Addio al ponte sullo Stretto

Il cittadino comune lo sa da sempre: “solo gli allocchi possono pensare che si farà il ponte sullo Stretto” e “né io né tu vivremo abbastanza per passarci sopra” sono le frasi ricorrenti quando si affronta l’argomento. Accompagnate da considerazioni sulla strumentalizzazione politica che da sempre accompagna il progetto, in particolare negli ultimi anni, in concomitanza con l’aspirazione berlusconiana a lasciare ai posteri un segno tangibile della propria grandezza. Certo, c’era anche la proverbiale premura dell’ex premier per le questioni di cuore: “se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto potrà andarci anche alle tre di mattino, senza dipendere dai traghetti”.
Dovranno farsene una ragione le coppie separate dalla lingua di mare, il progetto è congelato. Più o meno come il “bianco ghiaccio” che il 45,5% dei 4.476 votanti il sondaggio proposto dal sito www.pontedimessina.it ha indicato come colore ideale per la megastruttura. Per cui, addio al ponte dei record, l’opera faraonica che avrebbe oscurato l’Akashi Bridge (Giappone): 3.300 metri la campata centrale (+ 1.100 metri), 382 metri l’altezza delle torri (+ 85 metri), un metro e 24 centimetri il diametro dei cavi di sospensione (+ 12 centimetri), oltre 44.000 cavi d’acciaio (+7.000).
Il Cipe ha infatti sbloccato, nella riunione del 20 gennaio, 6,2 miliardi di euro, definanziando nel contempo 1.624 milioni precedentemente destinati dal governo Berlusconi alla società Stretto di Messina e dirottandoli verso altri interventi. IL SOLE 24 ORE, che ha per primo dato la notizia, ha sottolineato il “doppio cambio di filosofia” rispetto all’era Tremonti: “si favoriscono da una parte interventi diffusi sul territorio piuttosto che mega opere dai tempi lunghi; e dall’altra si definiscono piani dettagliati e già concordati con il territorio allo scopo di far partire prima possibile le ruspe”. È anche vero, però, che la decisione era nell’aria, diretta conseguenza di scelte già fatte, sia in Italia che in Europa. Dopo l’estate, la commissione europea aveva dato un segnale inequivocabile, non inserendo il ponte sullo Stretto tra le opere infrastrutturali prioritarie per il periodo 2014-2020. E già a fine ottobre la Camera aveva approvato la mozione di Idv che prevedeva di destinare al trasporto pubblico locale i fondi per il ponte. Una votazione che sollevò un vespaio di polemiche per il parere positivo espresso dal viceministro alle Infrastrutture, Aurelio Misiti. Può darsi che sia finalmente finita la pantomima “ponte sì, ponte no”, in scena da troppo tempo. Vince Berlusconi e il ponte si fa. Perde e non si fa. Ma non è detto. Uno spreco di denaro senza fine. Cinquanta milioni di euro, nel periodo 2001-2007, soltanto per le consulenze di terzi e per il personale della società Stretto di Messina.
Il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo ha commentato con ironia: “Il Cipe toglie i fondi al ponte, che i siciliani vogliono, e li mantiene per la Tav, che in Val di Susa non vogliono”. Affermazione che andrebbe verificata. Per esempio, consultando le popolazioni interessate. La società dello Stretto l’ha fatto sul proprio sito e il risultato smentisce la convinzione granitica di Lombardo. Su 30.513 votanti, il 59% è contrario (percentuale alla quale va aggiunto il 5,6% del parere che “sarebbe meglio fare altro”), mentre soltanto il 33,6% si è dichiarato a favore. Evidentemente, il numero delle coppie “interregionali” deve essere in forte calo.

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Cultura, qualche proposta per i prossimi amministratori

