La chiesa delle Anime del Purgatorio a Sant’Eufemia d’Aspromonte

La chiesa delle Anime del Purgatorio (o “del Purgatorio”) di Sant’Eufemia è uno scrigno di tesori, purtroppo inaccessibile per la maggior parte dell’anno. La costruzione attuale risale agli anni Venti-Trenta del secolo scorso, ma le sue origini risalgono più indietro nel tempo. Viene infatti menzionata per la prima volta negli atti della visita pastorale che il vescovo di Mileto fece a Sant’Eufemia nel 1706. Ma va sottolineato che la documentazione vescovile presenta un vuoto di 120 anni, risalendo al 1586 la precedente visita pastorale registrata. In quella circostanza il vescovo Marco Antonio del Tufo aveva censito quattro chiese, dedicate rispettivamente a Sant’Eufemia, Santa Maria delle Grazie, San Rocco e San Giovanni. Per cui è ragionevole collocare la data dell’edificazione della chiesa del Purgatorio in un arco temporale che va dal 1586 al 1706.
Secondo lo studioso Vincenzo Francesco Luzzi, nel Settecento la chiesa delle Anime del Purgatorio era la più attiva. La congregazione omonima era aggregata alla chiesa di Sancta Maria de Suffragiis (Roma) per i suffragi e per le indulgenze: «I fratelli indossavano sacco e scapolare nero con pileo e bacolo “ad morem peregrinorum”; facevano la processione di San Tommaso Apostolo e intervenivano alle processioni generali; facevano il I° Lunedì con esposizione del Santissimo; avevano le funzioni delle XL Ore, che nel 1728 si celebravano “pro circulo”, cioè erano circolari nelle chiese di Sant’Eufemia».
Negli atti delle visite pastorali effettuate nel XVIII secolo, relativamente alla chiesa del Purgatorio vengono annotati gli altari di San Tommaso Apostolo, di Maria SS. del Suffragio, di San Francesco Saverio, di San Filippo Neri, del Crocifisso, di San Luigi Gonzaga e di San Carlo Borromeo; la confraternita di San Francesco Saverio e quella della Beata Vergine dei Sette Dolori, entrambe composte da soli ecclesiastici.
La chiesa fu rasa al suolo dal terremoto del 1783, quindi ricostruita e nuovamente crollata dopo il sisma del 1908; fu infine riedificata tra gli anni Venti e Trenta del Novecento.
Tra le opere d’arte che custodisce, oltre ad oggetti di arte sacra realizzati artigianalmente e di rara bellezza (ostensorio, paramenti della omonima confraternita, croci), un posto particolare nel sentimento popolare è occupato dai lavori di due grandi pittori eufemiesi: Rocco Visalli (deceduto a soli 23 anni, nel 1845) e Carmelo Tripodi, artista poliedrico e fecondo. Del primo è possibile ammirare “San Francesco” e “Santa Filomena”; del secondo, la “Deposizione dalla croce” e “San Rocco tra gli appestati”. Di particolare interesse è anche la statua della “Madonna del Suffragio” (1832) di Raffaele Reggio, artista proveniente da Serra San Bruno; così come il dipinto posto alle spalle dell’altare maggiore, raffigurante la “Madonna delle anime del Purgatorio”: una pala ottocentesca restaurata circa trent’anni fa da un altro grande artista eufemiese, Graziadei Tripodi (il “restauratore al servizio di Dio”), che ha riportato alla luce diversi soggetti incredibilmente coperti al termine di un precedente restauro.

Deposizione dalla Croce – Carmelo Tripodi
San Rocco tra gli appestati – Carmelo Tripodi
San Francesco – Rocco Visalli
Santa Filomena – Rocco Visalli

*Fonti:
– Carmela Cutrì – Eufemia Tripodi, Cosma e Damiano. Medici-Martiri-Santi nella storia del culto in S. Eufemia d’Aspromonte, Virgilio editore (1998).
– Luzzi, Vincenzo Francesco, La Comunità ecclesiale di Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età moderna, in: Sant’Eufemia d’Aspromonte, Atti del Convegno di studi per il bicentenario dell’autonomia, Rubbettino editore (1997).

