27 milioni di sberle

Non può che essere accolta con favore la resurrezione dell’istituto referendario, talmente bistrattato negli ultimi sedici anni e fino a ieri da provocare fastidio ogni qual volta se ne annunciava la riproposizione: “tanto il quorum non verrà raggiunto neanche in questa occasione”. Dopo 24 quesiti affossati, finalmente la fatidica soglia è stata superata. Ed è stata una valanga di sì. La percentuale dei votanti (57%), confrontata con il massiccio astensionismo del secondo turno delle amministrative, è stata imponente, anche perché raggiunta al termine di una battaglia impari contro tentativi di azzoppare i referendum al limite della decenza. La scelta dell’ultima data utile, nella speranza che l’avvicinarsi dell’estate incoraggiasse la diserzione; gli espliciti inviti all’astensione di gran parte dell’esecutivo; la scarsissima informazione televisiva. Con la menzione particolare guadagnata dal tg1, grazie alla chicca dell’invito ad “organizzare una giornata al mare”. La scientifica campagna di oscuramento è stata però stracciata dall’insistente passaparola su internet, che ha sancito la vittoria della rete sul mezzo televisivo. L’azione del movimento pro-referendum, tambureggiante e coinvolgente, ha incrociato la volontà degli elettori di non delegare le decisioni riguardanti i grandi temi, per non vedere mortificata l’aspirazione ad essere artefici del proprio destino e per sentirsi protagonisti in una stagione che annuncia grandi cambiamenti.

Sì alla politica, no ai politici. Si potrebbe sintetizzare così il significato di un voto che riconsegna al popolo quel potere decisionale leso dall’attuale vergognosa legge elettorale. Politica energetica “verde”, gestione pubblica dell’acqua, giustizia giusta per tutti. Il merito dei quesiti aiuta a spiegare il dato dell’affluenza e la partecipazione di tanti elettori che hanno sentito il dovere civico di esprimersi sullo specifico dei referendum, ma anche – per esempio – su una questione di principio: quando il pubblico non funziona, occorre fare in modo che sprechi e inefficienze vengano superati, non procedere allo smantellamento e alla cessione ai privati. Un ragionamento che ovviamente vale per l’acqua, ma anche per quei comparti spesso finiti sotto accusa (scuola, sanità, trasporti).
L’altro messaggio stampato sulle schede imbucate nelle urne, la bocciatura del governo Berlusconi e la fine della sintonia del premier con la maggioranza degli italiani, conferma il trend delle recenti elezioni amministrative. Un tramonto che molti hanno accostato all’epilogo del craxismo per l’invito ad andare al mare, ignorato dagli elettori ora come nel 1991, quando il referendum sulla preferenza unica diede il via alla fine di un’epoca. Sarebbe però esiziale abbandonarsi a facili entusiasmi. La vera sfida, per i partiti e per la società civile, è riuscire ad incanalare in una proposta politica alternativa l’energia sprigionata il 12 e il 13 giugno. Perché l’antiberlusconismo può bastare per fare passare un referendum, ma per governare l’Italia occorre altro.
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