Strettamente personale

Oggi mi è stato recapitato via web un invito particolare. Una minaccia, nemmeno tanta velata, a farmi “i fatti miei” e a non permettermi di criticare l’operato dell’onorevole Fedele.
Ora, io non penso di avere mai offeso Luigi Fedele, che sul piano personale è persona squisita, educata e garbata, con cui ho sempre avuto un rapporto franco e leale. Rivendico però il diritto alla critica, che da parte mia non è mai diventata insulto.

Questo il testo (errori compresi) del commento all’articolo L’autostrada più bestemmiata del mondo:

Caro Domenico visto il tuo innamoramento costante ed incessante nel citare l’on FEDELE che, come ben sai nel tuo animo frustrato nelle vesti del più grande scrittore Corrado Alvaro, si sta battendo per il suo paese affinchè si abbia uno svincolo degno e meritevole di un paese come il nostro Sant’eufemia ma anche Sinopoli e la vostra tanta amata “Delianuova”. Quindi se non vuoi essere “richiamato” per l’ennesima volta ti invito a non parlare più di Fedele, inoltre come tu ben sai nel Quotidiano della Calabria hai scritto un articolo un po di giorni orsono che il sig. nonchè illustre assessore Napoli ti ha consigliato dicendo che tutti si dimettono per far posto ad Arimare prendendo in giro gli elettori eufemiesi. Allora ti esorto nuovamente a farla finita perchè sai un commento non gradito o una parola detta male stavolta non farà di certo piacere. Non ti resta che pensare a ciò che scrivi ti ringrazio spero che tu legga il messaggio e poi dopo averlo letto lo puoi cestinare.

All’anonimo commentatore vorrei solo ricordare che sul web qualche impronta digitale resta, anche quando si commenta in forma anonima. Per cui, non solo non raccolgo l’invito a “cestinare” il commento, ma lo pubblico su un post a parte per dargli maggiore risalto. Intelligenti pauca.

Detto questo:

a) non mi sento un grande scrittore, ma soltanto uno che dice ciò che pensa, a volte indovinando, altre sbagliando;

b) “la vostra amata Delianuova” non è espressione che rispecchia i miei sentimenti di eufemiese innamorato del proprio paese;

c) rivendico il diritto al dissenso, che è l’espressione più alta della libertà di opinione;

d) rassicuro i miei lettori sul fatto che generalmente penso a ciò che scrivo;

e) non scrivo sul “Quotidiano della Calabria” dal 2004. Se qualche volta lo faccio, si tratta di interventi sulla pagina “Lettere al Quotidiano”, sempre firmati con nome e cognome, al contrario dell’anonimo estensore della minaccia di cui sopra. L’articolo in questione non è da me firmato, né potrebbe esserlo, non essendo più io corrispondente per il Quotidiano da otto anni (infatti, è firmato Francesco Iermito);

f) decido io di cosa parlare sul mio blog.

Titolo “strettamente personale” questo post per omaggiare uno dei più grandi giornalisti italiani del ventesimo secolo, Enzo Biagi, titolare di una rubrica così intitolata e autore di una straordinaria e sempre attuale lezione di giornalismo, dignità, indipendenza e libertà.

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L’autostrada più bestemmiata del mondo

Al tg2 delle 13 è stata data una buona notizia: sulla Salerno – Reggio Calabria sono stati chiusi quattro cantieri e riaperti non ricordo quanti chilometri di autostrada.
Poi dice che uno diventa un bufalo fumante. Ovvio, quando si parla dell’autostrada più bestemmiata del mondo.

Due giorni fa, nei pressi di Scilla, si è staccato il cornicione di una galleria e solo per una fortuita coincidenza non ci è scappato il morto. Autostrada chiusa e traffico deviato nel centro di Scilla, in una lunga notte di passione, per i residenti e per gli automobilisti bloccati in qualche stretto tornante della strada provinciale. Il giorno successivo, concessione – non richiesta – del bis, con Anas e Polizia stradale sempre più nel pallone, incerte se riaprire o no. Perché diventa una responsabilità pesantissima autorizzare il traffico su un tracciato maledetto da Dio e dagli uomini. Il problema vero è che la manutenzione sul vecchio tracciato è quasi inesistente, da quando sono cominciati i lavori per l’ammodernamento del quinto macro-lotto della SA-RC. In alcune gallerie piove, letteralmente a dirotto. Altro che infiltrazioni: non so come si possa autorizzare la viabilità e spero, per i responsabili, che non succeda mai niente. Ma ogni volta che ci passo, mi ripeto: “speriamo che non venga giù tutto”.
Ovviamente, i telegiornali si guardano bene dal dare simili notizie. Non è una novità. E poi, si rischierebbe di mettere paura a chi ha intenzione di mettersi in viaggio e puntare a Sud.

