Quel 27 gennaio, ovunque ci si voltasse, erano soltanto occhi gonfi. Quando in una piccola comunità viene a mancare una giovane vita, stringersi attorno alla famiglia è un gesto istintivo, un riflesso naturale. Un modo per fare e farsi forza, tutti assieme.
La morte di Adelina Luppino è stata un dolore troppo grande, che ognuno hai poi elaborato individualmente (ma anche collettivamente) nel tempo, pur continuando a portarlo dentro di sé, “come una pietra leggera” – direbbe il poeta. In tanti abbiamo seguito, più o meno da vicino, la sua personale via crucis, accompagnandola stazione dopo stazione, e trovando – noi – nelle sue parole, nella sua testimonianza di vita e di fede, il conforto per quel vuoto che immaginavamo avrebbe lasciato.
Come in un flashback: il freddo sferzante, una lama che tagliava visi solcati da lacrime. Una ragazza minuta che tremava, quasi saltellava, nel tentativo inutile di soffocare il pianto. Una folla immensa. Muta. Attonita. Un silenzio che metteva i brividi, interrotto soltanto dai singhiozzi. “Su ali d’aquila”. Il dolore e la dignità di una mamma che forse ancora oggi non riesce ad accettare la crudeltà di un destino che l’ha fatta sopravvivere alla figlia.
Una scia di luce è il titolo del libro che la sorella Antonietta ha curato, raccogliendo lettere, pensieri e poesie di Adelina. Una scia di luce è quel che ci rimane di lei, scintillante. Come nell’estate scorsa, quando grazie al “suo” contributo l’Agape è riuscita a portare a Lourdes un gruppo di disabili.
Per ricordare Adelina, gli amici dell’Agape si sono dati appuntamento alle 12.00 di venerdì 27 per recarsi al cimitero. Nella chiesa di Sant’Eufemia, alle 18.00, sarà celebrata una Santa Messa in suo ricordo, mentre a partire dalle 20.00 ci si ritroverà presso la sede per cenare e trascorrere la serata insieme.
Cultura, qualche proposta per i prossimi amministratori
Dopo la recensione al libro di Vittorio Visalli sui fatti d’Aspromonte, mi è stato chiesto dove sia possibile reperire l’opera dello storico eufemiese. Posso dire dove l’acquistai io. Al centro commerciale “La Perla” di Villa San Giovanni, quattro anni fa. Si trovava dentro un grande cesto di libri economici, lo notai per caso e fui attratto dal nome dell’autore. Del libro, non conoscevo l’esistenza. Ad essere sincero, neanche della casa editrice. Che nel frattempo ha cambiato denominazione e sede. Ora si chiama “Nuove edizioni Barbaro”, si trova a Delianuova ed è gestita da Caterina Di Pietro e Raffaele Leuzzi. Sul catalogo online, Aspromonte risulta esaurito, ma con un colpo di fortuna se ne potrebbe trovare copia in qualche libreria o edicola della provincia.
Visalli non è l’unico autore del quale la stragrande maggioranza dei suoi compaesani ignora le opere e financo l’esistenza. Ecco perché occorrerebbe un’operazione di recupero della memoria e della tradizione storico-culturale eufemiese. Personalmente, qualche volta ne ho parlato. Anche pubblicamente, come in occasione del convegno sul centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia organizzato dall’associazione “Terzo Millennio”. Così come ho più volte espresso un mio desiderio particolare, il rilancio del periodico “Incontri”, edito per tre lustri dall’associazione culturale “Sant’Ambrogio”. L’apprezzamento ricevuto non ha però finora prodotto iniziative concrete. La questione delle risorse economiche sembra insormontabile. Eppure non credo – tanto per fare un esempio – che la realizzazione di un’antologia eufemiese richieda una spesa insostenibile. Nella biblioteca comunale si trovano libri scritti da eufemiesi (non tanti, per la verità); altri sono facilmente consultabili presso la biblioteca “Topa” di Palmi; altri ancora sono in possesso di privati cittadini. La raccolta degli scritti più significativi di questi autori riporterebbe alla luce un patrimonio che molti ignorano e potrebbe inoltre rivelarsi un’operazione dall’alto contenuto sociale. Il rafforzamento delle ragioni stesse dello stare insieme di questa comunità.
