Parole da man-tenere

Hanno ragione Nanni Moretti e il suo alter ego Michele Apicella, in “Palombella rossa”: «Le parole sono importanti». Sono anche pietre, ricorda il titolo dello splendido reportage di Carlo Levi sulla Sicilia della prima metà degli anni Cinquanta. Per cui non è vano, ogni tanto, ribadire che andrebbero maneggiate con cura. Soprattutto quando l’aura di sacralità che dovrebbe connotarle è uno sbuffo d’aria che si perde nel chiasso. Ancor di più ora che sono assimilabili ad un prodotto usa e getta, il cui significato può essere stravolto a convenienza.
Parole sputate dalla pancia, che non passano dal cranio prima del lancio. Ballon d’essai per testare l’effetto che fa, da smentire o contraddire senza imbarazzo. Parole in libertà. Non quella, sacrosanta, di esprimere la propria opinione. Piuttosto, l’arroganza della “commentite cronica” su ogni argomento di discussione, supportata da un’ignoranza di fondo che non considera contesti, coordinate spazio-temporali, relazioni causa-effetto delle questioni affrontate, di volta in volta, con sconfortante approssimazione.
Conoscere il valore intimo delle parole introduce, invece, al campo della pedagogia. È esercizio educativo utile per la formazione di buoni cittadini. Tra i tanti, un verbo mi sembra significativo per la potenza evocativa della sua etimologia: “mantenere”, dal latino “manu tenere” (“tenere con la mano”).
Mantenere può essere opera di resistenza, come in San Paolo, il quale al termine della sua corsa e dopo avere combattuto la buona battaglia, conserva la fede. È il sostegno offerto prestando gambe e braccia a chi non riesce a muovere un passo: «Ti mantengo in piedi io». È il bambino che si addormenta con più facilità se il suo dito è al sicuro, nell’incavo della mano del genitore. È il filo sfibrato che impedisce alla corda di spezzarsi. Che regge nonostante la fatica.
Mantenere una promessa richiede rispetto per sé e per l’altro, la parola acquista la sacralità di una reliquia. Nel mantenere la dignità la mano si stringe a pugno, in difesa del bene più prezioso che ci è dato possedere. Per mantenere in vita una speranza la mano sospinge il sogno mezzo metro in avanti, come la brezza una foglia. Chi mantiene un’idea contrappone il muro del palmo aperto al tentativo di comprimerne la libertà, e non cede di un passo.
Dal verbo deriva il sostantivo “manutenzione”, in riferimento all’insieme delle azioni necessarie per “mantenere” in efficienza qualsiasi oggetto. Un bisogno che si avverte anche con le parole, oggi che sembrano essere più vomitate che pronunciate.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *