La matematica non è un’opinione



Nell’edizione odierna Il Quotidiano del Sud ha pubblicato nella rubrica “Lettere e interventi” alcune mie considerazioni relative ad un recente sondaggio sull’operato del presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio. Di seguito la mia lettera e la risposta di Annarosa Macrì.

Gentile dott.ssa Macrì, Il Sole 24 Ore ha diffuso i dati di un sondaggio sulla fiducia dei cittadini nei confronti del proprio presidente della Regione. Mario Oliverio ha avuto un gradimento pari al 38,1%, da cui si deduce che il 61,9% ne ha bocciato l’operato.
Sono stato un sostenitore di Oliverio e sarei ingeneroso se non considerassi il disastro che ereditò al momento dell’insediamento. Però non posso negare la grande delusione della sua gestione: nessuno dei problemi strutturali della Calabria è stato, non dico risolto, ma neanche affrontato adeguatamente. Inoltre, qualche scivolone a livello di immagine gli ha parecchio nuociuto: se dici che ti incateni a Roma per protestare contro il commissariamento della sanità, poi devi farlo; se dici che fai lo sciopero della fame contro l’ingiustizia dell’obbligo di dimora, poi devi farlo. Quanto meno per una questione di credibilità personale.
È singolare, ma non sorprende, leggere sui social i commenti al limite dell’entusiasmo dell’inner circle oliveriano. Evidentemente, si tratta di gente che preferisce guardare i 2/5 di bicchiere pieno e ignorare i 3/5 del bicchiere vuoto. Capisco la fedeltà e il senso di appartenenza, ma la freddezza dei numeri non dovrebbe consentire divagazioni sentimentali.
La Calabria è sempre più il paese dei Peppinielli. Certamente ricorderà la scena di “Miseria e nobiltà”, celebre commedia teatrale di Eduardo Scarpetta adattata cinematograficamente da Mario Mattoli con uno strepitoso Totò nei panni del protagonista Felice Sciosciammocca: il maggiordomo don Vincenzo dice a Peppiniello che, per restare nella casa di don Gaetano, deve dire di essere suo figlio. Peppiniello non ha esitazioni: «Don Vince’, basta che mi date da mangiare io vi chiamo pure mamma!».

RISPOSTA
Ho letto anch’io, carissimo. “Miracolo Oliverio”, ha scritto qualcuno, più oliveriano, evidentemente, dello stesso Oliverio, provando contestualmente ad ubriacarsi per la gioia. Invano: il bicchiere è drammaticamente mezzo vuoto. Del 23 per cento di consensi che Oliverio ha perso, strada facendo e governando faticosamente questa, glielo riconosciamo, faticosissima regione. Da dove si continua a partire per lavorare (i giovani), per curarsi (quelli di mezza età), per andare a fare da baby-sitter ai figli dei figli (i vecchi).
E se uno amministra una regione così, e non prova a inventarsi qualcosa, un’idea, un progetto, un’illusione, più che il bravo governatore, può solo aspirare a fare il bravo capostazione. Altro che “miracolo”! a parte il fatto che la parola “miracolo”, così come la sua cuginetta “boom”, mi fa aggricciare la pelle…
Per non parlare dei “peppinielli”, come li chiama lei, signor Forgione… i quali, a dire il vero, tutti i torti non ce l’hanno: il 38 e uno per cento di gradimento, in un sondaggio rilevato peraltro in marzo, quando il Nostro era “al confino” e non erano chiari i contorni di una vicenda giudiziaria che si è rivelata una bolla di sapone, seppure avvelenato, beh, non è poco…
Secondo me, lo stesso Oliverio, detto anche “il lupo”, uno che avrà mille difetti, ma gli altri lupi del branco li conosce benissimo, per non parlare degli agnelli, si sarà sorpreso moltissimo, così tanto da rimanere basito, e non proferire, prudentemente, parola (mi pare che non ci sia nessun suo commento in giro), ma, tra sé e sé, si sarà detto: Sila maiala… il bicchiere è mezzo pieno…
E’ che i “peppinielli” dovrebbero spiegargli (ma lui lo sa benissimo) che quel 38 e uno per cento non è un voto di gradimento a lui, ma di s-gradimento di quelli che potrebbero prendere il suo posto, la Destra, insomma, che sia Forza Italia, o, peggio, la Lega… perché le (cinque) stelle, mi sa, stanno a guardare… chiamasi insomma “sindrome della diligenza”: l’assalto è feroce, serriamo le fila, i vecchi e i nuovi barbari stanno arrivando…
Riuscirà la diligenza a imbarcare – ragiono come la casalinga di Voghera e mi perdoni – l’altro 12 e nove per cento che le serve per superare la Destra? Difficile. Anche perché una bella parte dell’era della giunta oliveriana, la penultima che, insieme allo sprint finale, è tradizionalmente quella pre-elettorale, è stata obbiettivamente azzoppata dalla bolla di sapone avvelenato preparata dai magistrati.
E poi perché non c’è Pagnoncelli o Noto o Ghisleri che tengano: i Calabresi, da che esiste la Regione, hanno sempre votato per l’alternanza, illudendosi che “cambiando il campo”, possano cambiare le cose.
E io dico: a ’sto giro, purtroppo. Anzi, aggiungo: fatemi salire sulla diligenza. Mi basta un predellino, mi accontento di poco, di molto poco.

