La mia signora maestra

Non ho mai capito perché si faccia chiamare Rina. Il suo vero nome è Ermelinda ed è la mia maestra delle scuole elementari. “È”, non “era”: anche trent’anni dopo. Anzi, la mia “signora maestra”, come l’appellavamo noi alunni, al tempo in cui ancora non si usava dare del tu e chiamare per nome l’insegnante.
Il “voi”, allocutivo in uso nelle regioni meridionali al di là del retaggio fascista, marcava le distanze. Giustamente. Non è la nostalgia del “si stava meglio quando si stava peggio”, ma certo il ruolo sociale e l’autorevolezza dei docenti, a tutti i livelli, sono oramai parecchio scaduti. Un/a maestro/a di scuola elementare, in un paesino, contendeva al farmacista e al medico condotto il primato in termini di prestigio, influenza e rispetto tra i cittadini. Oggi, ahinoi, è spesso considerato un/a baby-sitter al servizio di genitori post-moderni che “sanno” tutto, come e meglio degli insegnanti dei propri figli. Si è passati dall’autorizzazione esplicita a non andare tanto per il sottile se il bambino era troppo vivace (“se faci u malu, minati”), al timore di alzare la voce anche quando si ha a che fare con teppistelli in erba.

La mia signora maestra, ad ogni modo, credo non abbia mai dato un ceffone. Una mosca bianca, diversi decenni fa. Aveva una bacchetta di legno (’a virga) che nessuna mano ha assaggiato: soltanto la cattedra ne conosceva il colpo, quando la classe eccedeva. Gliela procuravamo noi, con i mazzolini di fiori di campo per la statua della madonnina alla quale, ogni mattina, indirizzavamo l’Ave Maria.

Ai nostri occhi di bimbi, la signora maestra aveva un solo difetto: non ci portava mai a giocare nel cortile. Le rare uscite dall’aula avevano come destinazione un piccolo terrazzo della scuola. Chissà, forse lo shock per qualche incidente accaduto negli anni precedenti; o cautela per sfuggire al timore che potesse accadere qualcosa di spiacevole. Fatto sta che lo scorrazzare dei bambini dietro al pallone, in alto suscitava un’invidia da allora mai più provata.

La scuola elementare per me è il vocio della ricreazione; il blu dei grembiulini che tutti indossavamo (lo sfoggio dell’abbigliamento firmato era ancora di là da venire); le prelibatezze di “Vicenzina”, prima che l’affidamento esterno del servizio mensa provocasse una mezza rivoluzione; il profumo di primavera che entrava dal rettangolo di finestra che si affacciava sulla pineta comunale; la delicatezza della mano della signora maestra, quando una carezza sfiorava le nostre guance. Allora e oggi.

Come già in passato, le ho regalato il mio ultimo libro: un modo per ringraziare colei che mi ha insegnato a scrivere. Mi ha sorpreso con un inaspettato pensierino, prima di farmi rivivere in un attimo la mia infanzia, con una di quelle carezze che io so.

* Nella foto, la classe III C della Scuola elementare “Don Bosco” (anno scolastico 1981-1982)

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Il cavallo di Chiuminatto sulla Gazzetta del Sud

Grazie al bel lavoro pubblicato dallo studioso Domenico Forgione

Adesso S. Eufemia d’Aspromonte conosce per intero la sua storia

– di Giuseppe Fedele [Gazzetta del Sud, 23 giugno 2013]

La sala consiliare del palazzo municipale ha ospitato la presentazione dell’ultima opera di Domenico Forgione, “Il cavallo di Chiuminato” – Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte, edito da Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro. Dottore di ricerca, giornalista pubblicista e blogger, con interessi per la storia e la letteratura, il volontariato, la politica e lo sport, già autore de “Il ’68 a Messina” (1999), “Fascismo e Prefetti a Catanzaro 1922-1943” (2005), e “Sant’Eufemia d’Aspromonte. Politica e amministrazione nei documenti dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria. 1861-1922” (2008), Domenico Forgione ha dedicato la sua ultima opera al prof. Rosario Monterosso, che fu suo docente al liceo ma soprattutto suo maestro di vita, di recente scomparso, ed ai fratelli Mario, «che da queste strade è partito», e Luigi, che in questa cittadina è tornato.
Con la pubblicazione de “Il cavallo di Chiuminatto” – Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte, il cui contenuto è costituito da vicende vere che messe insieme formano la storia vera della città, lo scrittore ha inteso mettere a disposizione dei propri concittadini il frutto delle sue ricerche stimolandoli, così, a recuperare ricordi, personaggi e memorie della loro comunità, spesso non conosciuti. Come nel caso del Chiuminatto riportato nel titolo del libro, che altri non è se non il nome del titolare della ditta che, in territorio di S. Eufemia d’Aspromonte, costruì il ponte in ferro e la galleria nel tratto ferroviario che collegava Gioia Tauro a Sinopoli.

L’opera di Forgione, sulle strade, i toponimi delle strade e le storie dei personaggi che naturalmente i toponimi sottintendono, è un affresco degli ultimi tre secoli di storia del paese. Naturalmente, accanto ai toponimi delle strade e alla storia dei personaggi, c’è anche un riferimento specifico a usi e costumi del paese, agli antichi mestieri che non ci sono più ed anche naturalmente al modo di vivere che si è evoluto nel tempo e che comunque è stato fotografato nel libro dall’autore. In definitiva, “Il cavallo di Chiuminatto” costituisce un complesso di storia nazionale mista a storia locale per cui, ad un certo punto, ci si imbatte in una panoramica sul Risorgimento e sull’apporto che ad esso è stato dato dagli eufemiesi, impegnati eroicamente anche nella grande guerra.

Pur senza fornire ulteriori anticipazioni e approfondimenti, al termine della cerimonia di presentazione Domenico Forgione ha annunciato l’imminente pubblicazione di una nuova opera da lui realizzata assieme al prof. Giuseppe Pentimalli, autore fra l’altro del “Vocabolario ragionato del dialetto femijotu”.