Senza l’aiuto e la collaborazione di coloro che hanno a cuore le sorti di Sant’Eufemia, diventa però tutto più complicato. In primavera ci sarà il rinnovo del consiglio comunale. Non sarebbe male se nei programmi che verranno presentati agli elettori si parlasse anche di cultura. Negli scantinati del palazzo municipale c’è tutta la storia del comune, in documenti privi di alcuna catalogazione, non consultabili, esposti all’umidità e alla polvere. L’istituzione dell’archivio storico comunale potrebbe essere un punto qualificante per la futura amministrazione municipale.
Garibaldi fu ferito. I fatti d’Aspromonte nella ricostruzione di Vittorio Visalli
Vittorio Visalli, lo storico nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 15 ottobre 1859 e morto a Reggio Calabria il 27 giugno 1931, è conosciuto principalmente per le opere I calabresi nel Risorgimento italiano e Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848). Meno noto è invece il lavoro dedicato al ferimento di Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte, il 29 agosto 1862. Aspromonte, stampato per i “Tipi F. Nicastro” a Messina (1907), è un agile libretto di 74 pagine, suddiviso in nove capitoletti e un’appendice documentaria, che ripercorre il tentativo dell’Eroe dei Due Mondi di marciare su Roma per porre fine al potere temporale dei Papi e consegnare all’Italia la capitale naturale, interrotto tra i pini della località “Forestali” dalle truppe piemontesi del colonnello Emilio Pallavicini.
La particolare circostanza in cui il libro vide la luce induce al sospetto sulla sua reale diffusione e, di conseguenza, notorietà anche tra gli addetti ai lavori. “Una semplice e veritiera narrazione popolare del tentativo garibaldino su Roma” per “aiutare un’opera di alta beneficienza, la costruzione di un Sanatorio per tubercolosi” nel luogo del ferimento: così Visalli presenta il volume. Che non deve avere avuto molta fortuna, se non viene citato neppure dal massimo storico reggino, Gaetano Cingari, a differenza delle altre due pubblicazioni. A recuperare il volume dall’oblio ha però provveduto, nel 1995, l’editore Barbaro di Oppido Mamertina, che ne ha curato la ristampa anastatica. I piccoli editori sono perennemente con l’acqua alla gola, pronti a chiudere da un momento all’altro, né hanno la possibilità di sostenere un elevato battage pubblicitario. Più appassionati di storia e di storie che imprenditori, cercano l’equilibrio tra la quadratura dei conti e l’offerta di un prodotto apprezzabile. Nel caso di Aspromonte, è stata compiuta un’operazione di recupero del patrimonio culturale locale davvero encomiabile.
L’autore segue passo dopo passo Garibaldi e i suoi volontari nella sfortunata impresa, che inizia – è noto – con il consueto giallo all’italiana. C’era, come due anni prima (spedizione dei Mille), un tacito accordo tra il Generale e il governo piemontese? Di certo, nessuno dei protagonisti fece molto per fugare l’ambiguità. Visalli condanna senza appello la “pusillanimità” del presidente del consiglio Urbano Rattazzi, ma dà anche conto dei tentativi bonari di arrestare la marcia delle camicie rosse, portati avanti da deputati della Sinistra parlamentare, amici e commilitoni di Garibaldi (Nicola Fabrizi, Antonio Mordini, Salvatore Calvino, Giovanni Cadolini). Per la ricostruzione degli avvenimenti, lo storico eufemiese non solo si affida a diverse fonti (biografie e autobiografiche, orali, documentarie), ma le mette anche a confronto, operando un controllo incrociato necessario per distinguere l’agiografia e la retorica risorgimentale dalla verità storica. Viene così sconfessata la tesi di Alberto Mario sul presunto tradimento del sindaco di Melito, accusato ingiustamente di avere indotto Garibaldi a dirigersi sull’Aspromonte perché lì attendevano “patriotti in arme fremebondi e vettovaglia copiosa”. Un falso smentito peraltro dallo stesso Garibaldi, quando ammette di avere egli peccato di “irresoluzione”.