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A proposito dell’incontro al municipio sulla vicenda dello svincolo autostradale

Avevo assicurato agli organizzatori dell’incontro “SOS Viabilità Aspromonte” un mio intervento, che effettivamente era in scaletta. Ma l’evento, iniziato alle 17.30, ha registrato tanti interventi (alcuni oggettivamente estenuanti) e alle 20.15 sono dovuto andare via senza potere esporre il mio pensiero. Di questo mi scuso con gli organizzatori, con i rappresentanti istituzionali e con i cittadini intervenuti. Il tema dello svincolo è molto sentito dalla nostra popolazione: grande merito va riconosciuto al “Comitato per lo svincolo” che da anni conduce questa battaglia e ad Ambrogio Pancanno che si è fatto promotore di questo incontro con tre parlamentari del Movimento 5 Stelle: i deputati Giuseppe D’Ippolito ed Elisabetta Barbuto, il senatore Giuseppe Fabio Auddino.
Ho ascoltato con attenzione gli interventi dei rappresentanti del Movimento e quelli successivi, finché sono rimasto nell’aula consiliare. Non ho avuto sensazioni positive, come tanti dei presenti e di coloro che hanno preso la parola. Nel mio piccolo ho sostenuto questa battaglia insieme al consigliere comunale Pasquale Napoli e al responsabile provinciale del PD per le politiche del territorio, Giuseppe Pinto. Abbiamo più volte tentato di accendere i fari su questa annosa vicenda, con lettere indirizzate al Ministero Infrastrutture e Trasporti, al governatore della Regione Calabria Oliverio, al sindaco della Città Metropolitana Falcomatà, al prefetto di Reggio Calabria, ad Anas. Poi siamo usciti dal PD, ma questa è un’altra storia.
Il ripristino dello svincolo era stata una promessa elettorale nelle passate regionali. La legislatura è finita e, credo, anche il tempo delle promesse. D’altronde l’intervento odierno del consigliere regionale Gianni Nucera è stato subito stoppato dalla replica dell’On. Barbuto, che ne ha sostanzialmente smentito la rappresentazione dei fatti.
Noi una risposta l’abbiamo avuta l’anno scorso e quella avrei voluto leggere, per sgombrare il campo dagli equivoci e per puntualizzare alcune questioni centrali, che a mio avviso sono state affrontate con un po’ di vaghezza e di approssimazione. È la risposta di Anas a una delle tante nostre lettere, datata 19 febbraio 2018. In un passaggio si legge: «Nonostante gli approfondimenti di Anas per inserire il nuovo svincolo, includendo anche la possibilità di intervenire sulle gallerie di recente costruzione, la suddetta proposta progettuale non ha ottenuto valutazione positiva da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Ministero Infrastrutture e Trasporti, in considerazione dell’impatto dell’opera sulla sicurezza stradale, visti i molti vincoli che caratterizzano il contesto, nonché della rilevanza funzionale ed economica delle connesse misure mitigative, attesi i costi di demolizione e ricostruzione di opere di nuova realizzazione. Anche per la successiva ipotesi di “svincolo parziale” (contemplate le sole rampe da e per Reggio Calabria), individuata da Anas, onde evitare almeno di intervenire sulle gallerie già realizzate, non si è registrata la valutazione favorevole del MIT, a fronte degli aspetti legati alla sicurezza stradale e alla sostenibilità tecnico-economica dell’intervento. Pertanto, in merito alla richiesta di un nuovo svincolo autostradale per Sant’Eufemia, i pareri formulati dalle autorità preposte, MIT e CSLLPP, non rendono prospettabile l’inserimento di tale nuova opera, ancorché caratterizzata da sole manovre parziali, visti i vincoli oggettivi presenti».
Gli interventi ascoltati oggi sono stati un tiro a segno contro Anas, ma – carte alla mano – la questione appare leggermente diversa.
Avrei voluto chiedere se dall’anno scorso ad oggi sono cambiati i tecnici del MIT e la composizione del CSLLPP. In caso contrario oggi si è fatta soltanto aria fritta: e non è neanche detto che altri tecnici siano così propensi a smentire il parere di altri colleghi e una decisone che, nero su bianco, è nella risposta che Anas ha inviato alla prefettura di Reggio Calabria.
Il deputato D’Ippolito ha avuto l’onestà di ammettere che nel Contratto di Programma 2016-2020 lo svincolo non c’è. Per cui, in ogni caso, se ne potrebbe riparlare soltanto nella successiva programmazione.
Credo sia comprensibile la diffidenza dei cittadini, che condivido. Se ne sono viste talmente tante che ormai risulta difficile credere ad ulteriori promesse. Se poi i parlamentari oggi presenti a Sant’Eufemia saranno in grado di ribaltare la situazione cristallizzata nella lettera di Anas, noi saremo i primi a gioirne e ad applaudire. Ma prima vogliamo vedere i mezzi al lavoro per ripristinare ciò che ci è stato tolto, ingiustamente e con grave danno per la nostra comunità. Le rassicurazioni non bastano più.