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Il cavallo di Chiuminatto. La recensione di Antonio Ligato (Gazzetta del Sud)

È raccontata ne “Il cavallo di Chiuminatto” di Domenico Forgione
Una storia che sottrae all’oblio i nomi di tanti eufemiesi illustri 
– di Antonio Ligato  (“Gazzetta del Sud”, 20 giugno 2013 – Pag. 23)

Si deve ad Aurelio Rigoli, etnologo dell’Università di Palermo, la definizione, che è esplicativa di un nuovo modo di fare storia: «etnostoria» come metodo d’indagine storica che utilizza tutte le fonti a disposizione dello studioso, non soltanto quelle “ufficiali”, ma anche quelle sommerse degli archivi comunali e delle chiese, delle carte private delle famiglie illustri, senza trascurare le fonti orali, la cultura e la sapienza popolare. Anche Cesare Pavese, aveva scritto che un paese senza la provincia non ha nerbo. Queste considerazioni ci vengono in mente leggendo il volume di Domenico Forgione, dottore di ricerca, giornalista pubblicista, fresco di stampa: Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro, Delianuova (RC) Aprile 2013). Partendo dall’espressione «Poti quantu o cavaddu i Chiuminati» riferito ai cavalli impiegati, negli anni Venti, per i lavori di costruzione del ponte della ferrovia e della galleria, nel tratto eufemiese delle linee Taurensi, eseguiti dalla ditta genovese di Giacomo Chiuminatto, il testo di Forgione dimostra che accanto agli storici di professione c’è un esercito di storici locali. Costoro, con pazienza, scavano negli archivi dimenticati dei paesi e delle parrocchie, inseguono indizi, e rispolverano pagine dimenticate di storia. Non si tratta soltanto di storia locale, di «microstoria», perché essa si intreccia con la «macrostoria», la integra e spesso la corregge. Così Forgione non si limita a pubblicare uno stradario di Sant’Eufemia. Attraverso i nomi delle strade ricostruisce, innanzitutto, la storia di una comunità, che gli stessi abitanti del luogo non conoscono. A tutti è capitato di imbattersi nel nome di una strada e di non saper risalire al riferimento storico ch’esso senz’altro contiene. Così emergono dall’oblio i nomi di tanti eufemiesi illustri con le loro vicende: Carlo Muscari, uno dei quindici calabresi giustiziati a piazza Mercato dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 e la caduta della Repubblica Partenopea; Ferdinando De Angelis Grimaldi, graduato dell’esercito borbonico, napoleonico e nuovamente borbonico ai primi dell’Ottocento, guardia urbana e sindaco di Sant’Eufemia, comandante dell’esercito della Terza Divisione calabro-sicula durante i moti del 1848 e in quanto tale condannato a morte in contumacia; Michele Fimmanò, protagonista assoluto della storia politica e amministrativa del Comune di Sant’Eufemia per sessant’anni; Luigi Cutrì, maggiore dell’esercito ed eroe della prima guerra mondiale; Bruno Gioffrè, medico condotto, poeta, e testimone diretto del terremoto del 1908; Vittorio Visalli, lo storico più autorevole del Risorgimento in Calabria. Agli avvenimenti storici si alternano gli aneddoti particolari, le piccole curiosità, che consentono di ricostruire il costume di un tempo e fanno “rivedere” il paese così com’era cinquanta, cento, centocinquanta anni fa, con il suo mercato, i suoi artigiani, i suoi cinema, la sua vita economica, culturale, sociale. Dalla rivisitazione compiuta da Domenico Forgione emergono pure pagine semisconosciute di letteratura eufemiese. La sua opera, già per tutto questo, sarebbe encomiabile. Ma essa va oltre, perché attraverso le vicende dei vari personaggi locali evocati con maestria si risale ai grandi avvenimenti storici del Risorgimento, della prima guerra mondiale, dei decenni successivi, ai quali la Calabria ha senz’altro dato un notevole contributo. Il volume di Domenico Forgione rappresenta, in conclusione, un valido esempio di quel metodo «etnostorico» ben delineato da Aurelio Rigoli.

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La Consulta comunale si tinge di rosa

La Consulta comunale diventa realtà. Dopo la votazione per il direttivo, l’importante organismo voluto dall’amministrazione Creazzo si è dotato degli strumenti necessari per avviare le proprie attività, sintetizzate nel manifesto che – circa un mese fa – invitava la cittadinanza a presentare la domanda di adesione: “favorire il raccordo e lo scambio di idee tra la cittadinanza e l’amministrazione comunale […] diffondere informazioni, promuovere lo sviluppo culturale, contribuire all’educazione democratica ed alla formazione intellettuale e civile, garantire il pluralismo, coadiuvare l’attuazione di tutte quelle iniziative idonee a migliorare le condizioni di vita delle varie categorie di cittadini, incrementare e diffondere lo studio e la conoscenza della storia, delle tradizioni locali e dei valori e dei principi sanciti dalla Costituzione Repubblicana”.
Quasi un plebiscito ha sancito l’elezione a presidente di Enzo Fedele (30 anni), consulente del lavoro con alle spalle un’esperienza già ultradecennale nel mondo dell’associazionismo locale (Associazione di volontariato cristiano “Agape” e Associazione “Terzo Millennio”). Al suo fianco, la vicepresidente Rossella Morabito (33), dottoressa in lettere spesso protagonista di interessanti eventi culturali, e Angela Gioffré (36), impiegata Inail con una lunga militanza nell’associazione culturale “Sant’Ambrogio”.
La Consulta dovrebbe fungere da camera di compensazione tra politica e società civile, una sorta di cinghia di trasmissione che permetta alle istanze della comunità di pervenire al livello politico tramite un modus operandi partecipato, trasparente e democratico. Al direttivo, in particolare, il compito e la responsabilità di realizzare ciò che sulla carta rappresenta un segnale di novità, certamente positivo perché presuppone il coinvolgimento di quanti sono disposti a mettere al servizio della collettività il proprio bagaglio di esperienza e passione per la cura del bene pubblico.
L’età media del direttivo, composto in prevalenza da donne (sei su otto), è di circa 37 anni: la più giovane è la studentessa Maria Grazia Orlando (18), che ha ottenuto il maggiore numero di preferenze; il più “anziano” Salvatore Coletta (50), impiegato presso il centro semiresidenziale di riabilitazione di Sant’Eufemia. Gli altri componenti del direttivo sono: Maria Iero (43), insegnante con la passione per le tradizioni popolari; Tita Violi (48), figura di riferimento storica per il mondo del laicato parrocchiale; Mimma Rugari (37), componente del direttivo dell’associazione “Terzo Millennio” e rappresentante dei genitori nel consiglio dell’Istituto comprensivo statale “Don Bosco”.
Di seguito, il resoconto del breve colloquio che abbiamo avuto con il presidente Enzo Fedele.

Quali sono le tue prime impressioni da presidente della Consulta?
Bisogna partire da lontano. Come idea, la Consulta nasce più di un anno fa, con la stesura del programma della lista “LeAli al paese” che poi trionfò alle elezioni comunali. Da lì in avanti è stato un percorso a tappe, con la redazione del regolamento e la sua approvazione in consiglio comunale. Fino ad arrivare ad oggi, con l’elezione degli organi che andranno a comporla. Le votazioni hanno rappresentato un momento di partecipazione attiva e di sana democrazia per la nostra comunità. Subito dopo, il mio primo pensiero è andato alle persone che mi hanno eletto e con le quali dovrò lavorare: amici di vecchia data, con i quali ho già condiviso parte del mio percorso di vita, e nuovi amici che ancora non conosco a fondo: la circostanza di ritrovarci tutti qua sta però a significare che abbiamo principi e valori comuni, e questo è un buon punto di partenza.