Francesco Guardione, Giulio Adamoli, Piero Mattigana, Giuseppe Guerzoni, Francesco Bideschini, Giacomo Durando, Jessie White Mario, Francesco Bertolini, Celestino Bianchi, Enrico Albanese, Salvatore Calvino, Giuseppe Romano Catania, Alberto Mario: testimoni che hanno tramandato nelle rispettive memorie l’epopea garibaldina (non solo i fatti d’Aspromonte), essendone stati protagonisti diretti. E poi lettere e documenti ufficiali, riportati in appendice, ma anche testimonianze orali, come quella di Francesco Melari, ufficiale medico garibaldino. Il libro si chiude con la caduta del gabinetto Rattazzi e l’amnistia concessa da Vittorio Emanuele II in occasione delle nozze tra la principessa Maria Pia e Luigi I di Braganza, re del Portogallo. Sullo sfondo, un Garibaldi eroe romantico, al quale va la simpatia dell’autore, che si sta ristabilendo dalla ferita e, seppure sconfitto, “riconsacra nel sangue” l’ineluttabilità e “la necessità di Roma italiana”.

Le spoglie di Visalli riposano al cimitero di Gioia Tauro. Sul marmo, l’epigrafe scritta dal fratello Luigi: “Qui fra i suoi riposa/ Vittorio Visalli/ figlio e nepote di Patriotti/ educatore degli educatori/ di varie generazioni/ che il glorioso passato/ di fede di azione e di martirio/ del popolo calabrese/ sottrasse a le ombre dell’oblio/ affidandolo a luce dei secoli MDCCCLIX–MCMXXXI”.
La fotonotizia
Emergenza rifiuti, inceneritori, raccolta differenziata, Piana Ambiente, discariche, isole ecologiche, campane per la plastica e per il vetro, raccolta della carta, dell’alluminio, dei medicinali scaduti, delle pile esaurite e dei materiali ingombranti. A volere affrontare la questione dello smaltimento dei rifiuti, c’è soltanto da scegliere l’argomento dal quale cominciare. La cosa più sensata, invece, è partire da noi stessi, dall’avere noi “comunità” il dovere di rendere e mantenere pulito il paese. Allora diventa questione di educazione civica, un problema “nostro”. Se non facciamo nulla per facilitare il compito a chi gestisce la raccolta della spazzatura e siamo soltanto bravi a lamentarci perché il paese è sporco, come se noi non avessimo in questo alcuna responsabilità, “loro” diventano il comodo alibi per la nostra inciviltà. Se piazza Matteotti, tanto per fare un esempio, è un tappeto di cartacce e lattine nonostante sia disseminata di cestini, principalmente di chi è la colpa?
Dentro ai cassonetti si può trovare di tutto: materassi, biciclette, sedie, materiale ferroso, scatoloni più grandi del cassonetto stesso, che li riempiono completamente. I sacchetti dell’immondizia finiscono così fuori, dato che in pochi – tra l’altro – si prendono la briga di fare un giro per trovare quello meno pieno o fanno lo sforzo di aprire il lato posteriore, dove in genere rimane dello spazio anche quando davanti non entra più uno spillo. Cominciamo quindi con il seguire qualche utile accorgimento.

Non c’è due senza tre
“Alla vostra destra, per la trecentocinquantesima volta, potete ammirare la Sagrada Familia”! Appena ho saputo che Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea avrebbero nuovamente fatto tappa a Sant’Eufemia, mi sono tornate in mente le parole di Tonino, il mio compagno di liceo più simpatico, perennemente in ritardo – minimo un quarto d’ora tutte le mattine – e dedito ai passatempi più incredibili durante le ore di lezione. Su tutti, l’incisione artistica del banco con il coltellino. Si era alla gita del quinto liceo e dopo un viaggio epico in treno fino a Genova e in autobus fino a Lloret de Mar, dove alloggiavamo, ci toccò visitare Barcellona. Purtroppo per noi, Jim Morrison (l’autista del pullman, che indossava una giacca in pelle nera molto Doors) si incartò nel traffico della capitale della Catalogna e, per quasi un’ora, ci fece girare attorno alla basilica ideata da Gaudì, prima di riuscire ad imboccare una via d’uscita.
Sì, lo so che Cavallaro e Papandrea sono il fenomeno musicale calabrese degli ultimi due anni. Citula d’argentu mi piace pure. Ma tre volte in sei mesi è troppo. E pensare che quando furono portati ad agosto, in occasione della sagra della patata, più d’uno all’interno dell’amministrazione comunale arricciò il naso e commentò che non sarebbe andato nessuno a vederli. Ma nella vita c’è sempre tempo per rivedere le proprie opinioni, anche se quelli disposti ad ammettere un errore di valutazione sono merce rara. In genere, prevale la sindrome di Fonzie, che non riusciva mai a pronunciare per intero la frase “mi sono sbagliato”. Un mese dopo, a grande richiesta, tornarono per festeggiare la patrona del paese. Ieri, hanno chiuso le festività natalizie. Al solito, si passa da un eccesso all’altro.