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SP2 un anno dopo

Esattamente un anno fa come gruppo consiliare di minoranza “Per il bene comune”, denunciavamo lo stato disastroso in cui versa la Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale. Da allora niente è cambiato. Il manto stradale cosparso di pericolosissime buche lungo i suoi 7 chilometri certifica l’abbandono delle istituzioni che dovrebbero provvedere all’inserimento dei comuni pre-aspromontani nel novero dei paesi civili. Così non è e le “prediche inutili” di chi non può non segnalare la vergogna delle condizioni della viabilità restano lettera morta. I disagi inaccettabili per le centinaia di automobilisti del comprensorio, che quotidianamente percorrono questa importante arteria viaria per lavoro o per qualsiasi altra incombenza, non dovrebbero fare dormire i responsabili di uno sfascio che è sotto gli occhi di tutti. E invece si dorme. Regione Calabria, Città metropolitana: dove siete? Non ne possiamo più di rari e insufficienti interventi di riparazione alla meno peggio delle buche più pericolose: qualche badilata di asfalto che la prima pioggia porta via facendo ogni volta tornare tutto al punto di partenza.
Intanto sono iniziate le grandi manovre in vista delle elezioni regionali e puntualmente si torna a parlare della possibilità di ripristinare lo svincolo autostradale di Sant’Eufemia. I lavori di compensazione/risarcimento che erano stati promessi per mettere un po’ a tacere la protesta provocata da quello scippo che fine hanno fatto? L’intervento “straordinario” da 7,1 milioni di euro dove si è incagliato? O si tratta soltanto di uno specchietto per le allodole da rispolverare nell’imminenza di qualche appuntamento elettorale?
Più di un anno fa un comunicato stampa dell’amministrazione comunale di Sant’Eufemia informava che il 27 ottobre 2017 c’era stata una riunione presso la sede Anas di Cosenza, nella quale si era convenuto che “sarà cura della Regione Calabria provvedere alla progettazione dell’intervento di messa in sicurezza e manutenzione straordinaria della ex Statale 112, nel tratto che va dall’abitato di Sant’Eufemia d’Aspromonte al bivio di Solano” e che “Anas, al termine della fase progettuale, procederà quindi all’esecuzione dei lavori previsti”. Inoltre, si leggeva: “si rappresenta che è in corso una convenzione tra Anas, Regione Calabria e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, da sottoscrivere presumibilmente entro la fine del corrente anno”. Il corrente anno era il 2017: qualcuno, dopo tutto questo tempo, è in grado di dare qualche risposta a queste popolazioni dimenticate da Dio e dagli uomini?

Sant’Eufemia d’Aspromonte – Gruppo consiliare “Per il bene comune”
Domenico Forgione (capogruppo)
Pasquale Napoli

*In foto, la sintesi della nota pubblicata sulla Gazzetta del Sud del 10 gennaio 2019

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I leghisti calabresi e il carro dei vincitori