Qual è la tua idea di Consulta?
Penso alla Consulta come ad un cantiere, un laboratorio di idee che produca progetti da affidare all’amministrazione comunale. Sant’Eufemia ha bisogno di spazi di bellezza, di luoghi di incontri che favoriscano il dialogo e la partecipazione di tutti alla “vita” del paese: sono questi gli indicatori della crescita civile e culturale di una comunità.

Cosa ci dici a proposito della squadra che lavorerà al tuo fianco?
Come avrai notato, è una squadra a “trazione rosa”. Puntiamo molto sull’energia delle donne, a partire dalla giovanissima Maria Grazia Orlando (alla quale facciamo un grosso in bocca al lupo per gli esami di maturità che si appresta a sostenere), che avrà il compito di coinvolgere i giovani del nostro comune. Tita Violi curerà prevalentemente i rapporti con le aziende che insistono sul nostro territorio; Maria Iero si occuperà del tema a lei congeniale del recupero storico e culturale delle nostre tradizioni; Mimma Rugari di pari opportunità e di integrazione con gli stranieri, molti dei quali ormai da anni risiedono stabilmente nel nostro comune; Salvatore Coletta del coinvolgimento degli anziani in progetti che li possano vedere e rendere protagonisti.
Io, Rossella Morabito ed Angela Gioffré avremo invece il compito di coordinare e seguire da vicino i lavori dei singoli settori: giovani, cultura, pari opportunità, anziani, attività produttive.

Quali saranno le prime iniziative della Consulta?
Innanzitutto ritengo sia giusto presentare la squadra all’intera comunità, in modo che ogni cittadino sappia “chi si occuperà di cosa” e, se lo ritiene opportuno, possa partecipare allo sviluppo delle idee e alla realizzazione dei progetti. Subito dopo, penso ad iniziative cha facciano conoscere qual è la storia del nostro comune e la sua vocazione; penso a convegni su tematiche particolari quali la sicurezza nel mondo del lavoro, l’importanza della raccolta differenziata, la promozione dei nostri prodotti. In ogni caso, si tratterà di iniziative che metteranno al centro del dibattito il cittadino “responsabile”, che vuole rendersi protagonista della vita sociale nel nostro comune.

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Il cavallo di Chiuminatto sul mensile La Piana

Presentato a S. Eufemia d’Aspromonte un pregevole libro di Domenico Forgione 

L’aula consiliare del municipio di Sant’Eufemia d’Aspromonte ha ospitato il quinto appuntamento di “Pagine di storia”, attività culturale fortemente voluta dall’amministrazione comunale guidata da Domenico Creazzo, che nell’occasione ha promosso la presentazione del libro scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito ad aprile dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova: “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”.
Ha aperto l’incontro il moderatore della manifestazione Cosimo Petrolino, che ha sottolineato la caratteristica più importante del volume, lo studio della toponomastica come strumento per fare opera di memoria, utile per conservare e tramandare alle future generazioni un patrimonio culturale e sociale che altrimenti andrebbe disperso. Subito dopo, i saluti del primo cittadino eufemiese, che ha assicurato il pieno appoggio a tutte quelle iniziative che mirano alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità locali.
Un’attitudine che di recente l’Amministrazione comunale ha in un certo senso “istituzionalizzato” con la creazione della Consulta comunale, che entro l’estate dovrebbe essere pienamente operativa.
L’editore Raffaele Leuzzi si è invece soffermato sul valore didattico delle pubblicazioni di carattere regionale, provinciale e comunale, dato che i libri di scuola “ufficiali” ignorano completamente la dimensione locale della storia e, per alcuni versi, anche della letteratura: un settore nel quale si è ormai da tempo specializzato Nuove edizioni Barbaro, con le ristampe anastatiche di pregevoli e introvabili opere di autori calabresi del Novecento.
E’ seguita poi la presentazione vera e propria del volume, curata dal professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu” e dal professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria, che ha sottolineato il valore scientifico del volume, realizzato sulla base di una corposa documentazione archivistica e bibliografica e l’importanza storica dell’evento. “Il libro – ha detto Arillotta – è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese; ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva”. Un concetto che Arillotta aveva già sottolineato nella stessa prefazione del libro: “Troviamo la dimostrazione che ‘toponomastica’ non è solo ‘nomi di strade’. Dietro quelle scritte, spesso modeste, in nerofumo, o appena leggibili, ci sono sempre storie importanti, che ‘devono’ essere raccontate, perché ‘devono’ essere ricordate”.
In conclusione, l’intervento dell’autore, commosso quando ha voluto dedicare la manifestazione alla memoria del professore Rosario Monterosso, suo docente ai tempi del liceo, scomparso nel novembre del 2012.
Forgione ha ripercorso la “marcia di avvicinamento” alla pubblicazione del libro, dall’elaborazione dell’idea, allo sviluppo della ricerca, alla stesura finale, sottolineandone gli aspetti “curiosi” ma anche le difficoltà che non sono poche quando si tratta della individuazione e della fruizione del materiale documentario locale. Infine il senso della pubblicazione: “Il libro – ha detto – è la tessera di un mosaico più grande che è la storia di Sant’Eufemia. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) è per me motivo di grande orgoglio”.

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Il Santuario di Sinopoli… a Firenze