Tornando al Natale, bisogna ammettere che si è festeggiato poco. Anche perché non c’era granché da fare baldoria, visti i tempi. Il cartellone delle iniziative è stato comunque abbastanza nutrito. L’inaugurazione della sezione locale dell’Avis, intitolata al medico Pasquale Gioffrè; il concerto natalizio del coro parrocchiale polifonico “Cosma Passalacqua”; l’interpretazione di poesie e canzoni sulla natività, a cura dell’associazione Terzo Millennio; la Tombolata organizzata dall’Agape; il Premio Sant’Omobono, a cura dell’associazione dei sarti; la Giornata della Famiglia (Comitato feste); la partita di calcio tra il Sant’Eufemia e la squadra dell’oratorio parrocchiale “Don Bosco”; l’esibizione del gruppo folcloristico locale presso la Rsa “Antonino Messina”; la visita ai presepi di Tropea e alla chiesetta di Piedigrotta (Pizzo) per gli anziani (amministrazione comunale e Agape).
Mancava la ciliegina sulla torta, per chiudere col botto. In una serata spartiacque tra la tournée del 2011 e quella del 2012. Una sorta di dylaniano Never Ending Tour in salsa taranta. Per cui, non è detto che sia finita qua. Potrebbero tornare per Carnevale, poi per festeggiare l’inizio della primavera, a Pasqua e così via. Anche se sarebbe preferibile che gli artisti “girassero”, come disse l’ex premier riferendosi ad altri generi di intrattenimento.
Eppure avevo capito che il problema della discarica è di tutti, non che qualcuno ne avesse l’esclusiva
Ho ricevuto stamattina un’email che mi ha fatto riflettere su alcune cose. Ne riporto uno stralcio:
Sono nauseata dal dibattito che ne è venuto fuori. L’unica cosa buona è che ora conosco molto di più il problema, e conosco molto di più le persone.
Per un po’ sono stato indeciso se darne notizia, così come ieri sera mi era sorto il dubbio se limitarmi a cancellare l’intervento del coraggiosissimo e anonimo Rocco Aspromonte, oppure se parlarne. Alla fine ho optato per questa seconda soluzione, certo che la chiarezza non può che fare bene e che, alla fine, sono le azioni e le parole a qualificare gli uomini.
Ora però l’argomento è chiuso. Questa vicenda mi ha insegnato due cose. Una riguarda la vicenda in sé. Dagli approfondimenti che ho fatto e dalle parole pronunciate ieri dal sindaco in consiglio comunale, temo che la discarica si farà, perché attorno ad essa ci sono interessi troppo forti. Questo il timore, che si unisce alla speranza che, se proprio si dovrà fare, che venga fatta nel rispetto di tutte le regole e con la previsione di controlli strettissimi su ciò che vi si andrà a scaricare. Il secondo insegnamento è sulla natura umana, su quelle persone che si lamentano sempre perché i cittadini non appoggiano le loro iniziative e, quando invece questo accade, perdono la testa perché considerano la cosa “roba loro” e temono che qualcun altro gliela voglia sottrarre.
Rassicuro tutti. Contrariamente ad altri, non cerco visibilità o pubblicità. Rinuncio volentieri al surplus di visualizzazioni che ha avuto il mio blog in questi ultimi giorni (oltre 400 nell’ultima settimana) e spero che, nel giro di poco tempo, si possa tornare all’antica eleganza, quella presente anche in articoli e commenti nei quali non è certo mancata una buona dose di spirito polemico.
Ho un unico rammarico. A causa dell’insistenza al limite dello stalking del coraggiosissimo e anonimo Rocco Aspromonte, che mi ricorda l’elefante nascosto dietro al palo della luce, sono stato costretto a inserire la funzione “moderazione” nei commenti. Per cui, se non prima li leggo io, i vostri commenti non potranno essere pubblicati. Ho dovuto farlo perché ieri sera la mia casella di posta è stata presa d’assalto dal coraggiosissimo e anonimo Rocco Aspromonte, che mi ha fatto una decina di volte la stessa domanda, alla quale peraltro avevo ampiamente risposto nel commento. Non appena cesserà la sua sindrome compulsiva da “invio commenti”, torneremo alle vecchie abitudini. Lo stile è l’uomo. E io penso che ogni argomentazione possa essere difesa con garbo, senza il ricorso ad un’aggressività che, invece di avvicinare, allontana le persone.
Ancora sulla discarica
Da più parti mi è stata segnalata l’impossibilità di commentare l’articolo precedente. Non sono un esperto di informatica, ma temo che dipenda dal fatto che alcuni commenti sono troppo lunghi. Ovviamente mi fa piacere sapere che il mio blog è servito ad aprire questo dibattito. Alcuni hanno scritto, altri mi hanno telefonato, altri mi hanno fermato in piazza. Bene. Il mio blog è a disposizione, chi non volesse limitarsi ad un commento, può tranquillamente farlo, inviandomi il pezzo sull’indirizzo email (forgidome@libero.it) e io provvederò a pubblicarlo. Per quanto riguarda i commenti, vi raccomando di non essere troppo lunghi (l’autobiografia di Rositano in effetti è eccessivamente lunga) e soprattutto di rispettare quelle due famose regole: libertà di opinione e divieto del turpiloquio. Pubblico di seguito un intervento che mi è stato mandato stamattina. Per motivi che comprendo, l’autrice dell’articolo mi ha chiesto se può firmarlo soltanto con l’iniziale. Acconsento perché conosco la persona.
Ho sempre seguito il blog di Dominik, sia perché ammiro la sua grande professionalità, sia perchè lo ritengo un importante veicolo di democrazia. Da mesi sento parlare della discarica in località Zingara, così come da quando si sono incendiate le famose travi della ferrovia, mi sono chiesta che cosa stia succedendo in quel posto. Mi è capitato anche di vedere dei tir con targa straniera imboccare la via della discarica, e mi è suonato in testa un altro campanello: nel nostro territorio succedono spesso cose molto poco chiare. Ho cercato di saperne di più nel mio piccolo, ma pochi sono informati sull’argomento. Ho letto gli articoli che Rositano ha disseminato nel territorio, ma nonostante la professionalità decantata dei giornalisti, non mi sembra che essi illuminino la questione da tutti i lati. Quindi, sempre in ritardo, mi sono collegata nel sito del Tributarista Ambulante, ma vi ho ritrovato soltanto i due famosi articoli, che non mi possono bastare. Alla fine mi sono rivolta a Dominik che ha colmato altri tasselli che mancavano, perché ha trattato l’argomento in una prospettiva più ampia. La risposta di Mimmo Rositano è stata ancora più illuminante.
Caro signor Rositano, io ammiro tutte le lotte che hai fatto fino ad adesso, e ti ringrazio per tutto quello che stai facendo per il futuro dei nostri figli, davvero spesso hai dato voce ai nostri dubbi, e alla nostra indignazione, e mi sono chiesta perché alla fine sono così pochi quelli che ti seguono. La risposta che mi sono data stava sicuramente in una caratteristica degli Eufemiesi che siamo pronti a dire mille parole su chi sbaglia e spenderne veramente poche per chi fa qualcosa di buono. Anch’io mi sono indignata con le Associazioni che non hanno aiutato ad approfondire questo problema, e mi sono vergognata perché anche io nel mio ruolo di cittadina, non mi sono informata abbastanza e non ho fatto nulla.
Ma davanti alla risposta che hai dato a Saverio, che ha peccato nel farsi prendere un po’ troppo dalla passione che, nelle sue buone intenzioni, lo distingue, mi chiedo quanto tu dia spazio all’altro, e quanta sia stata cercata la COLLABORAZIONE degli altri. Se vuoi che ti aiutiamo, Mimmo, ci devi informare. Quelle cose che hai scritto nel blog io non le sapevo, e vorrei conoscerle in maniera più approfondita. Rendici informati, dacci la possibilità di fare qualcosa, nella consapevolezza però. Non tutti possiamo stare nelle piazze per sentirne le voci, non tutti possiamo partecipare ai Consigli Comunali, ma oggi tutti abbiamo un computer e nei pochi ritagli di tempo che abbiamo possiamo informarci. Tanti, in questa situazione dobbiamo fare il mea culpa, ma non è il momento di imitare i capponi di Renzo e beccarci l’un l’altro, c’è un problema serio, un problema, che tutti te lo riconosciamo, hai messo tu in luce, ma che è comune.
Come diceva Kissinger la democrazia è quella che nasce dal basso, prima devono essere democratici i cittadini e poi lo diviene il governo; sta a noi essere informati e chiedere risposte concrete, altrimenti mai nessuno ce le calerà spontaneamente dall’alto.
C.
Striscia o non striscia, la discarica è un problema
Ieri doveva essere il giorno dell’arrivo di Striscia la notizia alla discarica di contrada “La Zingara” di Melicuccà, ma come è stato reso noto da un comunicato stampa di Legambiente “Aspromonte”, il viaggio in Calabria dell’inviato Max Laudadio – che avrebbe anche dovuto fare tappa a Catanzaro, presso gli uffici dell’assessorato regionale all’ambiente – è stato rinviato a causa del maltempo. Ma con o senza le telecamere di Canale 5, la questione della discarica tocca da vicino la nostra comunità e richiede alla popolazione uno sforzo di partecipazione alla battaglia che, quasi in solitaria, sta conducendo da tempo Mimmo Rositano, presidente del circolo aspromontano di Legambiente.
Andiamo con ordine. Tutto inizia nel dicembre 2010, quando la chiusura della discarica “Marrella” di Gioia Tauro provoca i primi veri disagi nella raccolta dei rifiuti nella Piana. Il governo regionale decide l’apertura di nuove discariche e chiede collaborazione alle amministrazioni comunali. Invito colto immediatamente da Emanuele Oliveri, sindaco del comune di Melicuccà, all’interno del quale ricade la località “La Zingara”, che di fatto, però, è incastrata tra i comuni di Sant’Eufemia e Bagnara Calabra. Costo dell’operazione per la realizzazione della conca e la bonifica del sito (che contiene una discarica già utilizzata negli anni scorsi): 2.756.518,48 euro. La multinazionale Veolia attraverso una sua controllata (Tec) dovrebbe poi gestire la discarica, destinata ad accogliere il FOS (frazione organica stabilizzata) proveniente dal termovalorizzatore di Gioia Tauro, con un ulteriore introito per le casse del comune di Melicuccà di 5 euro a tonnellata.
Smaltimento dei rifiuti, sovraffollamento del pianeta e depauperamento delle risorse naturali rappresenteranno la questione centrale in questo secolo. Produciamo rifiuti con un ritmo esponenziale, per cui non possiamo pensare di scansare gli oneri del loro smaltimento. Qualcosa però non torna. Il primo a capirlo è Mimmo Rositano, un eufemiese abituato a “fare le pulci” alle amministrazioni locali, indipendentemente dal loro colore politico. Raccoglie materiale, ascolta pareri tecnici, fa opera di sensibilizzazione. Anche a Bagnara qualcosa comincia a muoversi, per iniziativa di un comitato di residenti di contrada Piani di Pomarelli, praticamente a due passi dalla discarica, e di Daniela Monterosso, segretaria provinciale del Partito popolare sicurezza e difesa. A fine aprile 2011, un consiglio comunale aperto, a Melicuccà, affronta la questione. I sindaci di Bagnara (Cesare Zappia) e di Sant’Eufemia (Enzo Saccà), si dichiarano pronti alla mobilitazione, mentre alcuni cittadini manifestano perplessità di fronte alla promessa che la vecchia discarica sarà bonificata e la nuova costruita nel rispetto di tutte le norme di sicurezza. C’è il timore che, una volta aperta, vi finisca dentro di tutto. Non è un timore infondato. L’odore acre che ogni tanto giunge in paese e la colonna di fumo che talvolta si vede salire in cielo non sono segnali rassicuranti. Il ricordo del fumo nero e dell’olezzo tossico sprigionato per una settimana dall’incendio di trentamila traversine al creosoto, finite non si sa come nella vecchia discarica, a cinque anni di distanza è ancora vivo.
