Bilancio di un anno: intervista al sindaco Domenico Creazzo

Il 7 maggio 2012 la lista “LeAli al Paese” vinceva le elezioni comunali e Domenico Creazzo diventava sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte. A un anno di distanza, incontriamo il sindaco nel suo ufficio al primo piano del Palazzo municipale per stilare il bilancio di un anno di attività amministrativa.

Un anno dopo, a che punto è l’amministrazione comunale con la realizzazione del programma con il quale la lista “LeAli al Paese” si è presentata alle elezioni?

Le linee programmatiche sulla base delle quali siamo stati votati dai nostri concittadini rappresentano la nostra stella polare. Quei punti orientano le nostre scelte amministrative e della loro realizzazione dobbiamo prioritariamente rendere conto agli eufemiesi.

Abbiamo iniziato con l’istituzione della De.C.O. (denominazione comunale di origine) per la patata di Sant’Eufemia, un prodotto tipico del nostro territorio sul quale stiamo puntando molto. Sant’Eufemia è un paese a vocazione agricola: la chance più importante di sviluppo economico può venire soltanto dall’agricoltura. Studiare il territorio e proporre politiche adeguate a quel territorio. Questo deve essere il compito di amministratori seri. Sembra semplice, ma non lo è nel concreto. Anche perché l’amministrazione comunale può impegnarsi per favorire condizioni migliori di sviluppo, ma i protagonisti ultimi devono essere i cittadini, in questo caso gli imprenditori agricoli. La chiave di tutto è la sinergia, la collaborazione tra amministrati e amministratori.

Un altro concetto sul quale avete molto insistito è quello della partecipazione.

Certo, e credo che stiamo rispettando la promessa. Va in questa direzione l’istituzione della Consulta, uno dei punti qualificanti del nostro programma, che abbiamo fortemente voluto e sul quale ci siamo impegnati sin dal primo giorno di insediamento. Il processo è ora avviato: abbiamo approvato il regolamento e invitato i cittadini a presentare la domanda di partecipazione, i cui termini scadono il 16 maggio. Le domande stanno arrivando: il nostro auspicio è che siano numerose. L’abbiamo detto in campagna elettorale e lo ribadiamo oggi: la democrazia senza partecipazione è un guscio vuoto.

Partecipazione è la Commissione “mensa” che abbiamo istituito e che sarà operativa dal prossimo anno scolastico, al fine di evitare disguidi o incresciose dispute sulla qualità del servizio.

Partecipazione significa consigli comunali aperti per questioni che interessano la società eufemiese, come è accaduto di recente dopo il danneggiamento dell’automobile del dirigente scolastico Giovanni Geresia.

Partecipazione è la grande adesione riscontrata presso gli esercenti commerciali e i privati cittadini per l’iniziativa “adotta un’aiuola”. Segno che la comunità, se sollecitata, sa dare risposte positive e costruttive.

L’amministrazione comunale cerca il confronto con la società civile per riuscire a trovare una sintesi tra teoria e pratica. Il futuro di Sant’Eufemia passa dalla consapevolezza che occorre individuare, sempre, le vie praticabili per riuscire a raggiungere ciò che vogliamo raggiungere.

Nel primo anno avete realizzato diverse iniziative culturali.

Sì, stiamo investendo molto sulla cultura e abbiamo già realizzato iniziative molto interessanti: “Pagine risorgimentali”, con la commemorazione del 150° anniversario dei fatti d’Aspromonte; “Pagine di democrazia”, con la presentazione del libro dell’assessore regionale Mario Caligiuri (La formazione dell’élite); “Pagine di memoria”, sulla tragedia della Shoah; “Pagine di storia eufemiese”, con il convegno su Nino Zucco e l’inaugurazione della pinacoteca comunale. Grazie a un contributo dell’Ente Parco è stato possibile bonificare l’area archeologica di Serro di Tavola, a costo zero per il comune. Ciò ha determinato inoltre l’instaurazione di proficui rapporti con la Sovrintendenza per i beni culturali e con la Regione Calabria, che ha riconosciuto Serro di Tavola zona di interesse archeologico.

La cultura è alla base di tutto. Anche se non dovessimo avere riscontri immediati, siamo certi che a lungo termine una parte rilevante della comunità eufemiese sarà sensibile ai temi culturali e ciò avrà risvolti positivi, per esempio per quanto riguarda i temi della legalità.

A questo proposito, sottolineo la nomina del responsabile della Polizia municipale: per fare rispettare le regole non bastano vuote parole o la demagogia delle occasioni più o meno ufficiali; servono gesti concreti come la nomina del comandante Emilio Paturzo. Anche se a qualcuno è potuto sembrare impopolare, questo provvedimento sarà invece occasione di crescita per la comunità. Anche l’arrivo di un mezzo antincendio che, su mia espressa richiesta, la Protezione civile ha assegnato al nostro comune (in tutto, sedici a livello regionale) e la brillante simulazione di intervento realizzata nei giorni scorsi, spiegano meglio delle parole l’impegno di questa amministrazione sul tema dell’educazione civica.