Non mi sorprendono i sei bus che partiranno dalla Calabria per partecipare, sabato 8, alla manifestazione in sostegno della Lega di Matteo Salvini. Così come non mi ha sorpreso il pienone registrato qualche giorno fa, alla manifestazione leghista di Roccella Ionica su “Giovani e politica”.
Nel Sud e in Calabria è sempre stato così, sin dai tempi dell’ascarismo giolittiano. In un bel racconto (“Masse e potere”, in: “Il popolo delle cantine e altri racconti della Caulonia di un tempo”), Ilario Ammendolia narra la storia di Ciccillo, nato ai primi del Novecento. Il nostro protagonista era appena un ragazzo quando nella cittadina si sparse la voce che dalla stazione ferroviaria (da raggiungere a piedi alla marina) sarebbe passato il principe ereditario, il futuro Umberto II. Vestito a festa dalla madre, anche lui assistette con altre centinaia di persone al passaggio del figlio di Vittorio Emanuele III: sindaco con tanto di fascia tricolore e cilindro sulla testa, carabinieri in alta uniforme, magistrati, gnuri e gente comune. Un’attesa frustrata dal ritardo del treno, che quando arriva rallenta appena ma non si ferma, per la delusione del sindaco, che aveva preparato due pagine di discorso, della banda musicale e dei cittadini accorsi: solo un veloce saluto con la mano portata alla visiera. Anni dopo sarebbe stata la volta del Duce. Anche in quella circostanza tutto il paese viene mobilitato: tutti vestiti in camicia nera o nelle divise delle organizzazioni fasciste ad accogliere l’Uomo della Provvidenza. E anche quella volta un passaggio rapido: il treno rallenta e subito riparte. Finita la guerra è la volta dei pullman per la DC di De Gasperi, per il PCI di Togliatti, per i monarchici di Lauro.
«Ogni volta – considera Ammendolia – la gente partiva a salutare il “Salvatore” di turno. Poi tutto tornava come prima». Ormai vecchio e stanco Ciccillo, che in gioventù aveva partecipato a tutte le manifestazioni, va anche a vedere Fanfani, all’epoca presidente del consiglio dei ministri, in visita al centro storico. Tuttavia, “un tarlo gli rodeva il cervello”: la constatazione di una “sostanziale continuità” tra vecchie e nuove generazioni, entrambe – ogni volta – esaltate e organizzate per acclamare il politico di turno “eccezionale”, colui che avrebbe risolto ogni problema. Ma che puntualmente non risolveva un bel niente, lasciando tutti con l’amaro in bocca.
Un Ciccillo vissuto negli ultimi 25 anni avrebbe probabilmente acclamato il Berlusconi “unto del Signore”, come molti in Calabria hanno fatto finché Sua Emittenza è stato l’elemento centrale della politica nazionale. Successivamente sarebbe impazzito per Renzi. Ho bene impresse nella memoria, per averle vissute da (allora) segretario del Pd di Sant’Eufemia d’Aspromonte, le primarie che incoronarono l’uomo di Rignano segretario nazionale e le successive regionali, che contrapposero Mario Oliverio e Gianluca Callipo nella candidatura a governatore. In entrambi i casi ci fu la straordinaria mobilitazione di un elettorato tradizionalmente e platealmente di destra a supporto di Renzi e di Callipo. Nel primo caso, perché l’exploit renziano era nell’aria e il berlusconismo allo sbando: insomma, personaggi in cerca d’autore se ne videro parecchi. Nel secondo caso, perché il Pd nazionale fece di tutto per stoppare una candidatura che godeva di ampi consensi, ma che risultava indigesta al giglio magico: ricordiamo tutti le pressioni per non fare svolgere le primarie e decidere il candidato a Roma.
Oggi Ciccillo è leghista, non ci sono dubbi: è stato al convegno di Roccella e sabato sarà a Roma. Niente di nuovo sotto il sole. Questo è il momento di Salvini: quelli più in buona fede si affidano al nuovo “salvatore”, quelli più furbi prosaicamente si schierano con il vincente di turno. Questi ultimi, in genere, sono quelli che decidono le elezioni: alcuni cambi di casacca e distinguo dell’ultimo periodo, dalla Sila all’Aspromonte, non fanno altro che confermare la tendenza atavica degli ascari nostrani ad accodarsi al potente del momento, in cambio della propria sopravvivenza e di qualche briciola. Il popolo, come Ciccillo, va avanti e indietro dalla stazione, con in mano il fazzolettino da sventolare.

*Il Quotidiano del Sud, 8 dicembre 2018 (“Lettere e interventi”).

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Biblioteca comunale: un’occasione mancata