Antonino Calogero, segretario della Cgil della Piana rilancia, ponendo la domanda da un milione di dollari, quella alla quale nessuno ha ancora risposto: perché il Commissario per l’emergenza ambientale ha proposto la costruzione di tre nuove discariche, tutte in provincia di Reggio (Rosarno, San Calogero e Melicuccà)? C’è un progetto per fare della nostra area la pattumiera della regione? Il dubbio viene, anche perché, accanto alla vicenda delle discariche, c’è quella del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Una scelta illogica e antieconomica (basti pensare ai tempi e ai costi del trasporto) rispetto alla previsione iniziale di costruire un impianto nel cosentino, per il quale l’ex giunta Loiero, la provincia di Cosenza, ed il comune di San Lorenzo del Vallo avevano sottoscritto un protocollo d’intesa. La gestione emergenziale dei rifiuti si è rivelata un fallimento. Già il fatto che duri dal 1997 la dice lunga: un’emergenza dovrebbe essere affrontata e risolta nel più breve tempo possibile, non procrastinata all’infinito. Nessuno dei problemi è stato risolto: la discarica di Pianopoli va in tilt non appena piove, quella di Alli è finita sotto sequestro per la violazione delle norme ambientali e –notizia di oggi – l’inchiesta in corso (“Pecunia non olet”) ha portato all’arresto di cinque persone, al sequestro di beni per 12 milioni di euro e alla richiesta di interdizione per il Commissario per l’emergenza ambientale, Graziano Melandri, già dimessosi dall’incarico nei giorni scorsi. Per quanto riguarda la discarica di contrada “La Zingara”, sono tre gli elementi che suscitano perplessità e per i quali va verificato il rispetto delle leggi: la distanza della discarica dagli insediamenti abitativi, davvero minima; il passaggio su di essa dei cavi dell’alta tensione, con il conseguente rischio di un’esplosione nel caso di esalazione di gas infiammabili; l’esistenza nel sottosuolo di una falda acquifera che confluisce nell’acquedotto “Vina”, che serve diversi comuni della Piana.
La giornata di ieri è stata comunque importante. Il sindaco di Bagnara ha infatti reso noto di avere presentato una denuncia alla Procura della Repubblica per chiedere di verificare la regolarità dei lavori di costruzione e di accertare la commissione di eventuali reati ambientali. La scintilla di Legambiente è ormai diventata una battaglia di civiltà e di verità, da sostenere senza se e senza ma.
Frank il mongolo
A prima vista poteva sembrare un incrocio tra una maschera dei film di Carlo Verdone e Nichi Nardozza, l’eccessivo ed eccentrico personaggio di Volare basso, romanzo di successo scritto da Gaetano Cappelli. Anche se di Nardozza non aveva la propensione a raccontare balle colossali. La similitudine riguarda l’aspetto esteriore, l’abbigliamento e lo stile di vita un po’ naif che lo rendevano, agli occhi di una piccola comunità come quella eufemiese, personaggio singolare e stravagante.
Cuoco sulle navi da crociera. Era stata questa la sua professione, negli anni Sessanta e Settanta. Un giramondo sciupafemmine e single impenitente. Francesco Gioffrè, detto “Frank il mongolo” per quei baffi (e il pizzetto) alla Gengis Khan, era un personaggio da film. Romanzesco e simpaticissimo. Il sorriso sempre stampato sul viso, tranne quando perdeva a biliardo. A boccette, per l’esattezza, ché con la stecca si è sempre rifiutato di giocare. Superstizioso, portava attaccato al collo un corno di corallo rosso infuocato e, per sconfiggere il malocchio di chi assisteva alla partita, bocciava tenendo la pallina incastrata tra indice e mignolo. Indossava camicie incredibili sotto il gilet da cow-boy di vacchetta e stivaletti da rock star. Stretto tra i denti, spesso, un sigaro dalle dimensioni spropositate. Al polso, bracciali delle più svariate fogge. Milanista sfegatato, entrava al bar cantando una personalissima rivisitazione – non so quanto consapevole – del coro più celebre del Napoli alla fine degli anni Ottanta: Oh mamma, sai perché mi batte il corazón? Oh Cristo (invece di: ho visto), Maradona!
Ogni tanto dalla sala biliardi giungeva al bancone del bar un urlo: “un baaaby!” (mezzo whiskey), cui seguiva un bestemmione irripetibile. Fuori, parcheggiata, la macchina dei nostri sogni di ragazzini: un’Alfa Triumph Spitfire IV diventata rossonera dopo un restyling realizzato con il pennello, il cui interno era tutto un programma. Coprisedili con pelliccia, clacson a trombetta, un corno enorme, due cuscini del Milan e musicassette di Elvis Presley e Julio Iglesias sparse ovunque.
Quando l’ho conosciuto, da tempo non lavorava più sulle navi. Ritornato in paese, aveva aperto un genere alimentari che durò pochissimo. Costretto a chiudere prima di rovinarsi completamente, dato che offriva pezzetti di formaggi e salumi a chiunque entrasse e si faceva pagare la spesa una volta sì e una no, mentre per i ragazzini delle scuole il più delle volte il panino imbottito era “omaggio della ditta”. Tornò quindi alla sua vecchia professione di cuoco, questa volta sulla terraferma, negli alberghi, da dove periodicamente tornava, sempre atteso dai frequentatori della sala biliardi e soprattutto da mio fratello Luis, dodicenne o giù di lì, al quale aveva regalato un braccialetto di occhio di bue e promesso, con largo anticipo, che avrebbe fatto da compare d’anello al matrimonio.
L’ha tradito il cuore a 55 anni, una notte di aprile del 1992, in una stanza d’albergo a Soverato, dove alloggiava e lavorava. Non fui presente al suo funerale e la cosa mi dispiacque molto. Nutro un affetto particolare per tutte le persone che, dal 1982 in poi, sono transitate dal “bar Mario”, una delle mie palestre di vita, insieme alla strada e alla scuola. Quando passo per salutarlo, guardando quella camicia insolita per una foto sulla lapide, il sorriso è inevitabile. Come tanti anni fa. Ciao, Frank.
Un taglio alla democrazia
Ci risiamo. L’ennesima porcata, questa volta nascosta tra le pieghe della manovra economica bis, dietro il paravento delle “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” contenute nel decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, comprensivo delle modifiche introdotte con il maxiemendamento approvato dal Senato il 7 settembre e passato alla Camera con il voto di fiducia del 14. L’articolo 16 del titolo quarto prevede infatti la “riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali”, da ottenere mediante le unioni dei comuni al di sotto dei mille abitanti e la diminuzione del numero di consiglieri e assessori comunali negli altri.
Si tenta di curare la patologia degenerativa del costo della politica ricorrendo ad una medicina con pericolose controindicazioni. La democrazia si realizza ampliando, non restringendo i luoghi del confronto e della dialettica politica; aumentando, non riducendo il numero di coloro che partecipano alla cosa pubblica. Già la legge 26 marzo 2010 n. 42 aveva dato una sforbiciata consistente (20%) alla composizione dei consigli comunali. Ma in molti municipi non ci sarà il tempo di verificarne l’effetto, poiché il nuovo provvedimento trasformerà i consigli comunali in circoli esclusivi: sei consiglieri nei comuni fino a mille abitanti; sei pure da 1.001 a 3.000 (due gli assessori); sette da 3.001 a 5.000 (tre assessori); dieci da 5.001 a 10.000 (quattro assessori). Nel caso di Sant’Eufemia, l’accetta del governo risparmierà otto privilegiati: il sindaco, cinque consiglieri di maggioranza e due di minoranza. Nove componenti in meno rispetto ad oggi. Di positivo c’è che tra i futuri vincitori nessuno resterà senza poltrona: tre assessori, il presidente del consiglio, il rappresentante alla comunità montana. I conti sembrano tornare. Ma l’idea di subordinare la democrazia al pallottoliere del ministero dell’Economia è aberrante. Si corre il rischio di scavare ulteriormente il solco che separa i cittadini dalla politica, degradando quest’ultima a ristretta questione privata. D’altronde, l’approvazione di un provvedimento del genere indica che lo scollamento tra politica e territorio è quasi irreversibile. In una situazione in cui i parlamentari non fossero dei “nominati” e dovessero dare conto ad un elettorato, non sarebbe possibile, perché le proteste degli amministratori locali imporrebbero un immediato cambio di rotta, per non compromettere la rielezione. Un altro motivo in più per sostenere e votare il referendum anti-porcellum.
Nel nostro comune, ai consiglieri comunali spetta un gettone di presenza di una ventina di euro; agli assessori un’indennità di circa 220 euro al mese. Un modo, semplice, per risparmiare senza tagliare la democrazia ci sarebbe: abolire qualsiasi emolumento per chiunque presenti annualmente la dichiarazione dei redditi, indipendentemente dall’importo. Dopodiché, si potrebbe addirittura ritornare ad un consiglio di venti membri, un numero adeguato per assicurare, nei piccoli comuni, la rappresentanza di gran parte della comunità. E indispensabile per non trasformare la formazione delle liste nell’organizzazione di una partita di calcetto, una faccenda da sbrigare con un rapido giro di telefonate.