Come sta affrontando l’amministrazione il crescente disagio economico di un consistente numero di famiglie?

La crisi economica diventa ogni giorno più grave e spesso ci si trova disarmati e non attrezzati a dare risposte adeguate. Ci stiamo impegnando con i progetti realizzati in collaborazione con l’Agape e con l’oratorio parrocchiale, ma abbiamo anche impiegato somme del bilancio per buoni spesa e contributi economici ai nuclei familiari più disagiati. Ci rendiamo conto che a volte si tratta di una goccia nell’oceano, ma spesso quella goccia è un’àncora alla quale aggrapparsi.

Abbiamo regolamentato e incrementato il servizio scuolabus, che è passato da 66 a 120 cartellini, e abbiamo sensibilmente abbassato la tariffa della mensa scolastica, che a seconda della tipologia delle famiglie può comportare fino a 300 euro annui di risparmio.

Sant’Eufemia è tra i comuni che meno hanno sofferto l’emergenza rifiuti. Tuttavia, il problema non è stato risolto e, prima o poi, il rischio del collasso per il sistema regionale di smaltimento si ripresenterà. Come pensa di muoversi la tua amministrazione per il futuro?

Preliminarmente, credo sia bene illustrare la situazione che abbiamo trovato al nostro arrivo. Sant’Eufemia faceva parte del Consorzio di Piana Ambiente: appena insediati ci siamo ritrovati con il paese invaso dalla spazzatura e con cinque discariche a cielo aperto: contrada Peras; via De Nava, nei pressi del 118; contrada Badia; nei pressi della Stazione; fontana Pirina. Pagavamo 25.000 euro al mese per il servizio di raccolta dei rifiuti, ma quando – dopo dieci giorni – ci siamo resi conto che Piana Ambiente non era più in grado di svolgere il servizio, l’abbiamo diffidata e successivamente abbiamo rescisso il contratto. Data la situazione di emergenza, la legge ci permetteva di affidare il servizio a un’altra ditta, a patto di non superare il costo di 25.000 euro. Da un calcolo effettuato dall’ufficio tecnico abbiamo accertato che sarebbero stati sufficienti 18.000 euro.

Abbiamo quindi preparato un bando di gara che la Sear Srl si è aggiudicato e che ci ha pertanto consentito un notevole risparmio.

Il sistema però va completamente riformato. Dopo diverse riunioni sul tema, ci siamo impegnati per la differenziata porta a porta. Sappiamo bene che la raccolta differenziata è il futuro, ma sappiamo anche che per farla funzionare bene il territorio necessita di supporti esterni adeguati: isole ecologiche e strutture in grado di retribuire i comuni che conferiscono i rifiuti differenziati. Paradossalmente, se dovessimo passare ora al porta a porta, sarebbe il comune a dovere pagare 36.000 euro mensili per lo smaltimento dei rifiuti. Per tale motivo, a breve sigleremo una convenzione per l’istituzione di un consorzio tra i comuni di Sant’Eufemia, Sinopoli, San Procopio, Melicuccà e Seminara. Quindi, grazie al contributo della Provincia e al suo supporto tecnico, sarà realizzata un’isola ecologica. Si potrà così arrivare al quantitativo di materiale differenziato necessario per accedere al contributo ambientale del Conai (Consorzio nazionale imballaggi), garantendo così ai comuni una retribuzione sulla base del differenziato singolarmente prodotto. In questo modo la raccolta differenziata sarà sostenibile. Al fine di educare i cittadini alla differenziata, nell’immediato contiamo di riuscire a fare appaltare l’avvio della raccolta porta a porta, in via del tutto sperimentale, soltanto per alcune zone del comune.

Voglio inoltre sottolineare un altro aspetto importante. Il comune si è infatti richiamato alla normativa che obbliga la società aggiudicataria alla riassunzione degli operai di Piana Ambiente che svolgevano il servizio nel nostro comune, per cui saranno mantenuti anche i posti di lavoro del passato.

Il taglio dei trasferimenti statali ha provocato la dura presa di posizione degli enti locali, che da tempo hanno denunciato il rischio di dovere chiudere. Qual è la situazione economica del nostro comune?

Il Comune di Sant’Eufemia è abbastanza solido e non corre rischi economici di rilievo. Abbiamo avuto sì dei tagli, come tutti gli enti locali, ma va detto che abbiamo ereditato una situazione di cassa positiva, certificata da un avanzo di amministrazione pari a 409.000 euro nel consuntivo 2012.

Voglio sottolineare che, nonostante i tagli dei trasferimenti statali, nel conto consuntivo 2013 l’avanzo sale a circa 419.000 euro, anche se l’esistenza di vincoli di spesa non ci consente di spendere per come vorremmo.

Consentimi però di dire qualcosa sul funzionamento della macchina amministrativa.

Prego.