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L’Alfiere della Repubblica Roman Moryak: la premiazione

Si è svolta ieri al Palazzo del Quirinale la cerimonia di consegna degli Attestati d’Onore ai 29 nuovi Alfieri della Repubblica, giovani nati tra il 1999 e il 2008 “che si sono distinti per la loro testimonianza, il loro impegno, le loro azioni coraggiose e solidali” e che rappresentano modelli positivi di cittadinanza, “esempi dei molti ragazzi meritevoli presenti nel nostro Paese”.
Tra i premiati anche Roman Moryak (14 anni il 30 maggio), nato a Reggio Calabria da genitori ucraini che risiedono da circa 15 anni a Sant’Eufemia d’Aspromonte, con la seguente motivazione: «Si è distinto per la passione e l’impegno dimostrati prima nello studio del sassofono, poi nell’attività di calciatore, e quindi in quella di scacchista. Nei tornei di scacchi il suo valore è molto apprezzato e già diversi trofei sono entrati nella sua personale bacheca, oltre a piazzamenti importanti a livello regionale e nazionale. Essendo figlio di immigrati ucraini, nella sua comunità è divenuto un simbolo positivo di integrazione».
Si tratta di un riconoscimento del quale andare fieri come comunità eufemiese per il suo alto valore simbolico, in un momento storico particolarmente difficile per le tematiche legate al concetto di integrazione.
Nel suo intervento il Presidente della Repubblica Mattarella, riferendosi allo stupore dei giovani premiati in virtù di comportamenti da essi stessi considerati “normali”, ha sottolineato l’importanza di “far vedere che questa è la normalità della vita, che aiutare gli altri, aiutare chi è in difficoltà, rende la vita migliore, fa vivere meglio se stessi e la comunità in cui si è inseriti”: «Ed è quel che avete fatto, in tanti modi diversi, ciascuno con un’iniziativa particolare, dimostrando che ogni persona è irripetibile, ma che tutte queste risorse individuali confluiscono nella vita comune, nella convivenza. Non siete i soli a fare cose così belle da sottolineare; tanti altri ragazzi come voi hanno fatto cose analoghe. Voi li rappresentate tutti, perché il nostro Paese è pieno di ragazzi che hanno la vostra stessa sensibilità. È importante però farla conoscere, far capire che questa è la regola della vita, la normalità, che dovrebbe essere sempre praticata da tutti».
«Vi ringrazio molto – ha concluso il capo dello Stato – perché avete dimostrato che questa è la vita del nostro Paese e che la solidarietà è l’impalcatura della convivenza. Nulla regge senza impalcatura. La nostra società, il nostro vivere insieme non starebbe in piedi senza la solidarietà. Voi l’avete praticata e dimostrata».
Complimenti a Roman e auguri anche ai genitori, Igor e Ivana.

*La fotografia e il video della consegna degli attestati sono condivisi dal sito istituzionale della Presidenza della Repubblica (www.quirinale.it)