Dopo la recensione al libro di Vittorio Visalli sui fatti d’Aspromonte, mi è stato chiesto dove sia possibile reperire l’opera dello storico eufemiese. Posso dire dove l’acquistai io. Al centro commerciale “La Perla” di Villa San Giovanni, quattro anni fa. Si trovava dentro un grande cesto di libri economici, lo notai per caso e fui attratto dal nome dell’autore. Del libro, non conoscevo l’esistenza. Ad essere sincero, neanche della casa editrice. Che nel frattempo ha cambiato denominazione e sede. Ora si chiama “Nuove edizioni Barbaro”, si trova a Delianuova ed è gestita da Caterina Di Pietro e Raffaele Leuzzi. Sul catalogo online, Aspromonte risulta esaurito, ma con un colpo di fortuna se ne potrebbe trovare copia in qualche libreria o edicola della provincia.
Visalli non è l’unico autore del quale la stragrande maggioranza dei suoi compaesani ignora le opere e financo l’esistenza. Ecco perché occorrerebbe un’operazione di recupero della memoria e della tradizione storico-culturale eufemiese. Personalmente, qualche volta ne ho parlato. Anche pubblicamente, come in occasione del convegno sul centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia organizzato dall’associazione “Terzo Millennio”. Così come ho più volte espresso un mio desiderio particolare, il rilancio del periodico “Incontri”, edito per tre lustri dall’associazione culturale “Sant’Ambrogio”. L’apprezzamento ricevuto non ha però finora prodotto iniziative concrete. La questione delle risorse economiche sembra insormontabile. Eppure non credo – tanto per fare un esempio – che la realizzazione di un’antologia eufemiese richieda una spesa insostenibile. Nella biblioteca comunale si trovano libri scritti da eufemiesi (non tanti, per la verità); altri sono facilmente consultabili presso la biblioteca “Topa” di Palmi; altri ancora sono in possesso di privati cittadini. La raccolta degli scritti più significativi di questi autori riporterebbe alla luce un patrimonio che molti ignorano e potrebbe inoltre rivelarsi un’operazione dall’alto contenuto sociale. Il rafforzamento delle ragioni stesse dello stare insieme di questa comunità.
Senza l’aiuto e la collaborazione di coloro che hanno a cuore le sorti di Sant’Eufemia, diventa però tutto più complicato. In primavera ci sarà il rinnovo del consiglio comunale. Non sarebbe male se nei programmi che verranno presentati agli elettori si parlasse anche di cultura. Negli scantinati del palazzo municipale c’è tutta la storia del comune, in documenti privi di alcuna catalogazione, non consultabili, esposti all’umidità e alla polvere. L’istituzione dell’archivio storico comunale potrebbe essere un punto qualificante per la futura amministrazione municipale.

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Garibaldi fu ferito. I fatti d’Aspromonte nella ricostruzione di Vittorio Visalli

Vittorio Visalli, lo storico nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 15 ottobre 1859 e morto a Reggio Calabria il 27 giugno 1931, è conosciuto principalmente per le opere I calabresi nel Risorgimento italiano e Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848). Meno noto è invece il lavoro dedicato al ferimento di Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte, il 29 agosto 1862. Aspromonte, stampato per i “Tipi F. Nicastro” a Messina (1907), è un agile libretto di 74 pagine, suddiviso in nove capitoletti e un’appendice documentaria, che ripercorre il tentativo dell’Eroe dei Due Mondi di marciare su Roma per porre fine al potere temporale dei Papi e consegnare all’Italia la capitale naturale, interrotto tra i pini della località “Forestali” dalle truppe piemontesi del colonnello Emilio Pallavicini.
La particolare circostanza in cui il libro vide la luce induce al sospetto sulla sua reale diffusione e, di conseguenza, notorietà anche tra gli addetti ai lavori. “Una semplice e veritiera narrazione popolare del tentativo garibaldino su Roma” per “aiutare un’opera di alta beneficienza, la costruzione di un Sanatorio per tubercolosi” nel luogo del ferimento: così Visalli presenta il volume. Che non deve avere avuto molta fortuna, se non viene citato neppure dal massimo storico reggino, Gaetano Cingari, a differenza delle altre due pubblicazioni. A recuperare il volume dall’oblio ha però provveduto, nel 1995, l’editore Barbaro di Oppido Mamertina, che ne ha curato la ristampa anastatica. I piccoli editori sono perennemente con l’acqua alla gola, pronti a chiudere da un momento all’altro, né hanno la possibilità di sostenere un elevato battage pubblicitario. Più appassionati di storia e di storie che imprenditori, cercano l’equilibrio tra la quadratura dei conti e l’offerta di un prodotto apprezzabile. Nel caso di Aspromonte, è stata compiuta un’operazione di recupero del patrimonio culturale locale davvero encomiabile.
L’autore segue passo dopo passo Garibaldi e i suoi volontari nella sfortunata impresa, che inizia – è noto – con il consueto giallo all’italiana. C’era, come due anni prima (spedizione dei Mille), un tacito accordo tra il Generale e il governo piemontese? Di certo, nessuno dei protagonisti fece molto per fugare l’ambiguità. Visalli condanna senza appello la “pusillanimità” del presidente del consiglio Urbano Rattazzi, ma dà anche conto dei tentativi bonari di arrestare la marcia delle camicie rosse, portati avanti da deputati della Sinistra parlamentare, amici e commilitoni di Garibaldi (Nicola Fabrizi, Antonio Mordini, Salvatore Calvino, Giovanni Cadolini). Per la ricostruzione degli avvenimenti, lo storico eufemiese non solo si affida a diverse fonti (biografie e autobiografiche, orali, documentarie), ma le mette anche a confronto, operando un controllo incrociato necessario per distinguere l’agiografia e la retorica risorgimentale dalla verità storica. Viene così sconfessata la tesi di Alberto Mario sul presunto tradimento del sindaco di Melito, accusato ingiustamente di avere indotto Garibaldi a dirigersi sull’Aspromonte perché lì attendevano “patriotti in arme fremebondi e vettovaglia copiosa”. Un falso smentito peraltro dallo stesso Garibaldi, quando ammette di avere egli peccato di “irresoluzione”.
Francesco Guardione, Giulio Adamoli, Piero Mattigana, Giuseppe Guerzoni, Francesco Bideschini, Giacomo Durando, Jessie White Mario, Francesco Bertolini, Celestino Bianchi, Enrico Albanese, Salvatore Calvino, Giuseppe Romano Catania, Alberto Mario: testimoni che hanno tramandato nelle rispettive memorie l’epopea garibaldina (non solo i fatti d’Aspromonte), essendone stati protagonisti diretti. E poi lettere e documenti ufficiali, riportati in appendice, ma anche testimonianze orali, come quella di Francesco Melari, ufficiale medico garibaldino. Il libro si chiude con la caduta del gabinetto Rattazzi e l’amnistia concessa da Vittorio Emanuele II in occasione delle nozze tra la principessa Maria Pia e Luigi I di Braganza, re del Portogallo. Sullo sfondo, un Garibaldi eroe romantico, al quale va la simpatia dell’autore, che si sta ristabilendo dalla ferita e, seppure sconfitto, “riconsacra nel sangue” l’ineluttabilità e “la necessità di Roma italiana”.