Da circa un anno sto raccogliendo gli scritti degli autori eufemiesi del Novecento. Non è semplice, perché spesso si tratta di opere dalla tiratura limitatissima, pubblicate 50-60 anni fa e oltre, più facili da trovare in possesso di collezionisti privati che presso le biblioteche pubbliche. Tra Reggio, Polistena e Palmi ho recuperato una cinquantina di pubblicazioni, che ho fotocopiato o riprodotto digitalmente. Ma ancora c’è da lavorare.
Necessariamente incompleta, ad esempio, è stata la sintesi della produzione letteraria di don Luigi Forgione, da me proposta in occasione del centenario della nascita, anche se all’appello mancavano due opere su sette: Sinopoli e il suo Santuario; Verso l’Alto.
Mancavano.
La cosa che più mi sta gratificando in questa ricerca è la disponibilità che riscontro tra gli amici ai quali necessariamente devo rivolgermi. Roberto è uno di questi, il mio asso nella manica. Lui è il protagonista di Pulp fiction: “mi chiamo Wolf, risolvo problemi”. Grazie a lui, la Biblioteca nazionale di Firenze è dietro l’angolo di casa mia. E io, sfacciatamente, ne approfitto. Gli ho addirittura affidato una lista di pubblicazioni che sono conservate soltanto in riva all’Arno!
Per tale motivo, periodicamente e compatibilmente con i suoi impegni universitari, mi arriva via email qualche “regalino”, in formato sia word che pdf: Per un prode. In onore di Luigi Cutrì, maggiore nel 12° reggimento fanteria, caduto sul campo il 30 novembre 1915, di Bruno Gioffré (Ditta D’Amico, Messina 1916) e Commemorazione del comm. avv. Michele Fimmanò, letta al Consiglio comunale di S. Eufemia d’Aspromonte nella tornata dell’11 marzo 1913, di Pietro Pentimalli (Tip. Succ. Fratelli Nistri, Pisa 1913) sono stati fondamentali per la stesura di due voci del mio libro Il cavallo di Chiuminatto.
Ieri sera, un nuovo cadeau: Sinopoli e il suo Santuario, Istituto padano di arti grafiche, Rovigo 1955. Una piccola raccolta di componimenti poetici (23 pagine) pubblicata “A ricordo dell’anno mariano e della consacrazione della parrocchia alla Madonna”, in occasione della festa dell’Immacolata del 1954: “Sinopoli”; “Breve storia del celebre santuario di Maria SS. delle Grazie – Sinopoli (Reggio Calabria)”; “Novena: A Maria SS. di tutte le Grazie – Nel celebre santuario di Sinopoli”; “Preghiera”; “Preghiera – Da recitarsi alla festa dell’8 settembre”; “Inno a Maria SS. delle Grazie”; “Canzoncina tradizionale – Da cantarsi nei sabati sacranti della Madonna delle Grazie di Sinopoli”; “La festa della Madonna delle Grazie”; “La commissione della festa della Madonna delle Grazie”.
Di seguito, riporto i leggeri e scherzosi versi dedicati ai membri della commissione della festa, a beneficio degli amici di Sinopoli che vi ritroveranno, forse, qualche vecchio parente.

La Commissione della festa della Madonna delle Grazie
Voglio dirvi, se aspettate,
se un pochino pazientate,
in che modo si compone
la solerte Commissione
della Festa di Maria,
tutta piena d’armonia.
Pronti i nomi, ecco la lista.
Bella vista, bella vista,
ma più bello il loro cuore
freme e palpita d’amore
per la Mamma di Gesù
e risplende di virtù.
E’ Domenico il Sergente
nostro bravo Presidente.
E fa Bruno il suo mestiere
di simpatico cassiere.
L’altro Bruno viene poi
e son tanti i meriti suoi.
Pur del tempo fan buon uso
i devoti e pii Caruso.
Gode infatti buona fama
quel che Angelo si chiama.
Or ricordo il caro Antonio
ed il buon Francescantonio.
Né dimentico Giovanni,
il fedel di tutti gli anni.
Antonio poi presento,
ch’è di nobil sentimento.
Due i Romeo ed un Lirosi,
sì gentili e rispettosi.
Anche il terzo Fimmanò
fede e slancio vi portò.
Condò, Sabato e Puccini,
noti ai grandi ed ai bambini,
per la Festa, in pia unione,
ora restano e Carbone.
Ahi!… rimàn quest’anno solo
l’indelebile Bartòlo.
Son carissime persone,
tanto buone, tanto buone!
O Madonna, benedici,
tutti rendili felici.
D’ogni pena li compensa
e ogni grazia a lor dispensa.
Benedici i tuoi devoti:
chi ti prega e chi fa voti.
I vicini ed i lontani
rendi sempre lieti e sani,
o dolcissima Maria,
Mamma nostra. Così sia!

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Il cavallo di Chiuminatto su Calabria Ora

“Il cavallo di Chiuminatto”

«Restituito un pezzo di storia»

Presentato il libro di Forgione sulle antiche strade di Sant’Eufemia

SANT’EUFEMIA – Quinto appuntamento di “Pagine di storia”, attività culturale fortemente voluta dall’amministrazione comunale guidata da Domenico Creazzo, che nell’occasione ha promosso la presentazione del libro “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”, scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova.
«La caratteristica più importante del volume – ha esordito il moderatore Cosimo Petrolino – è lo studio della toponomastica come strumento per fare opera di memoria, utile per conservare e tramandare alle future generazioni un patrimonio culturale e sociale che altrimenti andrebbe disperso».
Il primo cittadino eufemiese, Domenico Creazzo, nell’assicurare pieno appoggio a tutte quelle iniziative che mirano alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità locali, ha ricordato la creazione della Consulta comunale, che entro l’estate dovrebbe essere pienamente operativa.

L’editore Raffaele Leuzzi si è invece soffermato sul valore didattico delle pubblicazioni di carattere regionale, provinciale e comunale, «dato che i libri di scuola “ufficiali” ignorano completamente la dimensione locale della storia e, per alcuni versi, anche della letteratura».
E’ seguita poi la presentazione del volume, curata dal professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu” e dal professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria: «il libro è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese; ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità, che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva».

In conclusione, l’intervento dell’autore, che ha dedicato la manifestazione alla memoria del professore Rosario Monterosso, suo docente ai tempi del liceo, ha affermato: «Il libro è la tessera di un mosaico più grande, che è la storia di Sant’Eufemia. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) è per me motivo di grande orgoglio».

[Calabria Ora, 25 maggio 2013, pagina 22 dell’edizione della provincia di Reggio Calabria]

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Il cavallo di Chiuminatto: la presentazione

[Il mio intervento alla presentazione del libro – Sala consiliare del palazzo municipale, 18 maggio 2013]

Rivolgo un saluto particolare, innanzitutto, ai ragazzi del nostro liceo scientifico. In questi ultimi anni si è creato tra di noi un rapporto speciale, del quale vado fiero, per due motivi: perché il liceo “Enrico Fermi” a me ha dato molto quando ero studente e quindi credo sia giusto, per quello che posso, restituire qualcosa.
E poi perché ritengo che il futuro del nostro paese passa dalle aule delle sue scuole, da quella primaria al liceo, e non può che farmi piacere dare un piccolo contributo per la sua crescita.

Proprio per questo motivo, prima di iniziare, ci tengo a dire una cosa. Tra i relatori, a questo tavolo, oggi ci sarebbe stato certamente il professore Rosario Monterosso, così come era stato presente alla presentazione dell’altro mio libro su Sant’Eufemia. Purtroppo mancherà la sua relazione; a me mancano i suoi consigli e la sua vicinanza, perché con lui, mio professore di storia e filosofia al liceo, ho avuto un rapporto bellissimo, da studente prima e da amico dopo. Il destino ha deciso diversamente, ma consentitemi di dedicare alla memoria del professore Monterosso questa bella manifestazione.