Nel frattempo, a Sant’Eufemia d’Aspromonte abbiamo perso lo svincolo autostradale. Tagliati fuori dalle grandi (si fa per dire) reti di comunicazione, siano esse stradali o ferroviarie, con ricadute intuibili sulla nostra già asfittica economia. Per collegarsi al nuovo tracciato, occorrerà fare i salti mortali, con dispendio di tempo, soldi e bile. L’assessore regionale ai trasporti, Luigi Fedele, eufemiese, per il momento tace. L’ex sindaco Saccà preannuncia battaglia. Come l’attuale, Creazzo.
La mia opinione è che ci sia poco da fare, perché è tutto deciso. E non da ora, nonostante certe periodiche e rassicuranti dichiarazioni. A ogni modo, mi permetto un piccolo suggerimento a tre politici che rappresentano – credo – la quasi totalità della cittadinanza eufemiese. Mettete da parte ogni tentazione personalistica. Sulla vicenda dello svincolo, ci sono già state troppe strumentalizzazioni. Soprattutto, bando alle chiacchiere, ai tavoli e agli incontri più o meno chiarificatori con Anas, prefetto, istituzioni politiche. L’unica strada da percorrere, per diventare “visibili”, è creare il massimo disagio a quanto più persone possibili. Si blocchi l’autostrada, sine die, fino a quando non ci sarà la certezza che lo svincolo si farà o fino a quando non ci arresteranno tutti. Solo su questa base vi seguiremo. Siete pronti a prendervi qualche denuncia? Altrimenti, lasciate perdere, sarebbe tempo sottratto a qualche bella giornata di mare. Si creeranno disagi a gente che non ha colpe? Perché, noi che colpa abbiamo ad avere questa autostrada e a passarvi sopra ore di inferno, da quasi dieci anni?

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Il rap dell’Elefantino

Al trash, ahinoi, siamo purtroppo assuefatti. Se ne vede così tanto che ormai ci abbiamo fatto il callo. Eppure, quando uno pensa di avere toccato il fondo, arriva in soccorso (si fa per dire) la realtà, che al solito sovrasta la più fervida fantasia.
Il video che riprende Giuliano Ferrara con occhiali scuri e cuffie alle orecchie, goffissimo mentre tenta di eseguire il rap dell’anno (“Tienimi da conto Monti”) merita la piazza d’onore in questa speciale classifica. Per il gradino più alto non c’è partita, è saldamente in mano ai produttori televisivi di quei programmi americani con protagoniste bambine di tre-quattro anni che si atteggiano a femmes fatales. Premio da dividere ex-aequo con i genitori delle piccole, of course.

Tenuto sulle ginocchia da Palmiro Togliatti (il padre, Maurizio Ferrara, è stato per lunghi anni stretto collaboratore del “Migliore”, direttore dell’Unità e senatore comunista), una vita fa comunista egli stesso, poi socialista di stretta osservanza craxiana, collaboratore della CIA e infine influente consigliere di Berlusconi, il curriculum di Ferrara (già “Bretelle Rosse” per il Corriere della Sera, ora “Elefantino” per il Foglio) meriterebbe di essere donato alla scienza.
I più attenti lo ricorderanno mentre scappa, giovanissimo e corpulento, nelle immagini in bianco e nero degli scontri di Valle Giulia tra la polizia e gli studenti che tentavano di rioccupare la facoltà di Architettura. Il conduttore di Radio Londra non è il solo ad avere avuto un percorso politico e professionale iniziato a sinistra e concluso alla corte del Cavaliere. Sugli ex di Lotta Continua nelle redazioni Mediaset si potrebbero scrivere tomi. Su tutti, Paolo Liguori, ai tempi della militanza “Straccio”, passato dal documentario sessantottino in cui agitava una bottiglia molotov, al video del febbraio 2011, nel quale brandisce come arma della rivoluzione un paio di boxer, l’emblema della manifestazione organizzata dal direttore del Foglio in favore del governo Berlusconi (slogan: “siamo in mutande, ma vivi”).

Il talento canoro di Ferrara è quello che è, ma il testo è ancora peggio. Un peana iniziale per l’ex premier (“Ti prego, ti prego, ti prego Cavaliere/ ti voglio bene/ Sei stato grande/ Sei stato tanto/ Sei stato troppo”), l’invito a “tenere da conto” Monti e una serie di nomi (e rime) buttati un po’ a casaccio. “L’immaginazione al potere” del Maggio francese, marcusiana parola d’ordine transitata dal Quartiere Latino alle Università italiane, come attenuante non può reggere. Chi avrebbe mai potuto “immaginare”, infatti, che sarebbe finita così?

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La scorta

La classica tempesta in un bicchiere d’acqua. O un espediente per vendere qualche copia in più, soffiando sul fuoco dell’antipolitica, quel fuoco che sembra stia per incenerire un ceto politico improvvisamente vecchio, superato, messo in croce da un comico prima sottovalutato e ora temuto.

La vicenda, che ha fatto immediatamente il giro del web, è quella relativa alle immagini pubblicate dal settimanale berlusconiano “Chi”, diretto da Alfonso Signorini, che immortalano lo shopping all’Ikea della senatrice del Pd Anna Finocchiaro, accompagnata da tre uomini della sua scorta. Le foto ritraggono gli agenti intenti a consigliare la presidente dei senatori democratici nell’acquisto di padelle antiaderenti e mentre sospingono il carrello della spesa.