Le spoglie di Visalli riposano al cimitero di Gioia Tauro. Sul marmo, l’epigrafe scritta dal fratello Luigi: “Qui fra i suoi riposa/ Vittorio Visalli/ figlio e nepote di Patriotti/ educatore degli educatori/ di varie generazioni/ che il glorioso passato/ di fede di azione e di martirio/ del popolo calabrese/ sottrasse a le ombre dell’oblio/ affidandolo a luce dei secoli MDCCCLIX–MCMXXXI”.

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Gli occhi dei bimbi

Chiara ha quattro anni, quasi cinque, e ha deciso di fare il mio ritratto. Guardando con attenzione si capisce che sono io, soprattutto dai capelli. E comunque si è impegnata tantissimo, bastava vedere come mi osservava attentamente prima di tracciare sul foglio i segni che riproducevano i miei lineamenti. Chi era presente, sicuramente più ferrato di me in tema di cartoni animati (ah, i vecchi e cari Supereroi!), dice che il ritratto somiglia più a SpongeBob. Non è vero, sono io. Non ci sono dubbi.

La mia cuginetta francese Eva, cinque o sei anni fa, ha immortalato l’attimo in cui il calcio diventa poesia. Per un “tocco” del genere, riprodotto fedelmente nel disegno realizzato in occasione del mio compleanno, fior di giocatori farebbero carte false.

Molti anni fa, un’altra bimba, che aveva più o meno l’età di Chiara, mi ritrasse invece con le sembianze del mio segno zodiacale e sul retro scrisse il mio nome. Chissà, magari un giorno le farò vedere il disegno che da dodici d’anni custodisco come un portafortuna, piegato dentro la carta d’identità, e lei ricorderà.

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La fotonotizia

Emergenza rifiuti, inceneritori, raccolta differenziata, Piana Ambiente, discariche, isole ecologiche, campane per la plastica e per il vetro, raccolta della carta, dell’alluminio, dei medicinali scaduti, delle pile esaurite e dei materiali ingombranti. A volere affrontare la questione dello smaltimento dei rifiuti, c’è soltanto da scegliere l’argomento dal quale cominciare. La cosa più sensata, invece, è partire da noi stessi, dall’avere noi “comunità” il dovere di rendere e mantenere pulito il paese. Allora diventa questione di educazione civica, un problema “nostro”. Se non facciamo nulla per facilitare il compito a chi gestisce la raccolta della spazzatura e siamo soltanto bravi a lamentarci perché il paese è sporco, come se noi non avessimo in questo alcuna responsabilità, “loro” diventano il comodo alibi per la nostra inciviltà. Se piazza Matteotti, tanto per fare un esempio, è un tappeto di cartacce e lattine nonostante sia disseminata di cestini, principalmente di chi è la colpa?
Dentro ai cassonetti si può trovare di tutto: materassi, biciclette, sedie, materiale ferroso, scatoloni più grandi del cassonetto stesso, che li riempiono completamente. I sacchetti dell’immondizia finiscono così fuori, dato che in pochi – tra l’altro – si prendono la briga di fare un giro per trovare quello meno pieno o fanno lo sforzo di aprire il lato posteriore, dove in genere rimane dello spazio anche quando davanti non entra più uno spillo. Cominciamo quindi con il seguire qualche utile accorgimento.

