L’immagine di Berlusconi che batte i pugni sul tavolo e mastica amaro, accusando tutti, non solo l’opposizione, di avere commesso “una vergogna”, condannando alla galera un deputato pur di colpire il presidente del consiglio, spiega più di ogni analisi politica il cul de sac in cui si è infilata l’alleanza di governo. La coperta diventa ogni giorno più corta e tenere insieme una coalizione che di fatto non esiste è impresa sempre più eroica. I pochi che ancora non l’avessero capito, prima ancora che sulla doppia votazione per l’autorizzazione all’arresto di Alfonso Papa e Alberto Tedesco, riflettano sulla vicenda del decreto rifiuti, di fatto bocciato dalla stessa maggioranza dopo che, per la prima volta nella storia parlamentare, si è assistito ad un incredibile auto-ostruzionismo, messo in atto dalle forze di governo per guadagnare tempo e tentare un accordo in extremis con il Carroccio.
Proprio i movimenti della Lega stanno mettendo a dura prova la capacità di analisi dei notisti politici. Cosa sta succedendo in via Bellerio? È davvero in corso uno scontro tra Bossi e Maroni o si tratta soltanto di un abile gioco delle parti per costringere all’angolo il premier? Il leader padano non si è fatto vedere, ufficialmente per motivi di salute, il ministro dell’Interno ha preferito sedere tra i banchi della Lega piuttosto che tra gli scranni riservati ai membri dell’esecutivo. Che Papa sia stato condannato e Tedesco salvato è un dettaglio. Nonostante le accuse sulla doppia morale scagliate contro il Pd da Roberto Castelli e, di rimando, le insinuazioni sul doppio gioco della Lega avanzate da Anna Finocchiaro. Il merito dei due casi giudiziari praticamente non è stato neanche preso in considerazione. Si è giocata la solita partita del dopo-Berlusconi, nel centrodestra ma anche nel campo dell’opposizione, come lasciano intuire le più azzardate formule di governo ipotizzate: istituzionali, tecnici, balneari.
Siamo al redde rationem, in un clima reso ancor più fosco dal timore di un ritorno ai tempi di Tangentopoli. Ora come allora si è in presenza di una crisi economica drammatica. La manovra lacrime e sangue colpisce il cittadino e risparmia la casta, eludendo la pressante domanda di aggredire i privilegi con una strafottenza degna della raffigurazione del potere fatta da De André in La domenica delle salme: “il ministro dei temporali/ in un tripudio di tromboni/ auspicava democrazia/ con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”.
Il ceto politico è nell’occhio del ciclone, sballottato e terrorizzato da una bufera giudiziaria che preannuncia ulteriori sorprese. I casi del ministro Saverio Romano e dell’ex collaboratore di Tremonti, Marco Milanese, a differenza di quanto accaduto per le vicende Bertolaso, Cosentino, Scajola e Di Girolamo, potrebbero portare al tracollo del governo. Ancora una volta, la magistratura è accusata di occupare gli spazi della politica, mentre aumenta il terrore che l’ondata giustizialista possa far venire giù tutto. Ma è giustizialismo pretendere che la legge sia uguale per tutti?
La bella stagione
Il grande bla bla
Il furbo, il sordo, il diffidente
Due mondi lontanissimi
Ancor più che per la grave affermazione (“questa è la peggiore Italia”), il ministro Brunetta dovrebbe provare vergogna per la successiva autoassoluzione, una colossale menzogna sbugiardata dal video del convegno. Per il resto, potrebbe anche avere ragione: se uno ha voglia di lavorare, si alza alle cinque di mattina e va a scaricare cassette ai mercati generali. Verissimo, ma c’è gente che già si regola più o meno così, nonostante per il proprio futuro avesse investito in altri campi, rimettendoci tempo e soldi. Perché il conseguimento di una laurea – persino Brunetta dovrebbe saperlo – costa anni di fatica e denaro. Per poi ritrovarsi, nella migliore delle ipotesi, precari costretti a subire gli insulti di un ministro arrogante e rancoroso.
27 milioni di sberle
Non può che essere accolta con favore la resurrezione dell’istituto referendario, talmente bistrattato negli ultimi sedici anni e fino a ieri da provocare fastidio ogni qual volta se ne annunciava la riproposizione: “tanto il quorum non verrà raggiunto neanche in questa occasione”. Dopo 24 quesiti affossati, finalmente la fatidica soglia è stata superata. Ed è stata una valanga di sì. La percentuale dei votanti (57%), confrontata con il massiccio astensionismo del secondo turno delle amministrative, è stata imponente, anche perché raggiunta al termine di una battaglia impari contro tentativi di azzoppare i referendum al limite della decenza. La scelta dell’ultima data utile, nella speranza che l’avvicinarsi dell’estate incoraggiasse la diserzione; gli espliciti inviti all’astensione di gran parte dell’esecutivo; la scarsissima informazione televisiva. Con la menzione particolare guadagnata dal tg1, grazie alla chicca dell’invito ad “organizzare una giornata al mare”. La scientifica campagna di oscuramento è stata però stracciata dall’insistente passaparola su internet, che ha sancito la vittoria della rete sul mezzo televisivo. L’azione del movimento pro-referendum, tambureggiante e coinvolgente, ha incrociato la volontà degli elettori di non delegare le decisioni riguardanti i grandi temi, per non vedere mortificata l’aspirazione ad essere artefici del proprio destino e per sentirsi protagonisti in una stagione che annuncia grandi cambiamenti.
4 SI “per quelli che passeranno”
La sentinella del bidone
Viale del tramonto
Non è vero che si trattava “soltanto” di elezioni amministrative. Non lo è perché Berlusconi per primo ha voluto dare alla consultazione elettorale una dimensione nazionale, mettendoci la faccia e chiamando a raccolta i suoi elettori per la crociata del bene contro il male. Milano invasa dall’Islam, i talebani a Porta Sempione, piazza Duomo trasformata in una zingaropoli. Forse il premier ha avvertito l’arrivo della bufera e ha reagito nell’unico modo che gli è congeniale, attaccando a testa bassa, contro tutto e tutti, per vincere o morire sul campo di battaglia e lasciare dietro di sé il deserto, in eredità soltanto cocci che qualcuno, forse, tenterà di ricomporre. Ha voluto il referendum sulla sua persona e l’ha perso. Questo è il dato principale. Di certo, niente sarà più come prima. Una stagione lunghissima, durata quasi un ventennio, è giunta al capolinea. Crisi di governo o meno, il dopo-Berlusconi è già iniziato. E i topi cominciano ad abbandonare la nave prima che affondi.
I furbetti del quorum
Ora che i toni della campagna elettorale si sono abbassati – si fa per dire, visti gli spot a reti unificate del Cavaliere e l’asprezza del ballottaggio meneghino –, si può spendere un po’ d’inchiostro per l’appuntamento referendario del 12-13 giugno. Non prima però di avere denunciato i sotterfugi del governo per fare saltare il quorum della metà più uno degli elettori richiesto per rendere valida la consultazione. Che il governo giochi sporco lo si è capito sin da subito, dalla decisione, economicamente dannosa per le casse dello Stato, di non accorpare i referendum alle amministrative e dalla scelta dell’ultima data utile, nella speranza che gli elettori, in una domenica quasi estiva, preferiscano concedersi una gita fuori porta. D’altronde, da tempo l’elettorato si dimostra refrattario ai referendum. L’ultima volta in cui è stato raggiunto il quorum risale al 1995. Da allora, sei appuntamenti e 24 quesiti sono stati annullati, l’ultimo con il record negativo di percentuale di votanti (poco più del 23% nel 2009).