E giù con le battute degli internauti sui bodyguards utilizzati come colf e sull’improprio e discutibile impiego di denaro pubblico per scopi privati. Twitter, per certi versi, ha le dinamiche tipiche dei funerali. Avete presente il momento in cui, alla fine del rito funebre, qualcuno schiocca l’applauso (evvai!) e immediatamente tutta la chiesa esplode? Ecco, più o meno, sul social network più trendy del momento, accade la stessa cosa. L’hashtag #finocchiarovergogna è subito balzato tra i primi posti degli argomenti di discussione. Sentenza: la scorta dovrebbe svolgere altre mansioni, non fare la spesa. Le foto incriminate non sarebbero altro che l’ennesima prova dei privilegi e dell’arroganza della Casta.
Devo ammettere che, in questa circostanza, non riesco a seguire il coro di indignazione del “popolo della rete”. La reazione mi sembra eccessiva, scomposta, per quello che, a mio avviso, rimane principalmente un gesto di cortesia. Quale uomo, accompagnando una donna in un centro commerciale, non si sobbarca del lavoro “pesante” (trasporto del carrello della spesa e sistemazione dei pacchi sulla macchina)? Sarebbe anomalo il contrario. La scorta, poi, segue il soggetto da proteggere ovunque, negli spostamenti che questi compie da politico e in quelli in cui veste i panni del cittadino comune: in Parlamento, all’Ikea, dal fruttivendolo o dalla parrucchiera. Lo fa perché è quello il suo lavoro.

La domanda da porre, semmai, dovrebbe riguardare l’opportunità che a molti politici sia assegnata una scorta. Sul punto (“Avere la scorta per me non è un piacere. Mi è stata imposta e nonostante ciò provo a fare una vita normale, anche da Ikea”), la stessa senatrice ha tenuto a precisare di avere chiesto la revoca del servizio “circa tre mesi fa, ma la risposta è stata negativa”.

Tornando a Signorini, considero più discutibile la sua intervista a Ruby “rubacuori” per la trasmissione televisiva Kalispera, durante la fase più torrida dello scandalo che coinvolse l’ex premier e la “nipote di Mubarak”. Ma quella era un’altra storia. E, a ben vedere, un altro Signorini.

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#sefossiSerino

Per alcuni è diventato di vitale importanza avere tantissimi follower su twitter. Per ragioni commerciali, in alcuni casi. Perché fa figo e altrimenti non sei nessuno, in altri. Sollevata un paio di giorni fa dall’anonimo blogger Fake Spotter, il cui blog è stato immediatamente oscurato (stessa sorte capitata, di lì a poco, al suo account twitter), la polemica ha rapidamente fatto il giro del web. Nel frattempo, è andata dispersa ogni traccia dell’ideatore, sul popolare servizio di microblogging, dell’operazione #bufalafollow, nata per sgamare la compravendita di follower fasulli. Le stilettate sulla Rete sono invece proseguite, associate all’hashtag #sefossiSerino, dal nome del critico letterario finito nell’occhio del ciclone, il giornalista collaboratore di importanti testate giornalistiche e fondatore della rivista Satisfiction, accusato di avere “dopato” la lista dei follower facendo ricorso a qualche agenzia specializzata. Serino ha prima negato e inizialmente si è affidato all’ironia per sostituire lo status del suo profilo su twitter (da “non mi occupo di libri, sono i libri ad occupare me”, a “non mi occupo di follower, sono i follower a occupare me”). Quindi, ha minacciato azioni legali. Subito dopo, la chiusura del blog e del profilo di Fake Spotter. Un caso?
Sullo storify di uomoinpolvere si può verificare come i follower di Serino siano passati in pochissimo tempo (dall’11 febbraio al 18 marzo), da 638 a 53.025. Un aumento di quasi 1.500 al giorno, molto sospetto per un profilo che risulta aperto dal 2009 e che fino a tre mesi fa risultava quasi inattivo. Ma la pistola fumante sarebbe un’altra. La maggior parte dei follower di Serino ha un nome improbabile, twitta pochissimo, in una lingua che non è l’italiano (anche “arabo, shawili o thailandese”) e ovviamente non con lui. Insomma, 19 su 20 sarebbero fasulli, vale a dire 51.000 su 53.000. La pratica di comprare pacchetti di follower viene definita cherry blossoming (“fioritura dei ciliegi”) e ricorda, nella tecnica e nelle finalità, ciò che sembra sia qualche volta accaduto con il televoto in alcune popolari trasmissioni televisive. Il meccanismo è lo stesso: pacchetti comprati. A 17 dollari ogni mille follower, secondo il tariffario che circola. Il prezzo del successo.

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Blogging Day per Rossella Urru

Il “blogging day” è un giorno in cui un gruppo di blogger decide di parlare di un unico argomento. Allo scopo di sensibilizzare quante più persone possibili e di far parlare anche i media del rapimento di Rossella Urru, nella giornata di oggi i blogger che aderiscono all’iniziativa dedicheranno il proprio post a questo argomento. Per contribuire alla conversazione su Twitter social network usiamo gli hastag #freerossella e #freerossellaurru

L’appello di Donne Viola:

Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre Rossella Urru ed altri due cooperanti spagnoli (Ainhoa Fernandez de Rincon, dell’Associazione amici del popolo saharawi, e Enric Gonyalons, dell’organizzazione spagnola Mundobat) sono stati rapiti da uomini armati, arrivati a bordo di diversi pick-up. Originaria della provincia di Oristano, Rossella Urru, 29 anni, e’ rappresentante della ONG Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli (Cisp) e lavora da due anni nel campo profughi Saharawi di Rabuni, nel sud ovest dell’Algeria, coordinando un progetto finanziato dalla Comunità europea.
Rossella si occupava di rifornimenti alimentari, predisponeva la distribuzione con particolare riguardo alle necessità di donne e bambini. Rossella Urru e’ laureata in Cooperazione Internazionale presso la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, proprio con una tesi sul popolo Saharawi.
Dalla notte del sequestro non si hanno avuto notizie di Rossella Urru fino al mese di dicembre quando un gruppo dissidente dell’Aqmi (Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya ) ha rivendicato il rapimento.
Grazie a rapporti personali col popolo tuareg da parte del consigliere regionale Claudia Zuncheddu, sappiamo che Rossella è viva e che si trova in un territorio desertico quasi inaccessibile, crocevia di interessi contrastanti fra governi e movimenti, dove ovviamente assume rilevante importanza l’intreccio delle funzione di mediazione di soggetti diversi. I sequestratori mirano ad un riscatto per acquistare armi necessarie alla loro lotta per l’indipendenza. Il governo algerino, che conosce il territorio desertico a palmi, tuttavia non e’ favorevole alla mediazione con riscatto visto che sarebbe il destinatario di una insurrezione armata da parte del fronte del Polisario armato. In aggiunta il governo francese, spinto da mire neocolonialiste, e’ fortemente interessato alla liberazione forzata dei ragazzi sequestrati, mettendo così a rischio la loro incolumità.
Sono passati 117 giorni dal suo sequestro e rivendichiamo la sua liberazione, il silenzio che la circonda e’ assordante.
Lasciamo ai servizi ed alle ambasciate rispettivi ruoli e rispettiamo il desiderio dei familiari di mantenere basso il profilo sulle trattative tuttavia dobbiamo fare in modo che si parli di questo sequestro per spingere le nostre amministrazioni, i nostri governi e quanti piu’ Stati possibile ad intraprendere azioni diplomatiche per la liberazione di Rossella.
Forse i suoi sequestratori fanno paura ai diplomatici.
Forse il sequestro e’ capitato in un momento storico in cui tutte le attenzioni dei governi sono rivolte allo spread, ai bund, alle borse, ai mercati ed alle finanze.
Forse e’ capitato proprio quando in Italia si e’ verificato un cambio traumatico di governo e si affronta una crisi economica gravissima.
Ma non si puo’ perdere altro tempo e tutti noi dobbiamo chiedere a gran voce che le autorità competenti rivolgano la massima attenzione al problema della liberazione di Rossella.
Il nostro appello e’ rivolto alle organizzazioni, alle ambasciate, ai mediatori, ai servizi ed ai governi, centrale e regionale, perchè utilizzino tutti i mezzi e tutte le strategie possibili per riportare Rossella a casa quanto prima.
Il fratello di Rossella dice : “le parole cedono di fronte a tanto assurdo, si sgonfiano e sembrano afone. Eppure, in questa vibrante impotenza in cui ci troviamo, sono quel poco che ci è concesso, un nonnulla che tenta di colmare un abisso e una distanza insospettati; che riescono appena a tenerci in piedi, a farci avanzare”.
Parliamo di Rossella fino a diventare afoni anche noi, parliamo di lei e di questo popolo abbandonato nel mondo che lei ha voluto aiutare nonostante i troppi rischi.

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Il tweet è mio e me lo gestisco io

Da martedì sera, non si cinguetta (quasi) d’altro. Sulla copertina di Ballarò era da poco calato il sipario e già le tricoteuses avevano preso posto nella piazza più affollata del mondo per assistere all’esecuzione di Maurizio Crozza, reo di avere pescato dal social network più trendy del momento le battute per il suo monologo. Al grido di #crozzaeincolla e #copiaeincrozza, “il popolo della rete” è immediatamente partito all’attacco del popolare comico genovese, accusato dal deputato del Pd Andrea Sarubbi di avere “fatto spesa proletaria su twitter”. A ruota, l’indignazione è montata, raggiungendo vette inimmaginabili. Si è capita soltanto una cosa: il sogno recondito di gran parte degli utenti di twitter è quello di diventare autore. Altrimenti risulta difficile comprendere una reazione talmente sproporzionata. Uno soffia all’amico sui capelli, quello si gira e lo atterra con un diretto in pieno viso.
Delle battute “incriminate”, quella sulle Olimpiadi invernali a Roma e l’altra sulla neve nella capitale “ogni morte di Papa”, la seconda è più vecchia di Matusalemme. Il quesito sollevato dai pasdaran del web è: può un comico utilizzare una battuta twittata da altri, senza citare la casa originale? Dalla notte dei tempi, i comici hanno sempre tratto ispirazione e, evidentemente, anche altro dalle persone della strada. Poi è l’arte che fa sì che la stessa frase, detta da me o pronunciata dal grande Totò, sortisca effetti differenti. È facile capire come la vita del battutista sarebbe impossibile se dovesse citare le sue fonti. Non siamo di fronte a un giornalista o a uno storico. Forse non sarebbe male se tutti ci prendessimo meno sul serio. Il fatto di twittare qualsiasi cosa ci passi per la testa non fa di ciascuno di noi un maître à penser, un editorialista, un ghost writer o un autore.
Meglio quelli che sul social network l’hanno presa con filosofia, come Antonio De Leo (prevedibile): “Crozza copia per risparmiare, da buon genovese”; o come Mino Tarantino: “Sono davvero depresso. Crozza copia. E non da me”. Che nasconde dietro l’ironia un’amara verità, svelata dal caustico Fabrizio Carosella: “gente che si venderebbe mamma per un RT punta il dito contro Crozza. Ridicoli”.
Nella replica apparsa su Corriere.it, il comico l’ha messa sul ridere: “è tutto vero. Sono trent’anni che io lavoro copiando dalla rete. Anche quando la rete non esisteva, io la copiavo”; ma non ha risparmiato una velenosa frecciatina al parlamentare democratico: “mi ha sgamato. Io confesso. Anzi, trattandosi di Sarubbi: io con fesso”.
E torniamo alla questione centrale. Non c’è giorno in cui, spesso a ragione, non si metta in guardia dai tentativi di imbavagliare la rete attraverso restrizioni alla libertà della circolazione delle idee e del pensiero, anche se spesso il fine è quello di potere accedere gratuitamente a tutti i contenuti presenti sul web (libri, canzoni, film). E il problema sarebbe Crozza? È una polemica pretestuosa, puerile, lievemente rosicona. Una permalosità irritante, da gente con il ditino sempre alzato, inflessibile nel censurare il prossimo e indulgente verso se stessa. La pagliuzza e la trave.