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Tredici anni dopo, la stessa sensazione di vuoto

Tredici anni fa se ne andava il più grande cantautore italiano, lasciando un senso di vuoto che il tempo non ha lenito. Un dolore dentro al petto, come quelli che proprio Fabrizio De André aveva sempre cantato, regalandoci ritratti umanissimi di personaggi derelitti, abbandonati ai margini della società, sui quali posava il suo sguardo sensibile e comprensivo, rendendoli visibili a tutti. Uno sguardo che non voleva certo esprimere un giudizio, visto che è sempre difficile stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato. Ladri, prostitute, travestiti, drogati, assassini, umanità pescata nei bassifondi, che “viaggia in direzione ostinata e contraria” tra il piscio e il vomito dei suburbi, ai quali va però riconosciuto – con maggiore forza rispetto a chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in un contesto migliore – il diritto a cercare di “consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”.
Considerare Faber un cantautore è riduttivo. I suoi testi sono ormai nelle antologie di letteratura e anche se non amava essere definito un “intellettuale”, è stato un influentissimo maître a penser, per generazioni di musicisti e non solo. Certificato dal fatto che c’è un “prima” e un “dopo” De André. Basta confrontare i suoi testi con quelli dei suoi colleghi contemporanei. Mentre quelli erano ancora fermi, più o meno, alla rima “cuore/amore”, il cantautore genovese aveva già raccontato il suicidio in carcere di Miché, assassino per amore, e aveva pubblicato quel gancio allo stomaco che è, ancora oggi, l’album Tutti morimmo a stento.
Mi sono spesso chiesto cosa avrebbe detto oggi De André. E come l’avrebbe detto. Perché la sua discografia è studio e ricerca continua, non si accomoda mai sulla poltrona per godersi il successo, ma va sempre alla ricerca del nuovo, nei contenuti e nello stile. Echi di culture che Faber raccoglie e rimodella. Georges Brassens, la contestazione, i Vangeli apocrifi, Edgar Lee Masters, le collaborazioni con Giuseppe Bentivoglio, Francesco De Gregori, Massimo Bubola, la Premiata Forneria Marconi, Ivano Fossati. Una ricerca che raggiunge la sua summa in Crêuza de mä, un capolavoro che, in sette tracce, racchiude tutta la cultura e le sonorità del Mediterraneo.
Fare una graduatoria tra le sue canzoni sarebbe blasfemo. Ci sono giorni in cui La domenica delle salme è un martello in testa, altri in cui ci lasciamo abbracciare dalla malinconia di Se ti tagliassero a pezzetti. Oggi non possiamo che respirare la nostalgia di Amico fragile, nella versione realizzata dal vivo con la PFM. Gli arrangiamenti della band di Franz Di Cioccio, in particolare la chitarra di Franco Mussida, fanno venire la pelle d’oca. Buon ascolto.

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Con o senza referendum, il Porcellum andrà in soffitta

Riunita in camera di consiglio dalle 9.30 di oggi, al massimo entro domani la Corte costituzionale emetterà il responso sull’ammissibilità dei quesiti referendari. Rispetto a settembre, quando si concluse la raccolta delle firme, viviamo in un’altra era geologica. A Palazzo Chigi, non c’è più Berlusconi e, sospinto dalla crisi economica e da Napolitano, vi alloggia ora Mario Monti, coadiuvato da un governo di tecnici. Barzellette non ne racconta più nessuno, anche perché pochi hanno ancora la forza per ridere, dopo la manovra lacrime e sangue impostaci dall’Europa e dai mercati finanziari. Le alleanze politiche sono saltate, creando un rimescolamento delle forze in campo, con Pdl, Pd e Terzo polo a sostegno, più o meno convintamente, del governo, e Lega e Idv all’opposizione.
Inutile girarci attorno. La riforma della legge elettorale non è mai stato il primo pensiero per i partiti che compongono l’attuale maggioranza. Certo, fiutata la possibilità di utilizzare il referendum come un grimaldello per scardinare il bunker berlusconiano e per dare l’ennesima spallata al traballante governo uscito dalle urne nel 2008, alla fine Bersani e il Pd si sono accodati, dando anche un contributo rilevante nella raccolta delle firme, con i banchetti ospitati alle feste dell’Unità. Ma non è un mistero la simpatia, anche tra i maggiorenti democratici, per una legge elettorale che consente la nomina in Parlamento di rappresentanti docili e riconoscenti per la grazia ricevuta.
Da giorni, giornalisti e politici avanzano ipotesi sui possibili scenari. Alcuni pronosticano una bocciatura “politica”, che consentirebbe di andare al voto con l’attuale legge se improvvisamente dovesse cadere il governo. Ma anche, da un’altra prospettiva, per dare al Parlamento il tempo di mettere mano alla materia elettorale con calma se, nonostante le fibrillazioni, Monti dovesse durare fino al 2013. Ha ragione Di Pietro quando avverte che “qualcuno tenta di buttare in politica una valutazione che deve essere solo tecnica e di costituzionalità”. Ma la Corte costituzionale può assumere una decisione “politica” senza compromettere il funzionamento stesso della nostra democrazia?
Il parere positivo dei giudici costituzionali aprirebbe la strada alla consultazione referendaria e l’eventuale abrogazione del Porcellum, comportando il ritorno in vigore del Mattarelum – sistema elettorale non particolarmente gradito dalle forze politiche – costringerebbe il Parlamento ad approvare al più presto una nuova legge. Se la Consulta dovesse invece bocciare i quesiti, rimarrebbe tutto com’è. Le firme raccolte (un milione e duecentomila) sono però un segnale che i partiti non possono ignorare. Ammissibilità o meno, l’attuale legge andrà cambiata e i partiti saranno costretti al confronto parlamentare, anche se non sarà semplice raggiungere una sintesi. Il Pdl punta a non stravolgere l’attuale sistema elettorale e a preservare il bipolarismo. Il Pd preferirebbe l’uninominale a doppio turno, soluzione invisa a Pdl e centristi. Un compromesso si potrebbe ottenere con il sistema elettorale tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento) o una sua variante, ma indipendentemente dal sistema che si sceglierà, sarebbe intollerabile non riconoscere ai cittadini la facoltà di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento.