Viviamo in un momento di ristrettezze economiche e di cambiamenti legislativi, per cui siamo spesso chiamati ad adeguarci a ciò che ci viene imposto a livello centrale. Da un lato, non tutto quello che vorremmo fare si può fare; dall’altro, siamo come un’automobile di piccola cilindrata che non può avere le prestazioni di una berlina. Però i dipendenti comunali stanno tutti dando il massimo e voglio qui ringraziarli pubblicamente per la disponibilità che hanno dimostrato sin dal primo giorno del mio insediamento. Dire che i nostri operai non fanno niente, è quanto di più falso si possa sostenere. Carte alla mano, rispetto al passato gli operai comunali hanno raddoppiato gli interventi.

Nel contempo, occorre però ribadire che l’amministrazione comunale farà di tutto per salvaguardare i diritti di tutti e non del singolo: nel caso in cui ciò non dovesse avvenire, non avremo alcun problema ad adottare provvedimenti conseguenti. Che nessuno si senta intoccabile: il fine ultimo deve essere l’interesse dei cittadini. Non abbiamo bisogno di grigi burocrati, ma di protagonisti attivi per la crescita del paese ispirati da un’unica finalità: quella di essere al servizio della collettività.

Alcuni giudicano l’operato di un’amministrazione comunale dai lavori pubblici che riesce ad appaltare. Qual è la situazione attuale?

Quando si parla di lavori pubblici, bisogna considerare anche l’aspetto burocratico, che non è affatto secondario. Difatti, spesso i risultati si vedono nel lungo termine, perché ci sono dei tempi burocratici inevitabili.

Sulla viabilità comunale abbiamo ad esempio beneficiato l’anno scorso di un finanziamento di 200.000 euro ed entro il 19 giugno dovremo fornire alla regione il progetto definitivo. Per quanto riguarda l’isola ecologica, al nostro insediamento abbiamo incontrato ostacoli burocratici che hanno rallentato l’iter per mandare in appalto il lavoro e che poi siamo riusciti a superare.

Abbiamo inoltre reperito 75.000 euro di economie che andranno ad ultimare la strada Peras, mentre dovremmo finalmente essere riusciti a risolvere l’annosa questione relativa alla sede del liceo scientifico, grazie all’approvazione (all’unanimità) di una convenzione con la Provincia: il comune dà in concessione la struttura dell’ex scuola elementare situata al rione “Purgatorio” e la Provincia si impegna a costruire il nuovo liceo scientifico.

Per la scuola materna, un bando di gara di 1.250.000 euro finalizzato alla prosecuzione dei lavori si trova alla Suap, dove a breve invieremo anche il progetto definitivo per il completamento del centro polisportivo, per un importo di 900.000 euro. Progetto che non è stato ancora possibile mandare in appalto perché prima occorre risolvere alcune questioni legali, relative ai terreni espropriati, dovute a una non ottimale precedente gestione burocratica e che comporteranno delle spese per il comune.

Abbiamo inoltre approvato e inviato all’Ente Parco un progetto per la costruzione di un nuovo serbatoio in contrada Lanzo e, entro l’11 luglio, presenteremo il progetto che realizzerà il completamento della palestra della scuola elementare.

Purtroppo, qualche eredità negativa l’abbiamo avuta. Tralasciando il fatto che, appena insediato, mi sono ritrovato con il comune soccombente in una causa civile, che ha comportato un esborso di 60.000 euro, è bene che i cittadini sappiano che il comune entro agosto dovrà impegnare dei fondi per accatastare tutti gli immobili comunali costruiti negli anni passati. Ad oggi nessun immobile, Palazzo municipale compreso, è infatti accatastato. Ritardi incomprensibili, come quello dell’assegnazione del piano di sicurezza sul lavoro, obbligatorio del 2001.

Per fare un altro esempio, il 18 maggio si potrà finalmente disputare una partita di calcio a cinque nel campetto situato nei pressi della stazione, a sette anni dalla sua inaugurazione ufficiale!

Hai mai pensato “chi me l’ha fatto fare? ”. O rifaresti tutto?

L’ho ribadito di recente, nell’intervento svolto in occasione del convegno su Nino Zucco. Da un punto di vista razionale, per l’interesse della mia famiglia e della mia professione, a me non “converrebbe” (per usare un termine crudo) fare il sindaco. Tuttavia, il pensiero che questa mia scelta possa essere utile per il bene del mio paese mi spinge ad essere certo che, così come l’ho fatto, lo rifarei e se necessario lo rifarò.

Chiudi gli occhi e riaprili tra quattro anni. Cosa vorresti vedere?

Mi auguro di riuscire a completare il programma e di mantenere l’impegno assunto nei confronti degli eufemiesi. Spero di avere ancora, nell’ultimo giorno di mandato, la stessa identica attestazione di affetto che mi è stata rivolta nel momento in cui sono stato eletto. Sarebbe questa per me la migliore gratificazione e la certificazione che ho bene operato.