Ringrazio il sindaco Mimmo Creazzo per l’ospitalità di oggi e per l’impegno e la sensibilità verso i temi culturali che stanno contraddistinguendo l’attività dell’amministrazione comunale. Investire nella cultura è sempre un investimento utile, che produce risultati nel presente ma soprattutto nel futuro.

Ringrazio Cosimo Petrolino, che si sta impegnando molto per la crescita culturale del nostro paese, facendosi promotore di iniziative di grande qualità. L’ho definito “la goccia che scava la roccia” e spero che gli abbia fatto piacere. Al di là di tutto, anche della simpatia e della stima reciproche, abbiamo già avuto modo di collaborare in diverse iniziative e mi sembra che qualche risultato l’abbiamo ottenuto.
Ringrazio la casa editrice Nuove Edizioni Barbaro, perché non è frequente trovare professionalità del genere nel mondo dell’editoria locale. Parlare degli altri non è mai carino, pertanto dirò soltanto del mio editore, che si è comportato da editore e non da stampatore. Chi ha avuto a che fare con qualche casa editrice sa a cosa mi riferisco. La pubblicazione di questo libro è un’operazione editoriale, voluta da una casa editrice che ha già dimostrato di essere molto attenta al discorso territoriale, alla scoperta e alla valorizzazione dei patrimoni culturali locali. Un’attività che è editoriale, ma è anche culturale e sociale, ad esempio quando produce la ristampa anastatica di opere introvabili, com’è avvenuto in passato con il saggio storico Aspromonte, di Vittorio Visalli, e più di recente con la raccolta di poesie Poco suono di Lorenzo Calogero.
Ringrazio il professore Giuseppe Pentimalli, del quale due anni fa ho presentato, proprio in questa sala, il Vocabolario del dialetto femijotu. Potremmo dire che ci presentiamo i libri a vicenda, ma la verità è più profonda e nasce da un sentimento di stima reciproca e solida, testimoniato dalla partecipazione con la quale l’uno ha seguito il percorso dell’altro.

Ringrazio infine il professore Francesco Arillotta, che molto prima di me si è cimentato in un’opera del genere: la prima edizione di Reggio e le sue strade. Briciole di storia nella toponomastica cittadina, dedicato alla città di Reggio Calabria, risale infatti al 1967. Lo ringrazio per l’intervento di oggi e per la sua prefazione al libro, che costituisce certamente un valore aggiunto perché scritta da uno tra i più autorevoli storici calabresi.

Veniamo ai motivi che mi hanno spinto a scrivere un libro sulla storia e sulle storie delle strade di Sant’Eufemia.
L’idea mi è venuta dopo il convegno organizzato dall’Associazione “Terzo Millennio” e dal liceo scientifico “Enrico Fermi” in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Mi ero reso conto che, per la maggior parte degli eufemiesi, i protagonisti della storia locale non sono nient’altro che un nome stampato agli incroci delle vie. Pensai che poteva essere interessante approfondire l’argomento e cercare di realizzare qualcosa di utile per tutti.

Perché “Il cavallo di Chiuminatto”?

Sul foglio di mappa del 1959 pubblicato nell’appendice del libro, l’attuale via XXV luglio reca la denominazione “via Giacomo Chiuminatto”. Inizialmente ho avuto grosse difficoltà a capire di chi si trattasse, poiché l’unico indizio in mio possesso erano gli estremi di alcuni finanziamenti assegnati dalla Banca Commerciale Italiana alla ditta “Chiuminatto” tra il 1923 e il 1927.

Ho conosciuto il professore Arillotta in occasione del convegno organizzato dal Comune per il centocinquantesimo anniversario del ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte, l’estate scorsa. Quale migliore occasione per chiedere qualche consiglio, sia sulla vicenda di Chiuminatto che su altri nodi che ancora non ero riuscito a sciogliere? Mi suggerì di contattare l’archivio storico della Banca Commerciale Italiana e così scoprì che Chiuminatto era originario di Genova (Bolzaneto per l’esattezza, al cui ufficio dello Stato civile mi sono poi rivolto per i dati anagrafici) e che era il titolare della ditta che negli anni Venti del secolo scorso costruì il ponte sulla ferrovia e la galleria nel tratto eufemiese delle linee taurensi. Da questi primi indizi sono poi riuscito ad acquisire altre notizie e, infine, a collegare il dato storico con l’aneddoto sul modo di dire che ha ispirato il titolo del libro (“poti quantu o cavaddu i Chiuminati”, in riferimento a persona prestante e vigorosa: come i cavalli da tiro utilizzati per il trasporto del breccio e del materiale di costruzione necessario per effettuare i lavori della ferrovia).

Devo ammettere che mi sono molto divertito a scrivere questo libro, che è anche il pretesto per parlare d’altro, non soltanto dei profili biografici delle illustri personalità eufemiesi.
A volte il nome di una strada mi è servito per ricostruire le vicende storiche di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Penso, ad esempio, a via Milano, che rievoca il dramma del terremoto del 1908 e consente di mettere un punto fermo sul numero delle vittime (537), al di là delle cifre spesso sparate senza cognizione di causa (1000, addirittura 2000). Di questi morti conosciamo anche i nomi, uno per uno, visto che esiste l’elenco completo, redatto dall’allora arciprete Luigi Bagnato, che è conservato presso l’Archivio parrocchiale della chiesa di Maria SS. delle Grazie. Via Milano significa soprattutto solidarietà, perché porta con sé la bellissima storia degli aiuti del Comitato milanese, che ha determinato anche il gemellaggio tra le due città.
Penso a via Borgo, che identifica un intero rione e che rimanda alle dolorose pagine del dopo terremoto del 1783 (“u fracellu”). “Borgo” significa “quartiere sorto al di fuori delle antiche mura di una città”: infatti, originariamente Sant’Eufemia corrispondeva all’attuale “Paese Vecchio”. Il “Petto” fu edificato dopo il 1783; la “Pezzagrande” dopo il sisma del 1908. L’antico assetto urbano viene confermato dall’etimologia di via Scatropoli, che chiarisce ulteriormente quali erano gli antichi confini: “eschaton” (“ciò che sta al termine”) e “polis” (“città”). Al rione Borgo è legato un episodio drammatico ma un tempo frequente. Mi riferisco all’incendio che nel 1902 lo distrusse completamente, sia perché le case erano sì in muratura ma contenevano tramezzi e impalcature in legname, sia perché spegnere le fiamme alimentate dallo scirocco (cento anni fa, ma anche in seguito) era praticamente impossibile. Per cui, sviluppatesi accidentalmente in un fienile, dove un bimbo si era recato con una lampada ad olio per cercare un gattino, le fiamme in poco tempo incenerirono 125 case e ne resero inabitabili altre undici.
Penso a Via Duomo, con il suo significato di “chiesa principale di una città”, che ci offre uno spaccato della comunità religiosa eufemiese raccolta attorno all’attuale chiesa di Maria SS. delle Grazie (un tempo Santa Maria delle Grazie), a partire dal dopo 1783, quando l’antica chiesa Matrice fu rasa al suolo, e fino al 1856, anno in cui anche la chiesa al Petto fu elevata a parrocchia.
Penso poi a piazza Mercato (l’attuale piazza Purgatorio), di recente rievocata da Mimmo Gangemi nel suo romanzo di grande successo La signora di Ellis Island, laddove il protagonista, da Santa Cristina, giunge ai primi del Novecento al mercato di Sant’Eufemia e acquista due “cartate” di pasta da 5 kg, aringhe sotto sale e una “pinna” di pesce stocco.

