione dell’opposizione. In altre parole, la maggioranza non esiste. E Maurizio Paniz aveva ancora la forza di argomentare che “non è detto che quelli che si sono astenuti oggi siano contrari al governo. Occorre fare prevalere la legge dei numeri. Da qui a dire che si è conclusa una storia politica ce ne corre”. Mentre Antonio Martino cercava di metterla sul decoro: “Berlusconi merita una fine più gloriosa. Dovrebbe cercare la fiducia in Parlamento sulla lettera della BCE e, se il Parlamento vota contro, vuol dire che in questo Parlamento non c’è nulla”. Un giochino, o un ricatto.
Sul piano strettamente procedurale, il premier non è tenuto a dimettersi, in assenza di un voto di sfiducia. Ma i consigli degli alleati e lo spread Btp/Bond schizzato a quasi 500 punti non hanno certamente confortato i propositi di resistenza ad oltranza. Cosicché, poco dopo le 18.30, c’è stata la tanta invocata salita al Colle e la promessa di rassegnare le dimissioni subito dopo l’approvazione della Legge di Stabilità. Un modo per concedersi un finale di partita dignitoso, prima di passare il pallino a Napolitano.
A quel punto inizierà un’altra partita, nonostante la contrarietà del leader del Pdl ad ogni ipotesi contraria alle elezioni anticipate. I giochi di Palazzo sono iniziati. Con il fronte anti-voto, interno allo stesso Pdl, pronto ad appoggiare una personalità prestigiosa capace di traghettare il Paese fino al 2013. Altri, invece, temono l’ennesimo bluff. Di Pietro, per esempio, consiglia prudenza e insinua il dubbio sulle reali intenzioni di Berlusconi. Che alla fine potrebbe approfittare dei prossimi giorni per realizzare l’ennesimo gioco di prestigio e ricompattare la maggioranza. Una provocazione, data la promessa fatta al presidente della Repubblica. Ma al tramonto le ombre si allungano e fanno più paura che mai.

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