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Oggi non è un bel giorno

Chi ha subito un attentato conosce bene la prostrante sensazione di amarezza e di incredulità che ti resta a lungo dentro. Vorresti capire perché ti è capitata una cosa tanto brutta e vile. Per mesi o anni, o per sempre, temi che possa riaccadere. Di notte, poi, ogni rumore che somigli a uno scoppio ti fa saltare dal letto.
Non è paura, i vigliacchi non fanno paura perché soltanto di quello sono capaci: agire nell’ombra, fare un “dispetto”. Però la serenità di una famiglia viene turbata.
Ho letto più volte la reazione “a caldo” di Ilaria: «Ho paura, non di voi e del vostro lurido gesto, mi fa paura la vostra mentalità, mi terrorizza il solo pensiero che mio fratello debba crescere in un ambiente così ostile e miserabile. Io sono “scappata” ma con la nostalgia nel cuore e la voglia di tornare per poter valorizzare i luoghi dove sono nata e cresciuta, ma ad oggi non vorrei mai più ritornare e se potessi farei fuggire le persone che porto nel mio cuore».
Sono parole che mettono tristezza, proprio perché pronunciate da una giovane. Chi resterà in questo paese? Che resterà di questo paese? Mi angoscia il pensiero di una buia direzione che intravedo, che ogni tanto provo a indicare, sconfortato, su questo blog. E che ha suscitato anche la reazione dei soliti tromboni ammantati dalla retorica del “viviamo in un posto bellissimo”.
Io odio la retorica. Non bisogna generalizzare, su questo concordo. E bisogna sottolineare, valorizzare le cose e le persone belle che pure ci sono. Credo di farlo in questo spazio virtuale e nella vita di tutti i giorni. Però non si fa un buon servizio al paese nascondendo la testa sotto la sabbia. Bisogna anche essere onesti, con la propria coscienza e nei confronti proprio della parte sana della nostra comunità. Sant’Eufemia non è il migliore dei posti possibili, così come la Calabria non è l’Eden per i suoi tramonti, il buon cibo, il mare e la montagna che sono così attaccati che sembrano fare l’amore.
È il secondo attentato, a distanza di poco tempo, che colpisce persone perbene di Sant’Eufemia. Qualche mese fa l’incendio del furgone da lavoro dell’idraulico Mimmo Cammarere, un uomo che nella sua vita ha solo e sempre lavorato, sin da quando era un ragazzino. Ora è toccato alle famiglie Papalia-Bagnato.
Tutto questo è vergognoso. Le persone perbene non si toccano. Bisogna avere rispetto per chi lavora dalla mattina alla sera, con garbo e con il sorriso sulle labbra. Per chi trasmette ai propri figli con l’esempio quotidiano il valore dell’unione familiare e la religione del lavoro, sottolineati da Maria: «Tutti insieme, sin dall’inizio, per toccare con mano ciò che nella vita non deve esser dato per scontato e capire che nulla si ottiene senza il sacrificio».
Riporto i commenti di Ilaria e Maria, nella speranza che siano letti da tanti altri giovani come loro. Che possano servire da monito. E faccio mie le parole postate da Francesca sul suo profilo Facebook, sotto una foto bellissima, per rispondere “con i nostri sorrisi” ad un gesto così vile, perché rappresentano la risposta dell’intelligenza alla barbarie: «Dovreste solo prendere esempio da una famiglia bella, unita, che lavora duramente e onestamente. È questo che vi auguro: essere come noi».

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Seicento messaggi nella bottiglia

E pensare che tutto iniziò sotto la doccia. Si sa: sotto la doccia si canta e si pensa. A me capitava spesso di “voler dire delle cose” e di immaginare anche come le avrei scritte. Da qualche anno avevo smesso di scrivere per “Il Quotidiano della Calabria”, ma sentivo dentro di me parole che volevano uscire. Parole che non avevo mai scritto, anche perché da corrispondente locale del giornale avevo pochi margini sia come temi da trattare, che come spazi a me riservati per ogni articolo. Più o meno nello stesso tempo aveva pure chiuso i battenti la rivista “Incontri”, periodico eufemiese edito dall’Associazione culturale “Sant’Ambrogio”, sulla quale mi dilettavo a scrivere degli argomenti più disparati.
Sotto il flusso dell’acqua calda, tra aggettivi, verbi e sostantivi che si accavallano dentro la mia testa, decisi di ricavarmi sul web uno spazio dove potere esprimere i miei pensieri. Nacque così prima “Santeufemiaonline” e, da quell’idea, il 24 marzo 2010 “Messaggi nella bottiglia”. Al primo post del blog diedi un titolo che più personale non sarebbe stato possibile: “Minita”, come io stesso mi presentavo da bambino, quando ancora non riuscivo a pronunciare bene il mio nome. Perché sostanzialmente sono rimasto un bimbo curioso di scoprire il mondo che lo circonda.
Oggi i messaggi nella bottiglia sono seicento: fa effetto questo traguardo, perché l’esperienza del blog è stata per me fondamentale. Qui ho avuto la possibilità di continuare a coltivare la mia passione per la storia, con ricerche che poi sono finite sui libri dedicati alla storia di Sant’Eufemia. Qui ho scritto del mio paese e, a volte, inciso nel suo tessuto sociale e culturale con iniziative partite da alcuni articoli. In sintesi sono queste due ragioni a dare linfa al blog stesso, che considero un efficace strumento di comunicazione.
C’è poi l’aspetto umano, che non è affatto secondario perché la gratificazione alla fine è esclusivamente quella: e ovviamente fa piacere essere apprezzati per ciò che si scrive. Ogni tanto mi arrivano messaggi privati che considero medaglie: sono il più bel riconoscimento.
“Messaggi nella bottiglia” è il diario pubblico dei miei ultimi nove anni. Niente di più, niente di meno. Il post “Minita” si chiudeva con la considerazione che “può risultare utile affidare alle onde virtuali della rete un messaggio dentro la bottiglia. A futura memoria”. Ci penso sempre quando (è capitato proprio ieri) vengo contattato da qualcuno che ha scovato per caso sul web un mio articolo.
Adoro questa casualità, che nasce anche dalla volontà di non essere “invadente”. Sia chiaro: a me fa piacere che gli articoli vengano condivisi se altri decidono che vale la pena condividerli. Ci mancherebbe. Però mi affascina l’idea che sia l’articolo stesso a “chiedere” di essere diffuso perché ha contenuti interessanti; non che lo chieda il suo autore mediante una richiesta esplicita di condivisione, l’uso indiscriminato del tag dei propri contatti Facebook o la richiesta del “like”, l’intasamento delle chat di Whatsapp.
Scrivo assecondando interessi e gusti miei personali. Cerco di porre all’attenzione di chi legge avvenimenti e personaggi che mi sembrano significativi. Lo faccio con una libertà assoluta, nella scelta degli argomenti e nel modo di trattarli. Non è fantastico?

