Domenico Antonio Tripodi e Dante Alighieri

Monte Purgatorio

Cosa lega Dante Alighieri a Sant’Eufemia d’Aspromonte? Posta così, la domanda potrebbe sembrare bizzarra. Eppure la relazione esiste, grazie al genio di Domenico Antonio Tripodi, noto come “L’Aspromontano”, che dal 1995 risiede a Roma, dopo avere vissuto in Toscana e a Corbetta (Milano). Il pittore eufemiese, celebre per il suo dipinto “Il filosofo”, finito anche in un volume della Storia della filosofia e delle religioni – Enciclopedia Tutto sapere (Edizioni Paoline-Saie), ogni estate fa ritorno nell’abitazione di via Nucarabella, dove è nato novant’anni fa. La sua lunga carriera artistica, che gli è valsa riconoscimenti e premi in tutto il mondo, si è sviluppata nei tre cicli del mito e dell’umanesimo, della tematica “ecologica” e, infine, della stagione dantesca. Della “riscoperta” di Dante, prima ancora che si avviassero i preparativi per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta (1321), Tripodi è stato un precursore, visto che all’interpretazione pittorica della Divina Commedia ha dedicato quasi trent’anni di ricerche, studi e sperimentazioni. Il risultato di quest’attività indefessa è un ciclo pittorico monumentale, che si compone di 150 opere tra disegni e pitture e che sono già noti sia in Italia che all’estero: memorabile la presentazione del 2005 presso la biblioteca centrale di Mosca.
Il paragone con gli artisti che nel tempo hanno dato forma alle terzine della Divina Commedia viene quasi naturale. La critica però concorda nell’escludere per Tripodi la qualifica “riduttiva” di illustratore: le sue opere non illustrano, bensì interpretano il pensiero di Dante. Ne è convinto, ad esempio, lo storico e critico dell’arte Claudio Strinati, dal 1991 a 2009 soprintendente per il Polo museale romano: «Nella lunga e complessa vicenda delle letture figurative di Dante, Tripodi ha saputo iscriversi da par suo, con una personalità spiccata e originale. […] Il pittore scende, in effetti, alle radici stesse dell’opera dantesca e ne rintraccia l’immane dottrina e la profonda e autentica spiritualità. Quel singolare equilibrio tra immediatezza e meditazione che caratterizza così bene la poetica dantesca, si rintraccia bene nella impostazione figurativa di Tripodi. A lui mai si potrebbe attribuire la qualifica di illustratore. Egli non illustra, infatti, ma rivive la vicenda dantesca, e la sua pittura è un bell’esempio di vicinanza tra nobili spiriti che pensano la stessa cosa in modi diversi e ritrovano una sintonia profonda a distanza di secoli».

L’indovino Tiresia
La fine di Ulisse
Minosse
La città dolente

*Le immagini dei quadri sono tratte dal Catalogo: Domenico Antonio Tripodi, Il colore nella Divina Commedia (2018).

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