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Il ritorno di re Giorgio

Sul suicidio politico del partito democratico, unico vero grande sconfitto nella partita incominciata con il dopo-voto di febbraio e conclusa con la riconferma di Giorgio Napolitano al Quirinale, c’è poco da aggiungere a quanto già detto in questi giorni. Il bon ton suggerisce anzi di non infierire con gli sconfitti, che ora dovranno decidere cosa fare di quel che (forse) fu un partito e che oggi – evidentemente – non lo è più. Sarebbe già il segnale di un cambio di marcia riuscire a staccarsi dall’immagine della patacca, proposta puntualmente ad ogni debacle, che produce un partito nuovo in mano alle stesse facce. Cosmesi politica pura.
Intanto, all’orizzonte si profila il governo del presidente, formula che sottintende un ruolo da protagonista assoluto per la prima carica dello Stato. Giorgio II non sarà un semplice notaio della Costituzione, ma rappresenterà il vertice politico al quale i partiti che daranno vita al già annunciato governo di larghe intese dovranno dare conto per quanto concernerà composizione, programma e timing.
L’esecutivo sarà politico perché l’assunzione di responsabilità, cui Napolitano ha richiamato gli schieramenti, passa necessariamente da una sua dimensione “politica”, nonostante la probabile riconferma di qualche tecnico del governo Monti.
Il programma, aggiustato e integrato, attingerà a piene mani dal recente lavoro dei dieci “saggi”, mentre la durata non dovrebbe superare i 12-18 mesi: d’altronde, se un governo di “salvezza nazionale” non riesce a salvare il Paese nel giro di pochi mesi, ha fallito la propria mission. Meno di due anni di tempo per cercare anche di disinnescare Grillo, mediante l’approvazione dei provvedimenti più attesi e invocati dai sostenitori del M5S (e non solo): costi della politica, riforma elettorale, riforme istituzionali.
Esaurito il mandato, l’esecutivo si farà da parte, mentre Napolitano scioglierà le Camere, indirà nuove elezioni e – subito dopo – si dimetterà.
Cosa cambia rispetto a due mesi fa? Cambiano i poteri del presidente della Repubblica, che ora sono pieni, non depotenziati dal semestre bianco. Per cui, o i partiti dimostreranno di essere capaci di fare cambiare rotta al Paese, o andranno presto tutti a casa.
Si poteva fare diversamente? Ovvio che sì. E sarebbe stato anzi auspicabile un messaggio di discontinuità e di rinnovamento. Ma, per uscire dal cul de sac in cui si era precipitati dopo i primi quattro scrutini, migliore soluzione forse non c’era. E questo spiega molto dell’imbuto in cui si sta strozzando il sistema politico italiano.

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E anche Romano è andato

Che Prodi non ce l’avrebbe fatta al quarto scrutinio era scontato. Non ci si aspettava però – almeno non in queste proporzioni – che il risultato avrebbe consegnato un partito completamente allo sbando. L’obiettivo di compattare il partito, dare una dimostrazione di forza e presentarsi al quinto scrutinio come “un sol uomo” per cercare di forzare la mano a qualche grillino “possibilista” è miseramente fallito. Mi chiedo, anzi mi richiedo, se questi prima di presentarsi in Aula discutano e decidano sul da farsi. Perché poi ognuno va in ordine sparso; per cui, bisognerebbe almeno avere il pudore di non indicare la “posizione ufficiale” del partito, visto che non si è in grado di garantire l’esistenza di una posizione ufficiale.
Credo che per Bersani sia arrivato il capolinea; e forse anche per il Partito democratico, a meno che la dirigenza del partito non prenda atto del fallimento, vada a godersi la pensione da qualche parte (purché lontano dal Parlamento) e lasci il partito ad una nuova generazione.
Ma non credo che accadrà. Questi non vanno via neanche con le cannonate. Piuttosto cercheranno nuovamente l’accordo con il Pdl. Ora che è sufficiente la maggioranza assoluta potrebbe rispuntare Marini o D’Alema, da molti indicato come il carnefice del Pd e il regista occulto di queste elezioni presidenziali.
Però che tristezza, noi che avevamo creduto in una sinistra moderna, in un partito democratico interprete delle istanze di cambiamento provenienti dalla società e capace di guardare al futuro con fiducia. Anche se l’abbiamo fatto a corrente alternata e con molte, troppe riserve, fa male lo stesso.

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Bye bye, Marini

Il sogno è durato dodici ore appena. Poi si è tramutato in incubo. Troppo brutto per non pensare che non fosse tutto preventivato. Insomma: ne avranno parlato alla riunione di ieri sera quelli del Partito democratico. Quindi, perché spaccare il partito? Perché fare di Franco Marini l’agnello sacrificale di questo primo giro di votazioni? Non voglio pensare che Bersani sia un fesso, né che sia così masochista da disintegrare un partito che, a questo punto, non ha neanche ragione di esistere. E quindi? L’ennesima dimostrazione che i destini e le ambizioni personali vengono prima di tutto. Prima, anche, degli interessi dell’Italia e finanche del proprio partito.
Fatto sta che con un sol colpo, Bersani è riuscito nell’impresa record di rafforzare Grillo, Renzi e Berlusconi (che ci ha fatto un figurone, lasciando sbranare tra di loro i democrats e passando – lui – per responsabile uomo di Stato). Al modico costo della distruzione del propria “ditta”. Roba da guinness dei primati.
Sia chiaro che il problema non è Marini, anche se il “patto della crostata” e la responsabilità del “lupo marsicano” nell’abbattimento del primo governo Prodi fanno parte di un curriculum non invidiabile.
Il problema è la puzza di oligarchia che spande da un’operazione sfacciatamente di vertice; il problema è la strafottenza di un ceto dirigente che se ne sbatte degli umori della base e delle proteste fuori dal Parlamento. Al solito, è insopportabile la presa per il culo.
Tutto da rifare, per dirla alla Bartali. Cosa ci sia da salvare, a questo punto, è poco chiaro. Sarebbe già un risultato accettabile riuscire a non farsi insultare.