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Un paese dormitorio

Provate a fare un giro per le strade del paese anche soltanto dopo le 21.00, non a mezzanotte. Un deserto. Incrocerete qualche rara macchina, a volte neanche quella. A me mette tristezza questo lento spegnersi di candela. Nell’ultimo decennio Sant’Eufemia ha avuto un crollo, è inutile girarci attorno. Come una persona anziana che di colpo si sveglia pieno di acciacchi e, a un certo punto, si lascia andare. I segnali c’erano già, anche prima di dieci anni fa. Perché l’emorragia di giovani prima o poi la paghi in termini di vitalità, di voglia di cambiare le cose, di spirito combattivo. Di dire: «Ci provo, comunque vada ci provo».
Si vive rannicchiati sulle proprie piccole certezze, che danno un minimo di tranquillità a chi le possiede. Ma per lo più si sopravvive, in tutti i sensi. Non è soltanto questione di economia, anche se i soldi sono oggi purtroppo al vertice della scala dei valori. È proprio apatia, come se niente potesse avere importanza al di là del proprio superbo deretano. Un paese rassegnato al declino, che ha subito una sorta di mutazione genetica. Che si indigna poco o niente, che ha fatto del quieto vivere la propria filosofia di vita. E che aspetta a bocca aperta. «Chi me lo fa fare?»: tutto ruota attorno a queste cinque miserabili parole. Non eravamo così. No, non eravamo così. Timidi, impauriti, servili.
E mentre una sorta di mutazione genetica sta stravolgendo il nostro stesso carattere, la nave affonda. Non basta ordinare all’orchestra di continuare a suonare. La nave affonda e là sopra ci stiamo più o meno tutti.
A Sant’Eufemia c’erano due filiali di banca: chiuse entrambe. Il centro di riabilitazione “Chirico” dava lavoro e forniva un servizio di assistenza fondamentale per i disabili del comprensorio: chiuso. L’associazione turistica Pro loco, dopo vent’anni, ha chiuso i battenti, preceduta dall’associazione culturale Sant’Ambrogio. Non ci è rimasta nemmeno la squadra di calcio, sparita; mentre il tennis aveva tirato le cuoia già da tempo. Ogni tanto ne ricordano funzione e gloria qualche lavoro di ristrutturazione del campo sportivo o la ritinteggiatura di quello da tennis, dovesse un giorno succedere un miracolo. Per chi crede nei miracoli.
Ricordi di un passato che sembra lontanissimo, mentre dietro gli scuri di questo moderno e triste dormitorio ognuno coltiva la propria solitudine.