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Non c’è due senza tre

“Alla vostra destra, per la trecentocinquantesima volta, potete ammirare la Sagrada Familia”! Appena ho saputo che Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea avrebbero nuovamente fatto tappa a Sant’Eufemia, mi sono tornate in mente le parole di Tonino, il mio compagno di liceo più simpatico, perennemente in ritardo – minimo un quarto d’ora tutte le mattine – e dedito ai passatempi più incredibili durante le ore di lezione. Su tutti, l’incisione artistica del banco con il coltellino. Si era alla gita del quinto liceo e dopo un viaggio epico in treno fino a Genova e in autobus fino a Lloret de Mar, dove alloggiavamo, ci toccò visitare Barcellona. Purtroppo per noi, Jim Morrison (l’autista del pullman, che indossava una giacca in pelle nera molto Doors) si incartò nel traffico della capitale della Catalogna e, per quasi un’ora, ci fece girare attorno alla basilica ideata da Gaudì, prima di riuscire ad imboccare una via d’uscita.
Sì, lo so che Cavallaro e Papandrea sono il fenomeno musicale calabrese degli ultimi due anni. Citula d’argentu mi piace pure. Ma tre volte in sei mesi è troppo. E pensare che quando furono portati ad agosto, in occasione della sagra della patata, più d’uno all’interno dell’amministrazione comunale arricciò il naso e commentò che non sarebbe andato nessuno a vederli. Ma nella vita c’è sempre tempo per rivedere le proprie opinioni, anche se quelli disposti ad ammettere un errore di valutazione sono merce rara. In genere, prevale la sindrome di Fonzie, che non riusciva mai a pronunciare per intero la frase “mi sono sbagliato”. Un mese dopo, a grande richiesta, tornarono per festeggiare la patrona del paese. Ieri, hanno chiuso le festività natalizie. Al solito, si passa da un eccesso all’altro.
Tornando al Natale, bisogna ammettere che si è festeggiato poco. Anche perché non c’era granché da fare baldoria, visti i tempi. Il cartellone delle iniziative è stato comunque abbastanza nutrito. L’inaugurazione della sezione locale dell’Avis, intitolata al medico Pasquale Gioffrè; il concerto natalizio del coro parrocchiale polifonico “Cosma Passalacqua”; l’interpretazione di poesie e canzoni sulla natività, a cura dell’associazione Terzo Millennio; la Tombolata organizzata dall’Agape; il Premio Sant’Omobono, a cura dell’associazione dei sarti; la Giornata della Famiglia (Comitato feste); la partita di calcio tra il Sant’Eufemia e la squadra dell’oratorio parrocchiale “Don Bosco”; l’esibizione del gruppo folcloristico locale presso la Rsa “Antonino Messina”; la visita ai presepi di Tropea e alla chiesetta di Piedigrotta (Pizzo) per gli anziani (amministrazione comunale e Agape).
Mancava la ciliegina sulla torta, per chiudere col botto. In una serata spartiacque tra la tournée del 2011 e quella del 2012. Una sorta di dylaniano Never Ending Tour in salsa taranta. Per cui, non è detto che sia finita qua. Potrebbero tornare per Carnevale, poi per festeggiare l’inizio della primavera, a Pasqua e così via. Anche se sarebbe preferibile che gli artisti “girassero”, come disse l’ex premier riferendosi ad altri generi di intrattenimento.