La toponomastica offre la possibilità di ricordare aneddoti particolari o semplici curiosità, utili per ricostruire il costume di un tempo perché fanno “rivedere” il paese così com’era cinquanta, cento, centocinquant’anni fa: sia dal punto di vista urbanistico che da quello “quotidiano”, con il suo mercato appunto, i suoi artigiani, i suoi cinema, il suo sviluppo economico, culturale e sociale.
Un episodio curioso riguarda via Sergente Crea, che oggi attraversa la pineta comunale nel tratto compreso tra via Fimmanò e via De Nava. Se appena varcato il cancello si volge lo sguardo al muro di cinta della scuola elementare, è possibile addirittura vedere ancora affissa la targa, all’interno della pineta! Questo perché dopo l’edificazione della scuola, a metà degli anni Cinquanta, la pineta comunale fu evidentemente recintata, per cui una porzione della strada che prima la lambiva ricadde al suo interno.

Ma la toponomastica diventa anche una scusa per riscoprire pagine semisconosciute di letteratura eufemiese: i discorsi di Bruno Gioffrè, i racconti di Nino Zucco, le poesie di Domenico Cutrì, le ricostruzioni storiche di Luigi e Vittorio Visalli, Pietro Pentimalli, Michele Fimmanò, Vincenzo Tripodi.
Basti pensare, a proposito di via Peras, alla bellissima poesia di Domenico Cutrì (Contrada Peras del mio paese natio), che ci fa comprendere qual era la vita del contadino eufemiese. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Oppure riflettere sulla forza evocativa di via Ferrai, che rimanda a tutta una tradizione di artigianato locale che aveva una sua grandezza e notorietà nel circondario. I “mastri” eufemiesi erano bravissimi: lavoratori del ferro, ebanisti, falegnami, cestai, orafi, sarti, calzolai, tornitori, calderai (fabbricatori di recipienti), ottonieri (artigiani dell’ottone, utilizzato in genere per la realizzazione di oggetti artistici: ad esempio, candelabri). Suggestione che Nino Zucco ci restituisce intatta in un brano del suo racconto Fuoco a Diambra.

Ho impiegato un anno per effettuare la ricerca e per procedere poi alla sistemazione del materiale documentario e bibliografico, all’elaborazione e alla stesura definitiva del libro, che è composto da 106 voci, il totale cioè delle vie presenti sullo stradario attuale e sui fogli di mappa esistenti e risalenti al 1880, 1903, 1955 e 1959.

Recuperare alcune notizie è stata una vera e propria caccia la tesoro: ad esempio, la data di nascita di Ferdinando De Angelis, che ho trovato dopo avere spulciato per qualche ora un registro in latino di fine ’700 custodito presso l’Archivio parrocchiale della Chiesa di Santa Maria delle Grazie; oppure le informazioni su Giacomo Chiuminatto; o, ancora, l’individuazione del luogo e della data di morte di Giovanni Lupini, ai quali sono arrivato soltanto dopo avere visitato il cimitero di Palmi per trovare la tomba che sospettavo lì si trovasse, visto che né l’ufficio dello Stato civile di Sant’Eufemia, né quello di Palmi avevano saputo rispondere al mio quesito.

Altre volte è stato il caso e la generosità degli uomini a farmi scoprire elementi inediti della storia locale. L’ostacolo maggiore per chi conduce una ricerca è spesso l’inaccessibilità degli archivi comunali. Sant’Eufemia, purtroppo, non fa eccezione. Molte informazioni le ho recuperate presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, che conserva le copie dei registri dell’anagrafe. La stessa cosa mi era capitata, anni fa, con i verbali dei consigli e delle giunte comunali tra il 1861 e il 1922. Eppure quelle stesse fonti si trovano anche nel nostro municipio, negli scantinati, ma non sono consultabili dalla collettività e soprattutto corrono il rischio di deteriorarsi irrimediabilmente, provocando un danno gravissimo alla ricostruzione della memoria storica di Sant’Eufemia.
Si tratta di veri e propri tesori nascosti. Penso all’atto di matrimonio di Francesco Cilea, nonno del celebre compositore di Palmi: un medico originario di Pentidattilo che il 2 giugno 1822 sposò a Sant’Eufemia una giovane del luogo, Rachele Parisi. Un documento che rivela l’origine eufemiese di uno dei più grandi musicisti del Novecento, del quale io mai sarei potuto venire a conoscenza senza la generosità di Totò Orlando, che ringrazio.

Dal 1861 ad oggi i nomi di alcune strade sono cambiati, nuove vie sono state aggiunte, di altre addirittura non si ha più notizia. Scomparsi i nomi, cancellate – fisicamente – anche le vie: vico Spersi, via Giardini, vico Orso, vico Innocenti, via dell’Annunziata, vico Miceli, via Cairoli, via Oddone. Vie inghiottite da un’urbanizzazione selvaggia, oppure semplicemente diventate – per “comodità” – vichi o traverse di qualche strada più grande.

Come in tutte le città d’Italia, la toponomastica fascista è stata invece cancellata dopo l’avvento della democrazia, nel secondo dopoguerra: via XXI aprile (il Natale di Roma), via XXIII marzo (giorno di fondazione dei fasci di combattimento), piazza XXVIII ottobre (marcia su Roma), via Nicola Bonservizi, via Maurizio Maraviglia.