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Mila chilometri, mila attimi

Si fa presto a dire: «Era solo una macchina». Lo so che era solo una macchina. Però ci pensi. Pensi a quanta vita, in diciassette anni e 413.000 chilometri. Ero da poco tornato dagli Stati Uniti, dove con un team di ricercatori universitari conducevamo uno studio sugli italo-americani di terza generazione: New York era ancora sotto shock per l’attacco alle Torri Gemelle del settembre precedente. Dall’altra parte dell’Atlantico avevo assistito all’anatema scagliato da Nanni Moretti, a piazza Navona, contro l’intera classe politica della sinistra: «Con questi dirigenti non vinceremo mai». Mi sentivo un po’ girotondino pure io, lo ammetto.
Il mondo sembrava comunque andare secondo i miei progetti. Probabilmente proprio per questo arrivò lei, la Saxo: per affrontare meglio la discesa. Nonostante la stroncatura, vergata su carta da lettera (preistoria), di un mio carissimo amico: «Non ti posso lasciare un attimo che combini danni. Hai comprato una macchina a tre porte e senza aria climatizzata. Male, molto male».
Più tardi sarebbe arrivato il tempo del disincanto, la Saxo unica superstite di un sogno infranto. Ma anche testimone di una seconda vita.
Diciassette anni sono un tempo lunghissimo, soffiato sul palmo di una mano come polline.
Pensi all’allegria e alle lacrime. Alla felicità condivisa con chi ha voluto salirci, sulle note di una canzone. A quel viaggio di dolore fino in Francia. Ai libri nelle scatole chiuse con il nastro adesivo. Alla sabbia delle colonie estive. Alla neve che diventa acqua. Alle partite di calcio a cinque. A matrimoni, funerali, lauree. A fiocchi rosa o azzurri. Alle griglie e alle buste di carne. Alle birre di notte. Ai fogliettini volanti e al bloc notes nel cruscotto. Alle parole pensate, da dire, non dette. A chi c’era e a chi non c’è più. Collezioni di attimi.
Era solo una macchina. Eppure, prima di consegnarla allo sfasciacarrozze, non ho potuto fare a meno di darle un bacio sul vetro.

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Preiscrizione al Liceo scientifico “E. Fermi” di Sant’Eufemia d’Aspromonte: il 31 gennaio scadono i termini

Il 31 gennaio scadono i termini per la preiscrizione alle scuole secondarie di secondo grado. A Sant’Eufemia abbiamo una bella realtà, il liceo scientifico “E. Fermi”, che ha attivato anche l’indirizzo scienze umane. È un patrimonio della comunità, che va sostenuto con tutte le nostre forze.
Molto spesso non si apprezza ciò che si ha, salvo lamentarsi quando ci si rende conto che alcuni servizi ci vengono tolti. È sotto gli occhi di tutti la spoliazione subita da Sant’Eufemia negli ultimi anni: la chiusura della banca costituisce l’ultimo tassello di un impoverimento progressivo ed inesorabile. La gente parte in misura ancora maggiore rispetto al passato: non soltanto giovani, ma anche intere famiglie hanno di recente abbandonato il paese. Molte saracinesche si sono abbassate.
Dobbiamo cominciare noi, darci da fare senza attendere miracoli che non esistono. La difesa del buono che abbiamo rientra tra le azioni possibili e necessarie. Il liceo rimane tra le ultime positività del nostro territorio. Difendiamolo, teniamocelo stretto. Non serve andare fuori: abbiamo la fortuna (che è una costante del liceo sin dalla sua istituzione) di potere affidare i nostri figli ad una classe docente preparata e innamorata del proprio lavoro, che dedica ogni energia possibile per la crescita culturale e sociale dei nostri ragazzi.
Facciamone tesoro e cerchiamo di volere bene al nostro paese con gesti concreti. Iscrivere i propri figli nel liceo di Sant’Eufemia significa esattamente questo.