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La mia terna per il Quirinale

È il giochino del momento, tanto che perfino Ruzzle ha perso il suo fascino. Beppe Grillo ha addirittura indetto le “quirinarie” per scegliere il candidato che il Movimento Cinque Stelle sosterrà a partire da giovedì 18, giorno in cui inizieranno le votazioni nel Parlamento riunito in seduta comune. E pazienza se il capogruppo alla Camera Roberta Lombardi ignora il requisito anagrafico previsto dall’articolo 84 della Costituzione (compimento del cinquantesimo anno di età): “formalismi” che nell’era della e-democracy non hanno più ragione d’esistere.
Gli elettori chiamati a deporre la scheda dentro la grande cesta di vimini sono 1007: 630 deputati, 315 senatori, 58 delegati regionali (tre per regione, ad esclusione della Valle d’Aosta, cui ne spetta uno soltanto), quattro senatori a vita (Emilio Colombo, Giulio Andreotti, Mario Monti e il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi). Nei primi tre scrutini è richiesta la maggioranza qualificata dei 2/3 degli elettori, pari a 671 voti; dal quarto scrutinio in poi è sufficiente la maggioranza assoluta (504 voti). Gli scenari prevedibili vanno dalla rapida elezione di un presidente di “garanzia”, un nominativo espressione della più ampia maggioranza possibile (Pd-Pdl-centristi e, possibilmente, qualche grillino), al presidente “di parte”, eletto con i voti del centrosinistra e il contributo di una frangia del M5S (sulla falsariga di quanto accaduto con Grasso al Senato).
Degli undici presidenti della Repubblica che si sono succeduti dal 1948 ad oggi, ho visto all’opera gli ultimi cinque: Giovanni Leone è infatti uno sbiadito ricordo in bianco e nero.
Sandro Pertini, il presidente partigiano, simpatico, iracondo, diretto: il primo capo dello Stato che dismette i panni di “notaio” della Costituzione e fa sentire alta la sua voce contro le inefficienze della politica (emblematica la vicenda del terremoto in Irpinia).
Francesco Cossiga, democristiano sui generis con qualche scheletro nell’armadio, che dopo cinque anni da burocrate diventa Externator e comincia a picconare quel sistema al quale era stato organico.
Oscar Luigi Scalfaro, eletto in uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana (la strage di Capaci) e protagonista di un settennato molto controverso, caratterizzato dall’aspro scontro con Silvio Berlusconi.
Carlo Azeglio Ciampi (con Pertini il più amato: è stato l’unico ad avere visitato tutte le province italiane), il presidente che ha ridato linfa al sentimento di unità nazionale e di italianità.
Giorgio Napolitano, accusato ora di eccessiva “distrazione” (promulgazione leggi ad personam), ora di esorbitante protagonismo (operazione che ha portato Mario Monti a Palazzo Chigi).
Per i prossimi sette anni, la mia preferenza va a una candidatura femminile. Credo che i tempi siano maturi per affidare a una donna la carica più alta del nostro ordinamento. Tra i nomi che circolano, Emma Bonino è il nominativo sul quale potrebbero convergere voti trasversali agli schieramenti politici. Radicale, paladina dei diritti delle donne e protagonista delle più importanti battaglie di civiltà della storia repubblicana, ha carisma ed esperienza, sia nazionale che internazionale: commissario europeo, ministro del governo italiano, vicepresidente del Senato. In seconda battuta, Laura Boldrini, fresca presidente della Camera, da oltre due decenni impegnata negli scenari più desolanti e tragici del pianeta, dal 1998 portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu. Se invece dovesse sfumare la possibilità delle “larghe intese”, il partito democratico dovrebbe procedere a maggioranza. Dal quarto scrutinio tutto è possibile: anche una convergenza con il M5S su Romano Prodi, con il quale il Pd è parecchio in debito: due volte il professore bolognese ha condotto il centrosinistra alla vittoria, due volte è stato fatto fuori dai suoi. Il curriculum non si discute, mentre sul piano personale si tratterebbe di un risarcimento. Con buona pace di Berlusconi e delle sue minacce di espatrio: se il Cavaliere vuole andare, che vada pure.

