Zipanguli a prova

Ntoni voterà per la Meloni. Me lo ha confidato ieri, dopo avermi chiesto: «Per chi dobbiamo votare questa volta?». Nelle passate elezioni politiche aveva affidato le sue aspettative di cambiamento ai Cinque Stelle, ma dice che è rimasto deluso. Non succede di rado, in particolare nel Mezzogiorno e in Calabria, dove si attende sempre qualcuno che possa invertire il destino di regione fanalino di coda dell’Italia.
Ascoltandolo mi è tornato in mente il bel racconto “Masse e potere”, di Ilario Ammendolia, che narra la storia di Ciccillo, nato a Caulonia ai primi del Novecento. Ciccillo è appena un ragazzo quando in paese si sparge la voce che dalla stazione ferroviaria sarebbe passato il principe ereditario di Casa Savoia. Vestito a festa, anche lui assiste all’arrivo del futuro Umberto II: sindaco con tanto di fascia tricolore e cilindro sulla testa, carabinieri in alta uniforme, magistrati, notabili e gente comune. Tutti salutano il passaggio del treno, che rallenta senza neanche fermarsi: “ciao, ciao” del principe con la mano e il convoglio riparte. La stessa scena si ripete anni dopo, al passaggio del Duce, con la popolazione che si riversa nella stazione per accogliere l’Uomo della Provvidenza: il treno rallenta, “ciao, ciao” del Duce e poi si allontana. Nel secondo dopoguerra è la volta dei pullman organizzati per la DC di De Gasperi, per il PCI di Togliatti, per i monarchici di Lauro. Ogni volta il “salvatore” di turno viene acclamato e riverito; ogni volta non cambia niente.
Il racconto di Ammendolia potrebbe continuare fino ai nostri giorni, con l’ideale passaggio dalla stazione del treno con a bordo “L’unto del Signore” Silvio Berlusconi, Matteo Renzi “Il rottamatore”, Beppe Grillo “L’elevato”, Matteo Salvini “Il capitano”. La storia degli ultimi tre decenni. Il popolo a terra, l’eroe attaccato al finestrino a fare “ciao, ciao” con la mano.
Ora è il momento di Giorgia Meloni, “donna, madre e cristiana”, nell’indifferenza e nella rassegnazione generale. Un sondaggio rivela infatti che soltanto due elettori su dieci appaiono attenti alla campagna elettorale. Un dato di disaffezione pernicioso per la democrazia, drammatico ma emblematico dei piani separati sui quali vivono classi dirigenti e società reale, con le prime sorde rispetto alle problematiche della seconda, la quale ricambia riversando odio verso coloro che avverte – complice anche una legge elettorale scellerata – come privilegiati interessati esclusivamente alla conservazione della poltrona. Due mondi che non si parlano. Non basta postare una foto mentre si serve la pizza per apparire “alla mano” o particolarmente sensibile, né sbarcare su TikTok per conquistare i giovani, sfoggiando a pochi giorni dal voto un poco encomiabile sprezzo del patetico e del ridicolo.
Con la morte delle ideologie, ci si affida a chi la spara più grossa e a chi grida più forte contro chi è già stato al governo, giusto per punire chi ha “tradito” e nella speranza che sia la volta buona. A turno, così, si “provano tutti”: come gli “zipanguli” (angurie) dai quali il venditore estrae un tassello per convincere l’acquirente della bontà del prodotto. Mentre la manina, dal finestrino, saluta: «Ciao, ciao».

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