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La “morte” di Fidel su Twitter

Il meccanismo è sempre lo stesso. Al tempo di Twitter, l’informazione viaggia alla velocità di un cinguettio. Quello che serve per dare fiato ad una bufala e farla correre il più veloce possibile. Tweet. Retweet. E il gioco è fatto. Cambio di consonante e una notizia, invece di essere propagata, viene propalata. È toccato a Fidel Castro. Per la seconda volta in sei mesi. Evidentemente, al popolo di Twitter il “Lìder Maxìmo” sta poco simpatico. Tanto che, svelata la fandonia, i giornali di lingua spagnola hanno prontamente titolato: “Twitter mata a Fidel” (“Twitter uccide Fidel”). Tutto è iniziato con un messaggio apparso a notte fonda: “Attenzione, Cuba Press ha verificato la morte di Fidel Castro. Stasera la comunicazione ufficiale dal governo del Paese”. Ripresa e rilanciata dagli utenti del social network, in breve tempo la notizia è balzata in testa ai TT (trending topics, gli argomenti più discussi): commenti degli utenti, richieste di conferme, dubbi dei giornalisti di mezzo mondo, sublimati dall’amara considerazione della popolarissima blogger cubana Yoani Sanchez: “Amici, il giorno che questo rumor sarà verità, noi cubani saremo gli ultimi a saperlo”.
Dal 2006, da quando Castro è scomparso dalla scena pubblica, escluse le brevi apparizioni ad uso propagandistico per smentire le voci sulla gravità delle sue condizioni di salute, l’attesa per l’epilogo della vicenda umana si intreccia con l’incertezza per cosa ne sarà di Cuba. I regimi hanno sempre la faccia del dittatore che li guida. Volitiva nella fase di massimo splendore, incartapecorita quando la parabola scende inesorabilmente. Caso scolastico, la gerontocrazia del Pcus nella fase terminale dell’esperienza storica sovietica, mummificata come il corpo di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa e rappresentata plasticamente dai volti dell’ultimo Breznev, di Andropov e Cernenko, superstiti travolti dalla perestrojka gorbacioviana. Nonostante il passaggio del testimone al fratello Raul (un ottantenne, non un giovanotto di primo pelo), è altamente probabile uno scenario già visto altrove. Una caduta rovinosa che trascinerà giù tutto, persone e impianto dello Stato. E se i sostenitori di Fidel temono che l’isola caraibica possa diventare nuovamente il “bordello” degli Stati Uniti, è pur vero che la fine di un’epoca può innescare processi imprevedibili e incontrollabili.
Per i regimi, la rete è un nemico in più. I new media stanno mettendo a dura prova pratiche sedimentate, rivoluzionando il sistema di reperimento e diffusione delle notizie. Alcuni accorgimenti sono però ineludibili. Pur di primeggiare, c’è chi non si fa scrupoli se deve saltare il fondamentale passaggio della verifica. Ed è un gioco da ragazzi mettere in circolo una panzana, per vedere l’effetto che fa, per gioco o tendenziosamente. Si riapre così, periodicamente, il dibattito sull’informazione al tempo dei social network, alimentato dalle considerazioni che la divulgazione di una falsa notizia inevitabilmente suggerisce. Come nel caso della “morte” di Castro, preceduta – nei giorni scorsi – dalla bufala sul ricovero in ospedale di Nelson Mandela e dal “decesso” di Paolo Villaggio. Social media e citizen journalism sono realtà imprescindibili per chi fa informazione. Non possono però godere di alcuna franchigia deontologica. Chi non verifica una notizia prima di lanciarla (o rilanciarla), che lo faccia sulla carta stampata o che lo faccia sul web, nella migliore delle ipotesi è un incompetente, nella peggiore un farabutto.