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Casta calabra

L’aveva detto in tempi non sospetti: “Ci rivedremo presto. E sempre con la schiena dritta”. Era la chiusura dell’editoriale sofferto, ma orgoglioso, con il quale Paolo Pollichieni, il 20 luglio 2010, annunciava le dimissioni da direttore di CALABRIA ORA, il quotidiano che aveva guidato per più di tre anni. In tanti tirarono un sospiro di sollievo. “Chissà cosa uscirà stamattina” era diventato l’incubo ricorrente per gli amici degli amici, per i compari dei compari, per tutta quella gente dotata della dose di pelo sullo stomaco indispensabile per coltivare amicizie “pericolose” e per essere “qualcuno” in Calabria. I rapporti tra politica e ’ndrangheta sono stati spesso al centro delle inchieste portate avanti da Pollichieni e dai suoi collaboratori, una pattuglia giovane, agguerrita, coraggiosa, che non ha esitato a seguire l’esempio del direttore di fronte alle pressioni della proprietà del giornale.
Casta Calabra (sottotitolo: La politica? Sempre meglio che lavorare…), edito da Falco (Cosenza, dicembre 2011), è lo sbocco naturale di vicende personali e professionali vissute in prima linea. La sistemazione organica del discorso interrotto bruscamente quell’estate e ripreso un anno dopo, dalle colonne del CORRIERE DELLA CALABRIA, settimanale di inchieste e approfondimenti che ogni venerdì provoca parecchi bruciori di stomaco a Palazzo Campanella e a Palazzo Alemanni.
“C’è di tutto nel libro. Per cominciare, la denuncia del degrado culturale”, il giudizio del giornalista del CORRIERE DELLA SERA Gian Antonio Stella, al quale va il merito (da dividere con il collega Sergio Rizzo) di avere per primo scoperchiato il malcostume della classe politica italiana con La casta, exploit editoriale datato 2007, che ha aperto la strada ad un filone giornalistico di successo.
Pollichieni, Eugenio Furia, Giampaolo Latella, Pablo Petrasso e Antonio Ricchio accompagnano i lettori girone dopo girone, in un abisso popolato da politici e politicanti, faccendieri, mafia e antimafia, massondrangheta e borghesia mafiosa, quella “zona grigia” già definita dal direttore del CORRIERE DELLA CALABRIA “il vero capitale sociale della ’ndrangheta”. E che è diventata classe dirigente in una realtà dominata dal “familismo amorale”, modello di comportamento sociale fondato sul perseguimento dell’interesse “familiare” a scapito del bene della collettività. Nella notte della politica calabrese, le differenze tra gli schieramenti sono impercettibili. Anche perché la cronaca è un inciucio continuo, sublimato nella legge sul “concorsone” (2001), ma riscontrabile in un modus operandi che non distingue tra gli schieramenti politici. Leggi sul taglio dei costi della politica che si rivelano fonti di ulteriori sprechi. Consulenze inutili e incarichi esterni assegnati a politici trombati alle elezioni, tra gli sbadigli annoiati del personale interno. Carrozzoni come l’Afor e l’Arssa, aboliti per legge da cinque anni, che continuano ad assumere personale. Società partecipate perennemente in rosso: emblematico il caso della Sogas, la società che gestisce l’Aeroporto dello Stretto e che dalla data della sua costituzione (1986) non ha mai chiuso un bilancio in attivo. Nelle pagine di Casta calabra sfilano politici e burocrati, con il relativo codazzo di parenti attaccati alla mammella pubblica, tutti accomunati dal longanesiano “tengo famiglia”. Tutti sorridenti dietro al vip di turno portato a sfilare sul corso Garibaldi per promuovere l’immagine di Reggio, mentre nelle periferie manca l’acqua e le buche nelle strade sono voragini. Il tanto sbandierato “modello Reggio”, assurto prima a modello da esportare a livello regionale, quindi declassato a “modello peggio”: scandali, debiti, misteri, il suicidio di Orsola Fallara, la nomina prefettizia della commissione d’accesso antimafia. E nuvoloni neri all’orizzonte.

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La “morte” di Fidel su Twitter

Il meccanismo è sempre lo stesso. Al tempo di Twitter, l’informazione viaggia alla velocità di un cinguettio. Quello che serve per dare fiato ad una bufala e farla correre il più veloce possibile. Tweet. Retweet. E il gioco è fatto. Cambio di consonante e una notizia, invece di essere propagata, viene propalata. È toccato a Fidel Castro. Per la seconda volta in sei mesi. Evidentemente, al popolo di Twitter il “Lìder Maxìmo” sta poco simpatico. Tanto che, svelata la fandonia, i giornali di lingua spagnola hanno prontamente titolato: “Twitter mata a Fidel” (“Twitter uccide Fidel”). Tutto è iniziato con un messaggio apparso a notte fonda: “Attenzione, Cuba Press ha verificato la morte di Fidel Castro. Stasera la comunicazione ufficiale dal governo del Paese”. Ripresa e rilanciata dagli utenti del social network, in breve tempo la notizia è balzata in testa ai TT (trending topics, gli argomenti più discussi): commenti degli utenti, richieste di conferme, dubbi dei giornalisti di mezzo mondo, sublimati dall’amara considerazione della popolarissima blogger cubana Yoani Sanchez: “Amici, il giorno che questo rumor sarà verità, noi cubani saremo gli ultimi a saperlo”.
Dal 2006, da quando Castro è scomparso dalla scena pubblica, escluse le brevi apparizioni ad uso propagandistico per smentire le voci sulla gravità delle sue condizioni di salute, l’attesa per l’epilogo della vicenda umana si intreccia con l’incertezza per cosa ne sarà di Cuba. I regimi hanno sempre la faccia del dittatore che li guida. Volitiva nella fase di massimo splendore, incartapecorita quando la parabola scende inesorabilmente. Caso scolastico, la gerontocrazia del Pcus nella fase terminale dell’esperienza storica sovietica, mummificata come il corpo di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa e rappresentata plasticamente dai volti dell’ultimo Breznev, di Andropov e Cernenko, superstiti travolti dalla perestrojka gorbacioviana. Nonostante il passaggio del testimone al fratello Raul (un ottantenne, non un giovanotto di primo pelo), è altamente probabile uno scenario già visto altrove. Una caduta rovinosa che trascinerà giù tutto, persone e impianto dello Stato. E se i sostenitori di Fidel temono che l’isola caraibica possa diventare nuovamente il “bordello” degli Stati Uniti, è pur vero che la fine di un’epoca può innescare processi imprevedibili e incontrollabili.
Per i regimi, la rete è un nemico in più. I new media stanno mettendo a dura prova pratiche sedimentate, rivoluzionando il sistema di reperimento e diffusione delle notizie. Alcuni accorgimenti sono però ineludibili. Pur di primeggiare, c’è chi non si fa scrupoli se deve saltare il fondamentale passaggio della verifica. Ed è un gioco da ragazzi mettere in circolo una panzana, per vedere l’effetto che fa, per gioco o tendenziosamente. Si riapre così, periodicamente, il dibattito sull’informazione al tempo dei social network, alimentato dalle considerazioni che la divulgazione di una falsa notizia inevitabilmente suggerisce. Come nel caso della “morte” di Castro, preceduta – nei giorni scorsi – dalla bufala sul ricovero in ospedale di Nelson Mandela e dal “decesso” di Paolo Villaggio. Social media e citizen journalism sono realtà imprescindibili per chi fa informazione. Non possono però godere di alcuna franchigia deontologica. Chi non verifica una notizia prima di lanciarla (o rilanciarla), che lo faccia sulla carta stampata o che lo faccia sul web, nella migliore delle ipotesi è un incompetente, nella peggiore un farabutto.