Secondo i dati divulgati dalla Fondazione Openopolis e riportati sul giornale online “Il Corriere della Calabria”, nell’ultimo anno due bambini/adolescenti su tre di Calabria, Sicilia e Campania non hanno letto nemmeno un libro. Un dato preoccupante, che dovrebbe fare riflettere anche sull’importanza di una presenza virtuosa e dinamica delle biblioteche nei territori.
Spiace constatarlo, ma la biblioteca del nostro comune presenta standard qualitativi molto bassi. Eppure gli strumenti per tentare di migliorare la situazione ci sarebbero, se solo si fosse più attenti. Il 23 maggio scorso la Regione Calabria aveva ad esempio emanato un avviso pubblico “per la selezione e il finanziamento di interventi finalizzati a sostenere il funzionamento delle biblioteche e degli archivi storici calabresi” (decreto dirigenziale n. 5052). L’azione 1 mirava a “sostenere il funzionamento delle biblioteche calabresi degli Enti locali, dei Sistemi Bibliotecari, delle Biblioteche scolastiche e delle biblioteche riconosciute di interesse locale con DPGR”. L’azione 2, invece, era riservata agli archivi storici. Per l’azione 2, in ogni caso, non ci sarebbe stato niente da fare, non avendo Sant’Eufemia un archivio storico comunale. Ma questo è un altro discorso, che tra l’altro ripeto inutilmente da più di dieci anni.
Veniamo all’azione 1. Pochi giorni fa la Regione Calabria ha approvato la “graduatoria provvisoria del finanziamento degli interventi finalizzati a sostenere il funzionamento delle biblioteche e degli archivi storici calabresi – annualità 2018” (decreto dirigenziale n. 12542 del 5 novembre 2018). In particolare, per l’azione 1 (quella destinata alle biblioteche) sono stati ammessi al contributo regionale 80 progetti; 15 proposte non sono state ammesse per il mancato raggiungimento del punteggio minimo; 19 sono state escluse dalla valutazione per la mancanza di requisiti o per errori formali.
Ho cercato inutilmente tra gli allegati il comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Non è presente in nessuno dei tre elenchi pubblicati: né tra le proposte finanziate, né tra quelle escluse. Ciò significa che l’amministrazione comunale non ha nemmeno presentato la domanda per accedere al finanziamento.
Sinceramente, tutto questo suscita amarezza. Insomma, la biblioteca comunale è là, a languire. Da poco sono stati almeno sistemati negli scaffali i volumi che per quasi due anni hanno fatto bella mostra sparsi disordinatamente un po’ ovunque, rendendo di fatto non fruibile la biblioteca stessa. Continuo a credere nella funzione culturale delle biblioteche in una comunità: luoghi che però hanno bisogno di essere animati con atti e fatti, altrimenti si riducono a cimiteri di libri.
Sappiamo bene che i fondi destinati alla cultura sono sempre striminziti. Proprio per questo è auspicabile una maggiore attenzione da parte di chi ha responsabilità amministrative per tentare di intercettare quelle poche opportunità che ogni tanto si presentano.

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Il trionfo della post-verità

Tempi duri per chi non ha in tasca una verità assoluta, che non ha bisogno di essere argomentata per imporsi su un pubblico sempre più refrattario al metodo del confronto tra idee contrapposte, in una cornice di rispetto delle regole basilari per ogni civile discussione. I ragionamenti sono orpelli del passato, tempo perso in un mondo che va di fretta e che richiede presenza scenica, anche a costo di smentire domani ciò che si è sostenuto oggi: è molto più semplice cavarsela con gli striminziti caratteri di un tweet all’ora, restando comunque sul pezzo dell’eterna competizione per la visibilità.
La mancanza di contraddittorio consente ad ogni utente di essere custode di una verità (la propria) che non ha bisogno di essere supportata da riscontri fattuali, perché suo habitat naturale sono le emozioni. Ma la verità è fatta di sfumature che non tutti sono in grado di cogliere, può essere addirittura ingannevole come quella di Sciascia: «La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità». Richiederebbe, in ogni caso, uno sforzo dialettico dal quale oggi la comunicazione sui social sfugge con calcolo premeditato. Il confronto può avere come conseguenza la revisione del pensiero, la sconfessione di una verità strumentale ma utile alla propria affermazione. In una realtà di compartimenti stagni, incomunicabili tra di loro, non conviene: per il politico-comunicatore le priorità sono marcare il territorio e tenere unito l’esercito dei difensori della propria verità.
L’epoca della post-verità concede inoltre ad una schiera sterminata di utenti la possibilità di trovare nei social uno strumento di riscatto personale; l’occasione di uscire dal grigiore del proprio anonimato sentendosi protagonista di un’opera nientemeno purificatrice, tanto necessaria quanto osteggiata dagli impalpabili poteri forti, dalla casta, da tutta una serie di personaggi inclusi apoditticamente nella categoria del “nemico”. Chiunque può veicolare notizie, la deontologia professionale è un ricordo del passato che nulla può di fronte a ragioni superiori: aiutare l’umanità a diventare soggetto consapevole, scoperchiare le falsità messe in circolazione dalla solita stampa prezzolata.
L’irresponsabilità e la sostanziale impunità offrono un vantaggio non irrilevante agli avvelenatori di pozzi e ai divulgatori di fake news che sguazzano nello stagno fetido dei sentimenti primordiali. Uno studio su Twitter pubblicato dalla rivista scientifica “Science” avverte che «le notizie false hanno sempre la meglio sulla verità, raggiungono più persone, penetrano più in profondità nei social network e si diffondono molto più rapidamente delle notizie vere». Sette volte su dieci una bugia ha più possibilità di essere ritwittata rispetto a una notizia vera, fondamentalmente perché essa provoca nell’utente un’emozione maggiore (indignazione, sorpresa) rispetto alla reazione che si ha di fronte a notizie non “forti”, in qualche modo ordinarie. In definitiva, i social amplificano la falsità a discapito della verità ed il guaio – questa la conclusione ripresa dal settimanale “Internazionale” – è che «nessuno (esperti, politici, aziende tecnologiche) sa come cambiare questa tendenza».
Non siamo messi affatto bene.