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Il 2011 dalla A alla Z

A – AZZARÀÈ durata quattro mesi la prigionia di Francesco Azzarà, logista presso un centro pediatrico aperto da Emergency a Nyala, nel Darfur meridionale. In mano a una banda di sequestratori sudanesi dal 14 agosto, il cooperante di Motta San Giovanni (RC) è stato rilasciato il 16 dicembre, dopo che il suo rapimento aveva provocato una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica.
B – BIN LADEN. Nel decennale dell’attacco qaedista alle Torri Gemelle, lo “sceicco del terrore” viene scovato ed eliminato in un nascondiglio ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio. Il corpo di Bin Laden viene poi gettato in mare. L’immagine che passerà alla storia ritrae il presidente Obama, il vice Biden, Hillary Clinton, il capo del Pentagono e lo staff presidenziale mentre seguono in diretta il blitz dei Navy Seals dalla Situation Room della Casa Bianca.
C – CATASTROFI NATURALI. L’Italia frana e ogni temporale diventa un’emergenza ambientale. Anche il 2011 piange parecchie vittime (5 nelle Marche e in Romagna, 12 nello spezzino e in Lunigiana, 6 a Genova e 3 nel messinese) e conta danni per milioni e milioni di euro. La devastazione ambientale e l’incuria dell’uomo sono il migliore alleato della natura, che ogni tanto si ribella e lascia dietro di se soltanto fango e morte.
D – DSK. Annus horribilis per il direttore generale del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, passato dall’altare della possibile sfida a Sarkozy per la conquista dell’Eliseo al carcere, accusato di tentata violenza sessuale ai danni della cameriera di un hotel di New York. Accuse rivelatesi infondate, che hanno alimentato le voci di un complotto politico. Prosciolto negli Usa, DSK è stato successivamente accusato di molestie in Francia.
E – EURO. Lo strappo di Londra, il tandem Francia/Germania, le due velocità dell’Europa, zavorrata dal peso del debito dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) e dalla sofferenza dei conti italiani. La crisi del debito “sovrano” in Grecia è stata la spia della difficoltà dell’eurozona. Il rischio è che sulla moneta unica si scateni la resa dei conti: “salvare l’Euro o salvare l’Europa?”. Senza unione politica, il destino dell’euro sembra segnato.
F – FUKUSHIMA. Il numero delle vittime provocate dal terremoto (8.9 scala Richter) e dallo tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo è incerto (circa 30.000), ma la tragedia della centrale nucleare di Fukushima avrà conseguenze sull’ecosistema dell’intero pianeta per i prossimi decenni. Radiazioni, contaminazione dell’aria e del sottosuolo: il disastro ecologico ha indotto la Germania ad abbandonare l’energia atomica; in Italia, un referendum ha chiuso la porta al nucleare.
G – GURU. “Stay hungry, stay foolish” (Siate affamati, siate folli), il monito lanciato da Steve Jobs ad una platea di neolaureati quando già il male lo stava divorando. Vinto dal cancro il 5 ottobre, il cofondatore di Apple e ideatore di prodotti tecnologici innovativi come l’iPhone e l’iPad è diventato un’icona, un “genio creativo e visionario” paragonato a straordinarie personalità del passato (Leonardo, Newton, Einstein) per la capacità di incidere sul corso della storia.
H – HASHTAG. Il 2011 è stato l’anno di Twitter. Dalla Primavera araba alla crisi di governo italiano, alle manifestazioni degli Indignati, non c’è stato avvenimento che non sia stato raccontato da protagonisti e testimoni comuni armati di smartphone. Simbolo di questo nuovo modo di raccontare la cronaca è l’hashtag (#), l’etichetta che raccoglie i tweet su un determinato tema. #yearinhashtag, ideato da Claudia Vago, Luca Alagna, Marina Petrillo, Maximiliano Bianchi e Mehdi Tekaya sintetizza dodici mesi di notizie “da un punto di vista particolare: la Rete e i suoi utilizzatori”.
I – IRAQ. Otto anni e 4.474 morti dopo gli Usa lasciano l’Iraq. Per le vittime irachene il bilancio è incerto: almeno 100.000 tra militari e civili, “effetti collaterali” dei bombardamenti di villaggi sospettati di nascondere truppe fedeli al regime di Saddam. Delle cause portate a pretesto per scatenare la guerra (appoggio ad Al-Qaeda e programma di armamenti di distruzione di massa) nessuna si è rivelata fondata. L’eliminazione di Saddam non ha pacificato l’Iraq e il ritiro dell’esercito Usa lascia un grosso punto di domanda sul futuro di Baghdad.
L – LACRIME. Quelle di Elsa Fornero, ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Monti, durante la presentazione della manovra economica “lacrime e sangue” (tanto per restare in tema). Ma soprattutto le nostre, se tagli al welfare, tasse e aumenti vari non saranno compensati da misure per la crescita. Ora come ora, l’impressione è che a pagare saranno i soliti, mentre altri soliti la faranno franca, visto che rendita, patrimoni e privilegi sono stati appena scalfiti. Non ci resta (davvero) che piangere.