Va da sé che per personaggi come Dante o Cavour c’era poco da aggiungere a quanto già non sia noto. In questi casi mi sono quindi limitato a una sintesi di quanto è possibile trovare altrove, in maniera certamente più approfondita. A meno che la via in questione non avesse qualche “storia” particolare da raccontare, come ad esempio via Roma, con la vicenda della costruzione del monumento del Calvario; o via Maurizio Maraviglia, il gerarca fascista che fu ospite d’onore all’inaugurazione del nuovo palazzo municipale e alla cerimonia d’apertura del nuovo acquedotto comunale, nel 1926; o via Giuseppe De Nava, il politico reggino più volte ministro che dopo il terremoto del 1908 fu il vero artefice della pacificazione tra la fazione che spingeva per edificare nel nuovo sito della Pezzagrande (e che era capeggiata da Michele Fimmanò e dall’allora sindaco, il notaio Pietro Pentimalli) e quella che invece non aveva alcuna intenzione di spostarsi dal Paese Vecchio (con in testa gli ex sindaci Antonino Condina Occhiuto e Francesco Capoferro, il medico Bruno Gioffré, il maestro Francescantonio Cutrì). Contrasto superato proprio grazie alla mediazione di De Nava, che si fece garante della revisione della legge sulla definizione delle aree edificabili. Ciò comportò l’edificazione in Pezzagrande, ma anche la deroga al divieto di ricostruire nell’area del Vecchio Abitato.

L’interesse maggiore della ricerca è rivolto ovviamente agli eufemiesi illustri. Carlo Muscari, uno dei quindici calabresi giustiziati a piazza Mercato a Napoli, dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 e la caduta della Repubblica Partenopea. Ferdinando De Angelis Grimaldi, graduato dell’esercito borbonico, poi di quello napoleonico e nuovamente di quello borbonico ai primi dell’Ottocento; guardia urbana e sindaco di Sant’Eufemia negli anni Quaranta, comandante dell’esercito della Terza Divisione calabro-siculo durante i moti del 1848 e in quanto tale condannato a morte in contumacia. Un personaggio romantico e affascinante, la cui biografia meriterebbe un maggiore approfondimento. Così come meriterebbe uno studio ad hoc la biografia di Michele Fimmanò, protagonista assoluto della storia politica e amministrativa del comune di Sant’Eufemia per sessant’anni, tra il 1854 e il 1913. E ancora: Luigi Cutrì, maggiore dell’esercito ed eroe della prima guerra mondiale; Bruno Gioffrè, medico condotto, poeta e testimone diretto del terremoto del 1908; Vittorio Visalli, lo storico più autorevole del Risorgimento in Calabria.

La riflessione sul passato richiede però qualche considerazione sul presente. Non possiamo infatti nascondere che la toponomastica attuale è molto datata e andrebbe aggiornata. Non per cancellare nomi e storie che ci appartengono, come è stato incautamente fatto nel passato. Da questo punto di vista concordo pienamente con la linea della Deputazione di Storia Patria che è per il mantenimento della toponomastica originaria delle strade, anche quando essa ci dice poco o niente.

Accanto a Cavour, Garibaldi, Cavallotti ci sono o c’erano nomi di personaggi oggi sconosciuti o quasi, ma che sarebbe stato bene comunque mantenere. Se non altro, questi nomi ci dicono che centocinquanta o cento anni fa i nostri amministratori erano molto attenti alle dinamiche politiche nazionali: penso alle vie dedicate a Francesco Anzani, compagno d’avventura di Garibaldi; a Carlo Poerio, patriota più volte arrestato e condannato dal Borbone a 24 anni di lavori forzati, poi deportato insieme a Luigi Settembrini, con il quale fu protagonista di una fuga rocambolesca dalla nave che li doveva portare negli Stati Uniti e che dopo l’Unità fu vicepresidente della Camera; a Pier Carlo Boggio, morto nella battaglia di Lissa nel 1866; ad Angelo Brofferio, carbonaro, poi avversario politico di Cavour, ma soprattutto storico di grande valore.

La toponomastica di Sant’Eufemia, salvo qualche sporadica eccezione (ad esempio: largo Giovanni Paolo II), è rimasta ferma al secondo dopoguerra; ma nel frattempo il mondo, l’Italia, la Calabria e la stessa Sant’Eufemia hanno prodotto personalità che meriterebbero di essere ricordate, nel campo dell’arte, della scienza, della cultura, del sociale e, perché no, della tanto vituperata politica. Non è mai simpatico fare il giochino dei nomi e non lo farò; dico soltanto che è inconcepibile che a Sant’Eufemia vi sia una sola strada dedicata a una donna, via regina Margherita: e c’è perché si trattava della regina d’Italia e perché il mito della moglie del sovrano Umberto I è stato fortissimo tra Ottocento e Novecento.

Allo stesso tempo, non posso fare a meno di evidenziare alcuni errori imperdonabili, che non sono solo quelli di confondere il cognome Settimo (via Ruggiero Settimo, dedicata al primo presidente della Camera dei Deputati dopo l’Unità d’Italia) con l’ordine di una improbabile successione dinastica.

Trovo infatti discutibili alcune decisioni prese nel passato. Su tutte, la cancellazione di piazza Aid Committee (Comitato di aiuti composto da italiani residenti negli Stati Uniti e presieduto dal commendatore Vincenzo Ascrizzi), che rappresenta una pagina importante della nostra storia: quella dell’emigrazione eufemiese, del sacrificio e della generosità, di un amore nei confronti della propria terra che non viene per niente scalfito dalla lontananza. Una storia che la crisi economica attuale ripropone in maniera drammatica e che noi eufemiesi sentiamo sulla nostra pelle, perché sono tantissime le famiglie smembrate dall’emigrazione.

Non ho la presunzione di pensare di avere scritto qualcosa di definitivo. Chi fa ricerca sa bene che la storia non è mai scritta per sempre, una volta per tutte. Basta un’informazione inedita, un dato storico, una semplice curiosità per vedersi spalancare nuovi scenari.
Revisionismo non vuol dire ribaltare o negare ciò che altri storici hanno accertato: significa, semplicemente, aggiornare quei dati con i nuovi spunti che la ricerca offre di continuo.

Ognuno di noi scrive (o dovrebbe scrivere) con umiltà la “propria” storia, sulla base delle proprie conoscenze e della propria sensibilità. È questo il senso ultimo delle pagine del libro, che poi è uguale al senso del lavoro sulla storia amministrativa e politica di Sant’Eufemia, al senso dei libri scritti da chi mi ha preceduto e da quelli che – mi auguro – scriveranno coloro che verranno dopo di me.
Il libro è la tessera di un mosaico più grande: in questo caso, la storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) mi gratifica ed è per me motivo di grande orgoglio.

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Il cavallo di Chiuminatto sul Quotidiano della Calabria





Pagine di storia con il libro di Domenico Forgione

SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE – Continua il ciclo di conferenze dedicato al mondo della cultura, voluto dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Domenico Creazzo. L’aula consiliare del Municipio di Sant’Eufemia ha ospitato sabato il quinto appuntamento di “Pagine di storia”, che ha promosso la presentazione del libro scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito ad aprile dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova: “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”. A moderare l’incontro è stato Cosimo Petrolino. Presente anche l’editore Raffaele Leuzzi. Sono seguiti poi gli interventi del professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu”, e del professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria, il quale ha posto l’accento sul valore scientifico del volume. “Il libro – ha affermato – è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese, ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità, che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva”.