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La pacchia

Gli immigrati sono i nuovi ebrei, la feccia del mondo sulla quale scaricare l’istinto animale di una società in sofferenza. Nei momenti più bui della storia dell’umanità, per giustificare odio e violenza si è sempre cercato un capro espiatorio. Oggi il capro espiatorio è il colore della pelle di chi non ha niente, se non la forza delle proprie braccia pagata a 2-3 euro l’ora. Quelli che “rubano il lavoro agli italiani”.
Della vicenda di Sacko Soumalia so quello che ho letto sui giornali o facendo un giro nella rete. Forse stava rubando vecchie lamiere da una fabbrica in disuso per potere sistemare alla meglio il suo fatiscente alloggio del ghetto di San Ferdinando, una struttura che grida vendetta al cospetto di Dio. O forse era un sindacalista che lottava per migliorare le condizioni lavorative e di vita dei propri compagni sfruttati nella piana di Gioia Tauro.
Dal mio punto di vista è irrilevante. Quel che conta è che è stato ucciso un ragazzo di 29 anni con un colpo di fucile sparato da 60 metri; ed io penso che in una società appena appena “umana” non dovrebbero esistere cecchini che sparano per uccidere altri uomini. Penso anche che a Gioia Tauro un cecchino non avrebbe preso la mira contro un ladro bianco, magari calabrese: la vita di un negro non vale niente, solo partendo da questo assunto si può comprendere la barbarie del gesto.
Ieri il “Corriere della Sera” ha pubblicato un’intervista all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che andrebbe incorniciata. Non esiste altra via che quella della ricerca di un punto di sintesi tra le ragioni della sicurezza e quelle del rispetto dei più elementari principi di umanità.
La propaganda elettorale permanente nella quale viviamo, alimentata da una studiata strategia mediatica, non ci permette di fermarci per riflettere sulla complessità del fenomeno migratorio. Soffiare sul fuoco dell’odio di un elettorato impaurito e arrabbiato è politicamente redditizio. Ma poi ci sono responsabilità di governo urgenti e ineludibili, ai quali non si può dare risposta a colpi di tweet o di video-messaggi privi di contraddittorio: anche perché i migranti continuano ad arrivare. La questione è come affrontare le problematiche connesse ad un esodo inarrestabile: e questo c’entra poco con “gli stranieri che delinquono”.
Le semplificazioni vanno bene in campagna elettorale, meno quando si tratta di governare. Alimentare tensioni è da irresponsabili. Un ministro dell’Interno non può e non deve essere irresponsabile: non può permetterselo, né può esprimersi come l’avventore di una bettola.
Due anni fa mi trovavo ricoverato all’ospedale “Riuniti” per un piccolo intervento. Nella notte furono portate diverse donne, sbarcate nel porto di Reggio Calabria con altre centinaia di disperati che avevano affrontato il viaggio dall’Africa stipate nel vano motori. Avevano ustioni su tutto il corpo, soprattutto alle gambe e alla schiena, tanto che non riuscivano a stare sdraiate sopra il lettino. Uno strazio. Le vedevi tutto il giorno piegate sulla pancia, appoggiate nella parte centrale del materasso, come se stessero affacciate ad una finestra. La finestra della libertà, dalla quale affacciarsi con gli occhi gonfi di paura e di sofferenza, nel petto la speranza di una vita migliore. La “pacchia” no, nei loro occhi quella non si leggeva.