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SP2 un anno dopo

Esattamente un anno fa come gruppo consiliare di minoranza “Per il bene comune”, denunciavamo lo stato disastroso in cui versa la Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale. Da allora niente è cambiato. Il manto stradale cosparso di pericolosissime buche lungo i suoi 7 chilometri certifica l’abbandono delle istituzioni che dovrebbero provvedere all’inserimento dei comuni pre-aspromontani nel novero dei paesi civili. Così non è e le “prediche inutili” di chi non può non segnalare la vergogna delle condizioni della viabilità restano lettera morta. I disagi inaccettabili per le centinaia di automobilisti del comprensorio, che quotidianamente percorrono questa importante arteria viaria per lavoro o per qualsiasi altra incombenza, non dovrebbero fare dormire i responsabili di uno sfascio che è sotto gli occhi di tutti. E invece si dorme. Regione Calabria, Città metropolitana: dove siete? Non ne possiamo più di rari e insufficienti interventi di riparazione alla meno peggio delle buche più pericolose: qualche badilata di asfalto che la prima pioggia porta via facendo ogni volta tornare tutto al punto di partenza.
Intanto sono iniziate le grandi manovre in vista delle elezioni regionali e puntualmente si torna a parlare della possibilità di ripristinare lo svincolo autostradale di Sant’Eufemia. I lavori di compensazione/risarcimento che erano stati promessi per mettere un po’ a tacere la protesta provocata da quello scippo che fine hanno fatto? L’intervento “straordinario” da 7,1 milioni di euro dove si è incagliato? O si tratta soltanto di uno specchietto per le allodole da rispolverare nell’imminenza di qualche appuntamento elettorale?
Più di un anno fa un comunicato stampa dell’amministrazione comunale di Sant’Eufemia informava che il 27 ottobre 2017 c’era stata una riunione presso la sede Anas di Cosenza, nella quale si era convenuto che “sarà cura della Regione Calabria provvedere alla progettazione dell’intervento di messa in sicurezza e manutenzione straordinaria della ex Statale 112, nel tratto che va dall’abitato di Sant’Eufemia d’Aspromonte al bivio di Solano” e che “Anas, al termine della fase progettuale, procederà quindi all’esecuzione dei lavori previsti”. Inoltre, si leggeva: “si rappresenta che è in corso una convenzione tra Anas, Regione Calabria e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, da sottoscrivere presumibilmente entro la fine del corrente anno”. Il corrente anno era il 2017: qualcuno, dopo tutto questo tempo, è in grado di dare qualche risposta a queste popolazioni dimenticate da Dio e dagli uomini?

Sant’Eufemia d’Aspromonte – Gruppo consiliare “Per il bene comune”
Domenico Forgione (capogruppo)
Pasquale Napoli

*In foto, la sintesi della nota pubblicata sulla Gazzetta del Sud del 10 gennaio 2019

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Buon anno

Niente è come sempre. Nonostante i nostri «è la solita vita», «non cambia mai nulla». Una routine sbadigliata con rassegnazione. Eppure. Eppure questa apparente quotidianità non scivola addosso senza penetrare nelle carni. Non si è impermeabili allo scorrere del tempo. Il 2018 è passato inutilmente? Non credo. Sono lo stesso uomo del 31 dicembre scorso? Non penso. Ogni avvenimento vissuto più o meno in prima persona modella la nostra personalità, rafforza antiche convinzioni o genera opinioni nuove, diverse. Quanta vita si può vivere in un anno? Tanta o poca, dipende.
Si vive ogni volta che si ama, ogni volta che ci si guarda attorno con occhi avidi di sapere, ogni volta che si dà uno schiaffo alla solitudine, ogni volta che si reagisce all’ingiustizia e si è disposti a lottare per qualcosa o qualcuno senza secondi fini.
Si muore ogni volta che il cuore si inaridisce, ogni volta che «non mi riguarda», ogni volta che si lascia correre per quieto vivere, ogni volta che l’indifferenza prende il sopravvento.
«I care» è l’insegnamento di don Lorenzo Milani: mi importa, ho a cuore. Mi importano, ho a cuore molte cose. Questi interessi fanno di me la persona che sono e mi hanno consentito di vivere il 2018 esattamente come volevo. Che è cosa diversa dall’essere stato perfetto, impeccabile. Ma mi basta. Non ho altra aspirazione che quella di riuscire a vivere secondo il mio carattere e onorando i miei valori.