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Sconfitta e metodo democratico nelle parole di don Luigi Sturzo

In esilio ormai da dieci anni, nel febbraio del 1936 don Luigi Sturzo scriveva sulle colonne del giornale spagnolo “El Matì” un articolo con il quale si rivolgeva agli amici cattolici spagnoli, alleati del Fronte Nazionale, dieci giorni dopo le elezioni che avevano visto la vittoria del Fronte Popolare. Di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra civile terminata nel 1939 con l’instaurazione della dittatura di Francisco Franco. Quella di Sturzo è una lezione di umiltà e un avvertimento sui pericoli che può determinare la contrapposizione feroce tra le forze politiche. L’esempio italiano, caratterizzato dall’incomunicabilità tra socialisti, cattolici e liberali, da questo punto di vista era emblematico e l’affermazione del fascismo, nel 1922, stava lì a dimostrarlo.

Altra utilità, che viene dalla sconfitta, è studiarne oggettivamente le cause […]. Non è a credere che gli avversari abbiano sempre torto, e che noi abbiamo sempre ragione. La sconfitta ci deve dare un senso di umiltà (che spesso non abbiamo) in confronto ai nostri avversari.

È applicabile al caso la massima ascetica che nessuno si deve credere migliore di qualsiasi persona. La ricerca delle ragioni morali della sconfitta (più che quelle politiche o tattiche) ci conduce a rivalutare tutti i problemi della vita pubblica.

Ma su tutti questo problema, che è fondamentale: nella vita pubblica non siamo soli, non siamo sempre dominatori […]. Ciò significa che si deve avere sempre presente il proposito di non portare la lotta politica a fondo per la distruzione dell’avversario, di non rendere impossibile l’intesa con i partiti che si combattono, di non tagliare mai i ponti sul terreno elettorale e parlamentare.

L’errore enorme di ridurre il paese a due blocchi fermi e chiusi per l’eliminazione del competitore dovrebbe essere bandito con ogni cura […]. Non bisogna mai portare le lotte sul piano di una guerra civile.

[Don Luigi Sturzo]

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Il marchese del Grillo 2.0

Era scontato che la diretta streaming si sarebbe rivelata una trappola. Ma Bersani “doveva” caderci, per non subire l’accusa di non avere tentato tutte le strade. Ed è pure naturale che un movimento che si professa antisistema non abbia alcun interesse a fare da stampella a Bersani, Berlusconi o chiunque altri. Se poi i “vecchi” partiti vogliono fare un ulteriore regalo a Grillo, non hanno che una strada: coalizzarsi in un governo di “responsabilità” che si trasformerà in una formidabile carta tra le mani del M5S nella prossima campagna elettorale.

Ci sta pure che qualcuno si indigni e accusi i grillini di essere privi di senso di responsabilità (penso alla posizione di Fiorella Mannoia, per esempio), ma ciò – paradossalmente – potrebbe rivelarsi utile da un punto di vista di chiarificazione: ognuno ora sa cosa ha votato, cosa non ha votato o cosa ha prodotto la decisione di astenersi e si regolerà di conseguenza.

A questo punto tocca al Pd prendere l’iniziativa e chiedere di andare alle urne al più presto. Il M5S vuole il “tanto peggio, tanto meglio?”. E “tanto peggio, tanto meglio” sia. È tempo di sfidare l’avversario: tergiversare o sperare nella resipiscenza di Grillo è soltanto una perdita di tempo.

Solo gli illusi potevano credere che Grillo e Casaleggio potessero avere uno scatto di generosità o che il M5S avrebbe stabilito la propria linea nell’incontro con Bersani, la cui proposta probabilmente non è stata neanche ascoltata.

Le decisioni che contano il M5S le prende altrove e senza dibattito interno, visto che l’unica volta che Grillo e Casaleggio hanno allentato la catena (elezione del presidente del Senato) stava per scoppiare il finimondo.

Quella di oggi è stata soltanto una parata a favore di webcam, che gli adoranti grillini certamente apprezzeranno, ma che non cambia la sostanza di un movimento populista, saccente e antidemocratico.

“Le parti sociali siamo noi” ha dichiarato la portavoce alla Camera, Lombardi. A me ha ricordato Alberto Sordi ne Il marchese del Grillo: “Io so io e voi non siete un cazzo”.

Qua siamo al marchese del Grillo 2.0: “Le parti sociali siamo noi e voi non siete un cazzo”.

Nulla di nuovo sotto il sole.

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E si torna sempre al “che fare”

A me sembra che il Pd si stia impantanando in un’eccessiva elaborazione del lutto. Non che non ci sia stata la sconfitta, o comunque una non vittoria: “siamo i primi, ma non abbiamo vinto”, l’analisi a caldo, onesta, del segretario Bersani. E però gli altri sono già in campagna elettorale, proiettati sul futuro: al risultato del 24 e 25 febbraio neanche ci pensano più. Berlusconi minaccia di chiamare a raccolta la piazza una volta al mese e da qui in avanti il motivo lo troverà sempre, visto che l’arma del legittimo impedimento è al momento parecchio spuntata e i suoi processi invece andranno avanti.

Grillo tifa spacciatamente per il “tanto peggio, tanto meglio” (cinico, ma ineccepibile dal suo punto di vista) per continuare a monetizzare lo scontento di larga parte dell’elettorato. Inutile attendersi che i richiami al senso di responsabilità producano effetti positivi, sponda M5S. Che fare (ah, vecchio Lenin), quindi? Fare i conti con la realtà sarebbe già un utile primo passo. E la realtà ci dice: a) che nessuno ha i numeri per fare un governo; b) che il centrosinistra, pur non avendo la maggioranza nel Paese, ha la maggioranza alla camera. L’iniziativa politica non può che spettare a Bersani.