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Contro la guerra

Ogni tanto mi viene chiesto se ha un significato particolare il pezzo di stoffa bianco, un po’ annerito dal tempo, che tengo annodato allo specchietto retrovisore della mia auto. Sì, è roba vecchia, scassata come la mia auto. Ma simboleggia la convinzione che guerra e violenza non possono mai essere una soluzione per le questioni internazionali ed umanitarie. Tutt’al più ne rappresentano la comoda, per quanto inutile, scorciatoia.
La campagna “uno straccio per la pace” fu lanciata da Emergency per protestare simbolicamente contro l’intervento militare in Afghanistan dopo l’attentato delle Torri Gemelle a New York: «Uno straccio di pace appeso alla borsetta o al balcone o all’antenna della macchina o al guinzaglio del cane per chiedere che questa guerra finisca e non ne nascano altre. Volere la pace non significa mancare di rispetto alla memoria di chi è morto negli attentati. Confidare nella pace non significa non aver pianto per le migliaia di vittime innocenti». Erano le giornate della contrapposizione feroce tra interventisti e pacifisti, in Italia riassunta negli scritti di Oriana Fallaci (La rabbia e l’orgoglio) e Tiziano Terzani (Lettere contro la guerra).
Essere per la pace non significa “parteggiare” per qualcuno. Non ho alcuna simpatia per il boia Assad, né per quell’autocrate di Putin, né per Trump che definisce “simpatici” missili che sappiamo quanto possano essere “intelligenti” e quali “effetti collaterali” siano in grado di produrre. Così come non ne avevo, ieri, per Bin Laden, Saddam Hussein e Gheddafi. Essere per la pace significa contestare l’utilizzo delle armi per la soluzione dei conflitti, privilegiare la strada della diplomazia, ma soprattutto respingere l’ipocrisia di chi – oggi come ieri – nasconde dietro il velo degli alti ideali propagandati la vera ragione dei conflitti: la difesa degli interessi economici e geopolitici da parte delle grandi potenze sullo scacchiere mediorientale.
In Siria la guerra è iniziata sette anni fa, non oggi. E a pagarne il prezzo più alto, come sempre accade nelle guerre, è il popolo siriano con le sue migliaia e migliaia di vittime, con i suoi milioni di civili allo stremo e in fuga dalle proprie case.
Pochi giorni fa i mezzi di comunicazione hanno diffuso le immagini dell’attacco chimico a Douma, con l’utilizzo del gas del regime siriano contro la popolazione inerme. Sulla base di questa informazione, basata su video prodotti da fonti locali non verificabili e riconducibili agli ambienti anti-Assad. La memoria corre veloce alla fiala di polverina bianca agitata dal sottosegretario di stato americano Colin Powell, il “casus belli” della guerra in Iraq, che poi si rivelò essere stata invenzione di un ingegnere chimico iracheno (nome in codice: Curveball). Anni prima, nella sua Lettera da Kabul (19 dicembre 2001) Tiziano Terzani aveva considerato: «Le emozioni suscitate da tutta una serie di notizie false, compresa quella delle fiale di gas nervino “trovate” in un campo di Al Qaeda vicino a Jalalabad, sono servite a rendere accettabili gli orrori della guerra, a mettere le vittime nel conto dell’inevitabile prezzo da pagare per liberare il mondo dal pericolo del terrorismo».
L’uccisione di Gheddafi e la vicenda del fermo che ha recentemente colpito Sarkozy, lautamente finanziato dal rais libico per la sua ascesa all’Eliseo prima di diventarne il carnefice, dovrebbe insegnare qualcosa sulla genuinità dell’intervento delle potenze straniere nelle questioni nazionali. Il consuntivo degli ultimi due decenni conferma l’impossibilità di esportare la democrazia “sulla punta delle baionette”; in particolare ci dice che il terrorismo internazionale è fenomeno complesso e camaleontico, capace di mutare natura e strategie: la soluzione “militare” sarà sempre inefficace, se non si riuscirà ad intervenire sulle cause del fondamentalismo.
A chi gli faceva notare che “in tutta la storia ci sono sempre state delle guerre, per cui continueranno ad esserci”, il Mahatma Gandhi obiettava: «Ma perché ripetere la vecchia storia? Perché non cercare di cominciarne una nuova?».

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I motivi del No alla cittadinanza onoraria per Barbara D’Urso



Tra i punti dell’ordine del giorno del consiglio comunale di oggi c’era il conferimento della cittadinanza onoraria di Sant’Eufemia d’Aspromonte a Barbara D’Urso. Come gruppo consiliare “Per il Bene Comune” abbiamo espresso voto contrario. Di seguito, la nostra dichiarazione di voto:

Non riconosciamo alla signora Maria Carmela alias Barbara D’Urso meriti particolari, tali da giustificare il conferimento della cittadinanza onoraria di Sant’Eufemia d’Aspromonte: a meno che non sia sufficiente avere origini eufemiesi e soprattutto (azzardiamo, ma non tanto) essere personaggio celebre. Requisiti che indubbiamente sono in possesso della nota conduttrice televisiva.
Ma di che genere di televisione stiamo parlando?
La tv della lacrimuccia elemento essenziale di un abusato copione. La tv dello sciacallaggio e della cinica spettacolarizzazione del dolore, offerto sull’altare del dio auditel. La tv del gossip, che per mesi e mesi segue le vicende di coppie che scoppiano, si ricompongono e poi scoppiano ancora, ovviamente a favore di telecamera. La tv dei vip in lotta per un’eredità o in contatto con l’aldilà. La tv dei “morti di fama” che si sottopongono a decine e decine di interventi chirurgici per somigliare a una bambola. La tv del kleenex e dei guardoni, che fa l’occhiolino alla pancia e al voyeurismo di certo pubblico. Di questa televisione stiamo parlando. Ma se anche si volesse sorvolare su considerazioni opinabili, che attengono ai gusti e alle inclinazioni personali di ciascuno di noi, la signora D’Urso ha mai contribuito in qualche modo alla crescita del nostro territorio? Si basa forse su questo assunto un riconoscimento di così grande valore? Non ci risulta.
Il conferimento della cittadinanza onoraria a Barbara D’Urso è soltanto una bassa operazione di marketing, forse utile per intascare una comparsata in televisione.
Siamo perfettamente consapevoli che questi sono i tristi tempi che viviamo. La religione del nostro tempo ha elevato la frivolezza a valore e l’apparire ad essenza della stessa azione politica.
Non vogliamo arrenderci a questo declino. Siamo convinti che la politica debba volare alto, concentrarsi sulle risposte da dare ai problemi dei cittadini, che sono molti e gravi, non scadere nell’utilizzo di imbarazzanti armi di distrazione di massa finalizzate all’effimero godimento di un quarto d’ora di celebrità.
Per tutte queste ragioni, esprimiamo voto contrario.

DOMENICO FORGIONE – Capogruppo
PASQUALE NAPOLI – Consigliere

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La scoppola elettorale

Tre dati oggettivi: 1) hanno vinto M5S e Lega; 2) il centrodestra a trazione leghista avrà il maggior numero di parlamentari; 3) PD e LeU hanno fallito rovinosamente. Partendo da questi dati credo si possano fare alcune considerazioni.
Le correnti populiste sono maggioritarie in Italia (pure il dato della Meloni si può leggere da questa prospettiva), anche se nell’operazione di “sfondamento” della Lega al Sud c’è dell’altro e proprio la provincia di Reggio Calabria ne è la dimostrazione evidente.
La bocciatura del PD va in gran parte ascritta al solipsismo di Renzi e all’inadeguatezza di una classe dirigente disconnessa dalla realtà e indifferente agli “avvertimenti” più volte lanciati dagli elettori (elezioni amministrative, referendum).
La scissione di LeU, che si prefiggeva di recuperare “dal bosco” i tanti delusi, non ha sortito alcun effetto a parte la garanzia di una ridotta presenza parlamentare: ma di questo fallimento bisogna prendere atto. Io per primo, che nel mio piccolo ho sostenuto un progetto il cui esito lascia ora un senso di forte smarrimento, nonostante la convinzione della sua bontà ideale.
L’Italia uscita fuori dalle urne è tagliata in due, con il Nord in mano al centrodestra e il Sud conquistato dai grillini. Quest’esito si può spiegare con il contributo determinante della Lega al Nord o, più semplicemente, con il fatto che evidentemente gli enti locali di quell’area geografica sono amministrati bene: in caso contrario la sua classe dirigente sarebbe stata bocciata dalle urne. Nel Sud le cose vanno diversamente. Al netto del fallimento di rappresentanti politici che (a destra, a sinistra e al centro) hanno sempre pensato a perpetuare se stessi, ogni elezione viene caricata di aspettative così pesanti puntualmente disattese, che provocano lo spostamento di interi blocchi sociali da uno schieramento all’altro. L’assenza di partiti radicati, ormai ridotti a comitati elettorali ottocenteschi, aiuta questo fuggi-fuggi generale. Altrimenti non si spiegherebbe come la Calabria abbia potuto accordare in scioltezza ampie maggioranze prima a Berlusconi, poi al PD e oggi a Di Maio.
C’è sempre l’attesa del messia che compia il “miracolo” di risollevare questa terra, ma la questione calabrese (sottocapitolo della più ampia questione meridionale) è argomento di campagna elettorale che muore il giorno dopo il voto. Per colpa di Roma, ma anche per colpa di una classe dirigente locale che a Roma conta meno di zero. I tempi della politica sono diventati velocissimi, bastano un paio di anni per disperdere consensi molto vasti.
La palla passa ora a Mattarella e subito dopo al Parlamento italiano. Personalmente non ho mai temuto l’esito di una votazione: la nostra repubblica ha anticorpi che impediscono paurosi salti nel buio.
Vivo gli appuntamenti elettorali come una festa: la festa della democrazia. Il voto va sempre rispettato. Chi ha vinto deve governare il Paese ed essere messo alla prova per verificare se all’abilità nella critica corrisponde la capacità di passare dalla politica parlata a quella delle realizzazioni concrete.
Certo, la mancanza di una maggioranza numerica complica le cose: ma credo che i numeri, alla fine, si troveranno.

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