[di a.t.
– Il Quotidiano della Calabria, 20 maggio 2013, pagina 19 dell’edizione della provincia di Reggio Calabria]

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Nel centenario della nascita di don Luigi Forgione

Sant’Eufemia, Sinopoli e Sant’Onofrio: sono i “luoghi” di don Luigi Forgione e la fonte di ispirazione del sacerdote definito da Mimmo Pezzo “il poeta della bellezza delle cose del creato”.
Nato a Sant’Eufemia il 29 maggio 1913 e ordinato sacerdote nel 1938, don Forgione svolse quasi tutto il suo ministero a Sinopoli e a Sant’Onofrio, dove arrivò all’inizio degli anni Settanta e morì il 14 gennaio 1992.
La prima pubblicazione, Sinopoli e il suo Santuario, risale al 1955, mentre è dell’anno successivo Le care figure, una raccolta di racconti in cui il dolore provocato dalla morte di familiari, amici e conoscenti si scioglie nel soccorso provvidenziale del ricordo di quelle vite e del loro messaggio: “Dalle ombre dei sepolcri non può forse scaturire la luce per il nostro pensiero, additando proprio nella lacrime la promessa d’un confortevole, ineffabile sorriso?”.
Canti di Fede, libro di poesie edito nel 1956 e ristampato nel 1984 in un’edizione “riveduta e ampliata”, è ispirato al genere manzoniano degli “inni sacri” (tra i titoli: “L’immacolata”; “La passione di Gesù”; “Resurrezione”; “L’ascensione”; “Pentecoste”; “Corpus Domini”). Per l’ispettore didattico Giuseppe Cutrì, autore della prefazione del volume, don Forgione ha “saputo trasfondere nei versi tutta la genuinità della sua fede, tutta la purezza della sua vita civica e sacerdotale, nonché tutta la forza della sua fervente spiritualità, additante la via del superamento e dell’ascensus”.
L’anno dopo (1957) esce La vera gloria, raccolta di versi dedicata a papa Pio XII, in cui il genere degli inni sacri (“Il Protomartire”; “Il pescatore di Galilea”; “Paolo di Tarso”; “Fiore di Calcedonia”) si alterna con liriche autobiografiche e introspettive (“La mia penna”; “Contrasto”; “La mia porta”; “Il mio letto”; “Al paese natio”; “Lo specchio”; “Che cosa sono?”), cariche di nostalgia e commozione, come nei versi finali di “A mamma mia”:

Vorrei ridarti quello che m’hai dato,
vorrei donarti i miei capelli neri, 
intrecciare i miei sogni ai tuoi pensieri,
lasciar la vita, mamma, in questo stato.

La vera gloria ebbe la segnalazione di onore al concorso di poesia “Alfredo Baccelli” di Milano e la segnalazione di primo grado al concorso di poesia del Convivio letterario di Bergamo.
La bellezza del creato irradia dai componimenti di Armonie divine (1958), che affronta “i temi a lui cari”, ispirati dalla quotidianità della vita agreste e “dalla innocente contemplazione di un piccolo mondo antico e nuovo, [dilatandosi] in sensazioni e in immagini di portata universale: il sole, la luna, le stelle, il vento, la pioggia, il mare, gli alberi in fiore, le rondini, il ruscello, le viole, le rose, l’olivo, la spiga, la vite” (dalla prefazione da Gino D’Angelo, direttore del settimanale romano “Realtà politica”). All’opera furono assegnati il “Diploma d’encomio” al concorso “Gastaldi” e la “Penna d’oro” al concorso “Convivio letterario e conviviale”, con la seguente motivazione : “Gli inni in essa contenuti sono modelli d’arte austera, controllata, antica e nuova, e formano una sinfonia unitaria, un poema di grazie al Creatore”.
Nastro magnetico (1964) segna il ritorno di don Forgione alla prosa e consiste in una serie di racconti autobiografici, che compongono il romanzo della vita del protagonista, don Ubaldo, “ab incunabulis ad sepulcrum”.
Le poesie di Tempo che fugge (1967), che ottenne il “premio alla cultura” del Consiglio dei ministri, riassumono i temi della produzione di una vita: fede, natura, famiglia, amicizia. Nella prefazione, Gino D’Angelo osserva: “Tutto per te è argomento di poesia: la solitudine agreste, il variare delle stagioni, le antiche usanze, le nuove voci, i cari affetti, i dolci ricordi, la maternità della terra, la maestà dei tuoi monti, la sconfinata altezza del cielo, le voci della natura, la sorte degli umili, la meta di tutti”.
La silloge Sulla Cetra (1980) ripropone infine “ai benevoli lettori [i versi] superstiti ad una accurata e severa selezione”, operata dall’autore sulle raccolte pubblicate in precedenza: oltre alle citate, Verso l’Alto, regola di vita dell’Azione cattolica, ispirata alle parole scritte da Pier Giorgio Frassati (proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1990) sull’ultima fotografia che lo ritrae impegnato a scalare la parete di una montagna.
Collaboratore di diverse riviste (“Omnia”; “L’Informatore”; “La Voce del Pastore”; “Calabria letteraria”), don Luigi Forgione ebbe anche l’onore dell’adattamento musicale di alcune sue poesie: “ Il monumento ai caduti”, ad opera del maestro Domenico Luppino; “Al Santo protettore”, dedicata a Sant’Onofrio e i cui versi, musicati dal maestro Luigi Occhiuto, furono cantati al Metropolitan di New York e trasmessi alla radio il Venerdì Santo del 1960; “Inno al Vescovo”, dedicata a monsignore Domenico Cortese, vescovo di Mileto, Nicotera e Tropea, che fu messa in note dal professore Vincenzo Lattari.
Tra le tante, segnalo la poesia “Che cosa sono?”

Fisso lo sguardo sul libro, ma scruto 
e leggo, attentamente, fra misteri 
nel più profondo dell’anima mia. 
‹‹Che cosa sono?›› domando a me stesso. 
‹‹Polvere, forse, fragrante di vita? 
Un pensiero che sprezza 
la terra e cerca le altezze supreme? ›› 
Atomo, sperso in un mare di luce, 
 l’infinito t’accoglie, anima mia, 
quasi sospesa fra cieli ed abissi, 
arbitra e preda di forze in contrasto. 
Vivi in pena, in letizia; 
piangi, poi, canti e, se lotti, tu speri. 
Che dunque, anima, sono? 
Forse son nulla, ma in cerca… del Tutto.

* Dedico questo articolo alla memoria di Rosina Forgione, umile e devota collaboratrice di don Forgione, che ci ha lasciati il 13 maggio.

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