E poi? E poi, come diceva un mio vecchio professore, “a mio modesto e subordinato parere” bisogna tirare fuori gli attributi.

Mi pare che Bersani sia su questa strada e me ne compiaccio, anche perché ultimamente l’ho parecchio criticato, tanto da avere disertato le urne nell’illusorio tentativo di lanciare il mio pezzettino di segnale di insofferenza nei confronti della gestione del partito in Calabria: commissariamento infinito, candidature calate dall’alto, solito sconcio di primarie dalla dubbia credibilità.
“Scurdammoce ’o passato”: è stato un errore non chiedere di andare al voto dopo la caduta di Berlusconi; è stato un altro errore farsi impiccare a quel “senso di responsabilità” dal quale il leader pidiellino, furbo e previgente, si è smarcato, tanto da far credere che il disastro sia stato provocato da altri e non da chi ha vinto le elezioni nel 2008, governato per tre anni e mezzo, sostenuto Monti per un altro anno; è stato un errore gustarsi dal divano la campagna elettorale degli altri, incapaci di prendere posizioni nette sia perché sicuri della vittoria, sia perché troppo attenti al mantenimento dell’equilibrio tra Monti (che invece ci è andato giù pesante) e Vendola.

Si guardi al futuro, senza cedimenti né paure. Occorre recuperare il feeling con la società, ma questo è un processo che richiederà tempo e una nuova classe politica. Per il Pd potrebbe essere positivo il dato di fatto che Grillo non rappresenta tutta la protesta: l’alto astensionismo, da questo punto di vista, è eloquente.
Il senso della proposta degli otto punti “irrinunciabili per qualsiasi governo” è condivisibile: presentarsi al Parlamento con un paio di cose da fare (e speriamo che sia finalmente la volta buona per la riforma elettorale) e su quelle chiedere la convergenza delle altre forze politiche. C’è poi la chiarezza del no ad un’alleanza Pd-Pdl che sarebbe un suicidio politico e il più grande favore a Grillo. In definitiva, un governo di minoranza o comunque qualcosa che gli somigli (l’ultima moda è il governo “di scopo”). A tempo: poi, di nuovo al voto. Se non dovessero esserci le condizioni per una soluzione del genere, però, meglio andare subito alle elezioni. Ma a quel punto il Pd dovrebbe avere la forza di cambiare tutto, a partire dalla premiership (non ero fan di Renzi, ma allo stato attuale non vedo altro all’orizzonte), per evitare di essere travolto dallo tsunami.

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Le elezioni politiche a Sant’Eufemia

Il primo dato significativo e probabilmente quello più rilevante è l’astensionismo. Tra i comuni della provincia di Reggio Calabria, l’affluenza per l’elezione del Senato registrata a Sant’Eufemia ha segnato il record negativo, con il 37,13% di votanti sul totale degli aventi diritto: in cifre, sono stati 1.010 su 2.720 gli elettori che si sono presentati alle urne. Il dato relativo alla Camera piazza invece Sant’Eufemia al secondo posto, dietro la maglia nera Platì (37,38%), con il 37,59% di votanti e 1.156 elettori su 3.075 aventi diritto.

Qualsiasi tipo di considerazione sull’esito della votazione deve quindi fare i conti con questo primo dato, indice di una fortissima disaffezione e di mancanza di fiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. La raccolta delle tessere elettorali è stato il sintomo di una malattia ben più grave, perché accanto a coloro che hanno voluto così protestare contro le politiche scellerate che a livello nazionale e regionale stanno fortemente penalizzando il territorio eufemiese (vicenda dello svincolo e discarica su tutte) si è ritrovata la stragrande maggioranza della popolazione, spontaneamente e senza che vi sia stata alcuna forma di coordinamento.

Cosicché, domenica e lunedì, quasi sette elettori su dieci sono rimasti a casa. Nonostante le 887 tessere elettorali raccolte dal movimento Cittadinanza Attiva fossero state riconsegnate al Comune per essere restituite ai cittadini e nonostante l’appello al voto giunto in molte case tramite una lettera inviata dall’assessore regionale Luigi Fedele a due giorni dal voto.

Se a questo si aggiunge un ulteriore 10% di schede nulle (52, pari al 5,14%) e bianche (45, pari al 4,45%), siamo intorno a due elettori e mezzo su dieci. Troppo pochi per cercare di analizzare l’esito dello spoglio.
Ad ogni modo, il partito più votato è stato il Pdl (339 voti e 37,13% al Senato; 412 voti e 39,61% alla Camera): un risultato positivo per l’onorevole Fedele, nel bel mezzo dell’attuale bufera politica.