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Il 2011 dalla A alla Z

A – AZZARÀÈ durata quattro mesi la prigionia di Francesco Azzarà, logista presso un centro pediatrico aperto da Emergency a Nyala, nel Darfur meridionale. In mano a una banda di sequestratori sudanesi dal 14 agosto, il cooperante di Motta San Giovanni (RC) è stato rilasciato il 16 dicembre, dopo che il suo rapimento aveva provocato una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica.
B – BIN LADEN. Nel decennale dell’attacco qaedista alle Torri Gemelle, lo “sceicco del terrore” viene scovato ed eliminato in un nascondiglio ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio. Il corpo di Bin Laden viene poi gettato in mare. L’immagine che passerà alla storia ritrae il presidente Obama, il vice Biden, Hillary Clinton, il capo del Pentagono e lo staff presidenziale mentre seguono in diretta il blitz dei Navy Seals dalla Situation Room della Casa Bianca.
C – CATASTROFI NATURALI. L’Italia frana e ogni temporale diventa un’emergenza ambientale. Anche il 2011 piange parecchie vittime (5 nelle Marche e in Romagna, 12 nello spezzino e in Lunigiana, 6 a Genova e 3 nel messinese) e conta danni per milioni e milioni di euro. La devastazione ambientale e l’incuria dell’uomo sono il migliore alleato della natura, che ogni tanto si ribella e lascia dietro di se soltanto fango e morte.
D – DSK. Annus horribilis per il direttore generale del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, passato dall’altare della possibile sfida a Sarkozy per la conquista dell’Eliseo al carcere, accusato di tentata violenza sessuale ai danni della cameriera di un hotel di New York. Accuse rivelatesi infondate, che hanno alimentato le voci di un complotto politico. Prosciolto negli Usa, DSK è stato successivamente accusato di molestie in Francia.
E – EURO. Lo strappo di Londra, il tandem Francia/Germania, le due velocità dell’Europa, zavorrata dal peso del debito dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) e dalla sofferenza dei conti italiani. La crisi del debito “sovrano” in Grecia è stata la spia della difficoltà dell’eurozona. Il rischio è che sulla moneta unica si scateni la resa dei conti: “salvare l’Euro o salvare l’Europa?”. Senza unione politica, il destino dell’euro sembra segnato.
F – FUKUSHIMA. Il numero delle vittime provocate dal terremoto (8.9 scala Richter) e dallo tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo è incerto (circa 30.000), ma la tragedia della centrale nucleare di Fukushima avrà conseguenze sull’ecosistema dell’intero pianeta per i prossimi decenni. Radiazioni, contaminazione dell’aria e del sottosuolo: il disastro ecologico ha indotto la Germania ad abbandonare l’energia atomica; in Italia, un referendum ha chiuso la porta al nucleare.
G – GURU. “Stay hungry, stay foolish” (Siate affamati, siate folli), il monito lanciato da Steve Jobs ad una platea di neolaureati quando già il male lo stava divorando. Vinto dal cancro il 5 ottobre, il cofondatore di Apple e ideatore di prodotti tecnologici innovativi come l’iPhone e l’iPad è diventato un’icona, un “genio creativo e visionario” paragonato a straordinarie personalità del passato (Leonardo, Newton, Einstein) per la capacità di incidere sul corso della storia.
H – HASHTAG. Il 2011 è stato l’anno di Twitter. Dalla Primavera araba alla crisi di governo italiano, alle manifestazioni degli Indignati, non c’è stato avvenimento che non sia stato raccontato da protagonisti e testimoni comuni armati di smartphone. Simbolo di questo nuovo modo di raccontare la cronaca è l’hashtag (#), l’etichetta che raccoglie i tweet su un determinato tema. #yearinhashtag, ideato da Claudia Vago, Luca Alagna, Marina Petrillo, Maximiliano Bianchi e Mehdi Tekaya sintetizza dodici mesi di notizie “da un punto di vista particolare: la Rete e i suoi utilizzatori”.
I – IRAQ. Otto anni e 4.474 morti dopo gli Usa lasciano l’Iraq. Per le vittime irachene il bilancio è incerto: almeno 100.000 tra militari e civili, “effetti collaterali” dei bombardamenti di villaggi sospettati di nascondere truppe fedeli al regime di Saddam. Delle cause portate a pretesto per scatenare la guerra (appoggio ad Al-Qaeda e programma di armamenti di distruzione di massa) nessuna si è rivelata fondata. L’eliminazione di Saddam non ha pacificato l’Iraq e il ritiro dell’esercito Usa lascia un grosso punto di domanda sul futuro di Baghdad.
L – LACRIME. Quelle di Elsa Fornero, ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Monti, durante la presentazione della manovra economica “lacrime e sangue” (tanto per restare in tema). Ma soprattutto le nostre, se tagli al welfare, tasse e aumenti vari non saranno compensati da misure per la crescita. Ora come ora, l’impressione è che a pagare saranno i soliti, mentre altri soliti la faranno franca, visto che rendita, patrimoni e privilegi sono stati appena scalfiti. Non ci resta (davvero) che piangere.
M – MONTI. Anche se un suo ministro piange, il professore rimane impassibile, tanto da continuare ad illustrare i contenuti della riforma previdenziale e, bando alla ciance, “correggimi; commuoviti ma correggimi”. Invocato come il salvatore della patria per porre un argine ai disastri del governo Berlusconi, con Monti l’Italia sta lentamente riguadagnando la credibilità che scandali, “cene eleganti” e altre amenità del genere avevano affossato. Il Paese però appare sfiduciato e depresso. Il 2012 sarà un anno di ulteriori sacrifici.