Il 2019 è al momento un’ipotesi nebulosa. Porterà cambiamenti o forse no. Chi può saperlo?
Spero di continuare a leggere e a scrivere, di sorridere e di fare sorridere, di godere dell’amicizia disinteressata di tante belle persone che fanno parte della mia vita. E di coltivare ogni giorno la curiosità: la voglia di imparare è la molla che ci spinge ad essere migliori.
Buon 2019 a tutti

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Schegge di 2018

Non è un bilancio. Mette tristezza fare bilanci. Sanno di conclusione, di definitivo, di irreversibile. Mentre la vita è un continuo divenire e ogni esperienza si incastra nel già vissuto: obiettivi da raggiungere, incontri, situazioni che confermano o modificano l’approccio con il mondo che ci circonda proiettandoci nel futuro che auspichiamo, temiamo, inseguiamo. La vita è un affascinante percorso a tappe. Ogni tappa rivela fatica, gioia, dolore. È tutta vita, da ascoltare anche quando la subiamo.
Cosa resterà, dunque, di questo 2018? Cosa mi resterà?
Il libro, certo. Il poeta e scrittore cubano José Marti sosteneva che “ci sono tre cose che ogni persona dovrebbe fare nella propria vita: piantare un albero, avere un figlio e scrivere un libro”. Sono tre azioni che profumano di domani, di un tempo che non vivremo e che non sapremo, ma nel quale forse ci saremo ugualmente.
La ricompensa per gli anni dedicati alla ricerca è una sensazione molto soggettiva, di “utilità” per una comunità che non può essere tale senza una memoria storica da condividere e da tramandare. Si tratti del libro sui soldati eufemiesi nella Grande guerra o degli articoli per il blog su Tito Fedele, Francesco Marafioti, Francesco Antonio Colella, Nino Fedele, Mimì Occhilaudi, Vincenzo Pietropaolo, i Wood o “il custode di vite”.
La ricompensa è negli incontri e nelle parole scambiate grazie a questa attività con persone che non conoscevo, con gli amici di sempre, con i ragazzi del liceo “Fermi”.
Bisogna avere cura della memoria. Una donna straordinaria come Liliana Segre ce lo ricorda con parole che tutti dovremmo ripeterci come un mantra, per non darla vinta – nel suo caso, ma il discorso ha un carattere più generale – ai criminali che hanno staccato dal selciato di una via della capitale le pietre d’inciampo con i nomi degli ebrei deportati e gasati nei campi di sterminio nazisti. Per questo non è stata per niente una buona notizia constatare che nella Giornata dei Musei della Calabria, alla quale aveva aderito anche il Piccolo Museo della Civiltà Contadina di Sant’Eufemia, le visite si sono contate sul palmo di una mano.
Occorrerebbe essere più presenti, partecipare al di fuori dello specchio deformante di social che frequentiamo con assiduità. Siamo sempre pronti ad esprimere la nostra opinione su tutto, in un mondo che sembra racchiuso nei trenta centimetri che vanno dai nostri occhi al display di un computer o di un telefonino. Pretendiamo di possedere la verità sulla tragedia del piccolo Alfie, sul dramma di Nadia Toffa, sulle infinite occasioni di “dibattito”: politica, medicina, economia. Utilizzando spesso toni aggressivi, vergognosi, imbarazzanti, che denotano un clima di preoccupante imbarbarimento. Non c’è materia sulla quale non sentiamo di potere (e dovere, in un certo senso) esprimere la nostra opinione.
Sappiamo tutto. Sappiamo tutto e invece non sappiamo niente. Siamo persino entrati nella testa di Pietro Tripodi, qualcuno ha addirittura sentenziato che potesse essere pericoloso. Senza immaginare che nella borsa che portava sempre con sé c’era la sua felicità. Ciò che a molti è potuto sembrare incomprensibile, era la sua vita. C’è poco da capire e meno da spiegare: massimo rispetto per un uomo che è passato accanto a noi senza disturbare e che senza disturbare è andato via.
Intanto si emigra come non accadeva da tempo. Un’emorragia di forze sane, preparate, con le carte in regola per affermarsi e per fare la differenza in tutti i campi. «Ce ne andiamo – scriveva Franco Costabile nel 1964 – senza sentire più/ il nome Calabria/ il nome disperazione». Ora come allora incapaci di reagire al dramma sociale di una terra che non riesce a dare una possibilità ai propri giovani e, in definitiva, a se stessa.

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