Non è tsunami, ma qualche onda del Movimento Cinque Stelle è arrivata anche a Sant’Eufemia, dove il partito di Grillo è secondo partito alla Camera con 185 voti (17,78%) grazie al voto degli under 25 (al Senato è invece terzo con 130 voti, pari al 14,23%).
Non ha nemmeno confermato i 202 voti delle primarie il Pd (15,44% al Senato, con 141 voti; 152 alla Camera, pari al 14,61%), mentre non ha sfigurato Grande Sud al Senato (effetto probabile della candidatura di Giovanni Bilardi): 114 voti (12,48%), a fronte dei 46 (4,42%) raccolti alla Camera. Soltanto 79 voti al Senato per la lista Monti (8,65%), confermati alla Camera sommando i voti di Scelta civica (64, pari al 6,15%) e Unione di centro (25, pari al 2,40%). Pochi anche i consensi dati all’estrema sinistra, con Ingroia leggermente davanti a Vendola: 21 i voti per Rivoluzione civile al Senato (2,30%) e 38 alla Camera (3,65%), mentre Sel si è fermata a 19 voti al Senato (2,08%) e 23 alla Camera (2,21%).
Il resto sono percentuali da prefisso telefonico, utili soltanto per fissare la vittoria del centrodestra a livello di coalizione: 46,73% alla Camera e 51,80% al Senato; per il centrosinistra, 17,30% al Senato 18,40% alla Camera; per il centro di Monti, 9,13% alla Camera e 8,65% al Senato.

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Per questo giro, passo

Se Berlusconi ha violato il silenzio elettorale lasciandosi andare alle sue consuete farneticanti esternazioni contro la magistratura, a margine di una conferenza stampa tenuta a Milanello, dove solitamente si parla di calcio (nello specifico, il derby meneghino), ritengo che anche a me possa essere consentito di dire qualcosa sul voto di domenica e lunedì. Credo di poterlo fare soprattutto perché il mio non è un tentativo di fare proselitismo, ma soltanto l’occasione tardiva di esprimere il mio pensiero.

In realtà la mia opinione l’ho già manifestata altre volte, però vorrei essere più preciso. Non voterò, ma vado in bestia se mi si dice che questa è antipolitica. Antipolitica è non riuscire, in cinque anni, a cambiare una legge elettorale vergognosa che toglie al cittadino la possibilità di votare il candidato che l’elettore reputa più idoneo a rappresentarne interessi e passioni. E ancor di più mi fanno perdere le staffe quelli che arrampicandosi sugli specchi se ne escono una motivazione vecchia di venti anni: dare il colpo di grazia a Berlusconi.
Si può cambiare disco o dobbiamo ancora farci dettare l’agenda da un personaggio screditato in tutto il mondo, che non gode di alcuna credibilità neppure tra i suoi stessi sostenitori e che è stato quasi costretto a ricandidarsi per non fare scomparire un’area politica allo sbando da due anni?

Vorrei sommessamente ricordare che i cittadini, la loro parte, l’hanno fatta per ben due volte mandando a Palazzo Chigi Romano Prodi: non è colpa loro se una volta al governo il centrosinistra non ha fatto una legge sul conflitto d’interessi che sarebbe stata una conquista di civiltà per il Paese e ha preferito invece dedicarsi all’autolesionismo più sfrenato e inspiegabile. O peggio all’inciucio: se penso al “patto della crostata” di casa Letta non ne mangio per il resto dei miei giorni.

Ora, mi sembra giunga fuori tempo massimo l’appello a serrare i ranghi. Anche perché, fino a qualche settimana fa, non era nemmeno ben chiaro lo scenario e poco decoroso il tentativo di equilibrismo del Pd stretto tra l’alleanza con Vendola e l’occhiolino strizzato a Monti.

La mia convinzione è che il leader del Pdl sia giunto al capolinea. Però ha fatto tutto da solo, i suoi avversari non ne hanno alcun merito. A questa considerazione si aggiunge quella pragmatica sull’inutilità del mio voto. Non “nel” voto in generale, me ne guarderei bene: libertà, democrazia e voto sono le più grandi conquiste dell’antifascismo. Cerco di spiegarmi meglio: alla Camera è praticamente certa la vittoria della coalizione di centrosinistra, che conquisterà quindi il premio di maggioranza e non avrà difficoltà di sorta. I problemi potrebbero sorgere al Senato, dato che la legge elettorale “stranamente” (perché mai si dovrebbero fare le cose semplici in Italia?) assegna il premio su base regionale, non nazionale. Per cui potrebbe verificarsi l’ipotesi che in quel ramo del Parlamento la coalizione vincente non riesca ad avere la maggioranza (soluzione per la quale tifano sia Monti che Berlusconi).
La partita vera, quindi, si gioca in quelle regioni che eleggono un elevato numero di senatori. Insomma, se risiedessi in Sicilia o in Lombardia (che vengono date come le regioni in bilico e decisive per l’elevato numero di senatori che esprimono) probabilmente andrei a votare, ma farlo qua non è proprio un esercizio inutile. Non condanno chi va a votare e non chiedo che altri seguano il mio esempio, che è quanto di più sofferto mi sia mai toccato fare da un punto di vista civico. Ma il ditino puntato contro l’antipolitica no, non l’accetto.

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