N – NIPOTE DI MUBARAK. È stata la bufala dell’anno, ma l’Italia è un Paese talmente bizzarro che ha ricevuto l’avallo istituzionale. Ruby “rubacuori”, amichetta del premier finita in Questura per un litigio con una prostituta brasiliana, è la nipote marocchina dell’ex leader egiziano Mubarak. L’ha stabilito la Camera dei deputati votando la richiesta di sollevare davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dell’autorità giudiziaria per spostare il processo “Ruby” dal Tribunale di Milano al Tribunale dei ministri. La degna chiusura del ciclo berlusconiano.
O – OCCUPY WALL STREET. Per il magazine statunitense “Time” è il contestatore la “persona dell’anno 2011”. Dagli Indignados in Spagna, scesi in piazza a maggio per manifestare contro le misure economiche del governo Zapatero, a Piazza Tahrir, dove sboccia la primavera araba, a Zuccotti Park, luogo simbolo della protesta nel cuore di Manhattan sgomberato a metà novembre, dopo due mesi di occupazione, è un susseguirsi di manifestazioni culminate con la giornata mondiale dell’indignazione, il 15 ottobre.
P – PRIMAVERA ARABA. È appena iniziato l’anno quando muore Mohamed Bouazizi, laureato disoccupato e venditore ambulante abusivo che a dicembre si era dato fuoco in segno di protesta per le condizioni di miseria in cui vive gran parte della Tunisia. Inizia la “primavera araba”: migliaia di giovani si riversano in piazza e costringono il presidente Ben Alì alla fuga. La rivolta contagia il Nord Africa. Piazza Tahrir, al Cairo, diventa l’epicentro della rivolta egiziana, che costringe Mubarak a passare la mano ai militari. Quindi è la volta della Libia, che si solleva contro Gheddafi e, grazie al sostegno decisivo dell’Occidente, pone fine alla dittatura ultraquarantennale del rais.
Q – QUATTRO SÌDopo 24 quesiti affossati consecutivamente a partire dal 1995, il 12-13 giugno è stato raggiunto il quorum necessario per rendere valida la consultazione referendaria. Le urne hanno detto che gli italiani sono contrari al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua. Ma hanno anche bocciato Berlusconi, già bastonato nelle amministrative di maggio, cancellando la legge sul “legittimo impedimento”, una delle tante leggi ad personam licenziata dal Parlamento dei “nominati”.
R – ROYAL WEDDING. Il “matrimonio reale” tra William e Kate è stato l’evento mediatico dell’anno. Seguito in diretta televisiva e sul web da oltre due miliardi di spettatori in tutto il mondo, il “sì” pronunciato nell’abbazia di Westminster ha riconciliato la monarchia Windsor con il popolo inglese, che non aveva mai completamente elaborato il lutto per la perdita di Lady D. La favola moderna della giovane coppia reale ha tutti gli ingredienti per soddisfare la richiesta di sogno presente, in tutti i tempi e ad ogni latitudine, presso l’opinione pubblica.
S – SPREAD. Non avremmo mai sospettato che il nostro primo pensiero, una volta svegli, potesse essere rivolto allo spread. Ormai il nostro umore sale e scende in maniera inversamente proporzionale all’andamento della differenza di rendimento tra i Bund tedeschi e i Btp italiani. Superata quota 500, chiamiamo il 118. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana lo spread ha fatto cadere un governo e ne ha issato un altro. È il primato dell’economia sulla politica.
T – TELEVISIONE. Non siamo ancora al superamento del duopolio Rai-Mediaset, ma segnali di novità importanti arrivano dall’ascesa di La7, trascinata dall’effetto Chicco Mentana e da una politica semplice, favorita dallo smantellamento dell’azienda di viale Mazzini. La Rai si lascia scappare i pezzi pregiati e mantiene fino alla caduta di Berlusconi Minzolini, autore del “più brutto telegiornale della storia” (Aldo Grasso). A parte le quattro puntate di Fiorello, c’è poco da salvare. Interessante l’esperimento di Santoro, in onda su una “multipiattaforma” (emittenti locali, Sky, siti internet e radio).
U – UNITÀ D’ITALIA. Il 150° anniversario è stata un’occasione persa, scivolato nella retorica delle ragioni unitarie e identitarie, da un lato, e nella strumentalizzazione di un revisionismo politico prima che storiografico, dall’altro. Affidata alla penna di giornalisti polemisti più che al rigore scientifico degli storici, la ricostruzione del Risorgimento italiano si è per lo più trasformato in una “controstoria” buona soltanto per i rutti leghisti e per le parate in costume dei neoborbonici.
V – VASTO. Non sappiamo se qualcuno, contraddicendo la raccomandazione di Nichi Vendola, abbia strappato la foto di Vasto, che ritraeva sorridenti il leader di Sel, quello di Idv Antonio Di Pietro e il segretario del Pd Pierluigi Bersani, proiettati verso un’alleanza elettorale e di governo per il dopo-Berlusconi. La costituzione del governo Monti ha rimescolato le carte. Soprattutto l’approvazione della manovra economica ha raffreddato i rapporti tra chi l’ha votata (Pd), chi ha negato la fiducia (Idv) e chi, non avendo rappresentanti in Parlamento, si è ritrovato nel mezzo (strattonato ora dall’uno, ora dall’altro). Le sirene del Terzo polo potrebbero dare il colpo definitivo alle speranze di unità a sinistra.
Z –ZAPATERO. Che sia un periodaccio per la sinistra, anche a livello internazionale, lo conferma la parabola del premier spagnolo Zapatero, travolto dopo sette anni di governo dalla crisi economica: 5 milioni di disoccupati, rischio default e Indignados nelle piazze. Il leader del Psoe ha almeno salvato la faccia, dimettendosi prima della scadenza naturale del mandato e affidando il destino della Spagna ad elezioni anticipate, stravinte dal candidato del partito popolare Mariano Rajoy. Si chiude così una stagione di importanti conquiste in materia di diritti civili (la più nota, la legislazione sulle coppie omosessuali), guardata con interesse dalle sinistre di tutto il mondo.

Pubblicato il 31 dicembre 2011 su http://www.scirocconews.it/index.php/2011/12/31/lalfabeto-del-2011-dalla-a-alla-z/

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