M – MONTI. Anche se un suo ministro piange, il professore rimane impassibile, tanto da continuare ad illustrare i contenuti della riforma previdenziale e, bando alla ciance, “correggimi; commuoviti ma correggimi”. Invocato come il salvatore della patria per porre un argine ai disastri del governo Berlusconi, con Monti l’Italia sta lentamente riguadagnando la credibilità che scandali, “cene eleganti” e altre amenità del genere avevano affossato. Il Paese però appare sfiduciato e depresso. Il 2012 sarà un anno di ulteriori sacrifici.
N – NIPOTE DI MUBARAK. È stata la bufala dell’anno, ma l’Italia è un Paese talmente bizzarro che ha ricevuto l’avallo istituzionale. Ruby “rubacuori”, amichetta del premier finita in Questura per un litigio con una prostituta brasiliana, è la nipote marocchina dell’ex leader egiziano Mubarak. L’ha stabilito la Camera dei deputati votando la richiesta di sollevare davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dell’autorità giudiziaria per spostare il processo “Ruby” dal Tribunale di Milano al Tribunale dei ministri. La degna chiusura del ciclo berlusconiano.
O – OCCUPY WALL STREET. Per il magazine statunitense “Time” è il contestatore la “persona dell’anno 2011”. Dagli Indignados in Spagna, scesi in piazza a maggio per manifestare contro le misure economiche del governo Zapatero, a Piazza Tahrir, dove sboccia la primavera araba, a Zuccotti Park, luogo simbolo della protesta nel cuore di Manhattan sgomberato a metà novembre, dopo due mesi di occupazione, è un susseguirsi di manifestazioni culminate con la giornata mondiale dell’indignazione, il 15 ottobre.
P – PRIMAVERA ARABA. È appena iniziato l’anno quando muore Mohamed Bouazizi, laureato disoccupato e venditore ambulante abusivo che a dicembre si era dato fuoco in segno di protesta per le condizioni di miseria in cui vive gran parte della Tunisia. Inizia la “primavera araba”: migliaia di giovani si riversano in piazza e costringono il presidente Ben Alì alla fuga. La rivolta contagia il Nord Africa. Piazza Tahrir, al Cairo, diventa l’epicentro della rivolta egiziana, che costringe Mubarak a passare la mano ai militari. Quindi è la volta della Libia, che si solleva contro Gheddafi e, grazie al sostegno decisivo dell’Occidente, pone fine alla dittatura ultraquarantennale del rais.
Q – QUATTRO SÌDopo 24 quesiti affossati consecutivamente a partire dal 1995, il 12-13 giugno è stato raggiunto il quorum necessario per rendere valida la consultazione referendaria. Le urne hanno detto che gli italiani sono contrari al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua. Ma hanno anche bocciato Berlusconi, già bastonato nelle amministrative di maggio, cancellando la legge sul “legittimo impedimento”, una delle tante leggi ad personam licenziata dal Parlamento dei “nominati”.
R – ROYAL WEDDING. Il “matrimonio reale” tra William e Kate è stato l’evento mediatico dell’anno. Seguito in diretta televisiva e sul web da oltre due miliardi di spettatori in tutto il mondo, il “sì” pronunciato nell’abbazia di Westminster ha riconciliato la monarchia Windsor con il popolo inglese, che non aveva mai completamente elaborato il lutto per la perdita di Lady D. La favola moderna della giovane coppia reale ha tutti gli ingredienti per soddisfare la richiesta di sogno presente, in tutti i tempi e ad ogni latitudine, presso l’opinione pubblica.
S – SPREAD. Non avremmo mai sospettato che il nostro primo pensiero, una volta svegli, potesse essere rivolto allo spread. Ormai il nostro umore sale e scende in maniera inversamente proporzionale all’andamento della differenza di rendimento tra i Bund tedeschi e i Btp italiani. Superata quota 500, chiamiamo il 118. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana lo spread ha fatto cadere un governo e ne ha issato un altro. È il primato dell’economia sulla politica.
T – TELEVISIONE. Non siamo ancora al superamento del duopolio Rai-Mediaset, ma segnali di novità importanti arrivano dall’ascesa di La7, trascinata dall’effetto Chicco Mentana e da una politica semplice, favorita dallo smantellamento dell’azienda di viale Mazzini. La Rai si lascia scappare i pezzi pregiati e mantiene fino alla caduta di Berlusconi Minzolini, autore del “più brutto telegiornale della storia” (Aldo Grasso). A parte le quattro puntate di Fiorello, c’è poco da salvare. Interessante l’esperimento di Santoro, in onda su una “multipiattaforma” (emittenti locali, Sky, siti internet e radio).
U – UNITÀ D’ITALIA. Il 150° anniversario è stata un’occasione persa, scivolato nella retorica delle ragioni unitarie e identitarie, da un lato, e nella strumentalizzazione di un revisionismo politico prima che storiografico, dall’altro. Affidata alla penna di giornalisti polemisti più che al rigore scientifico degli storici, la ricostruzione del Risorgimento italiano si è per lo più trasformato in una “controstoria” buona soltanto per i rutti leghisti e per le parate in costume dei neoborbonici.
V – VASTO. Non sappiamo se qualcuno, contraddicendo la raccomandazione di Nichi Vendola, abbia strappato la foto di Vasto, che ritraeva sorridenti il leader di Sel, quello di Idv Antonio Di Pietro e il segretario del Pd Pierluigi Bersani, proiettati verso un’alleanza elettorale e di governo per il dopo-Berlusconi. La costituzione del governo Monti ha rimescolato le carte. Soprattutto l’approvazione della manovra economica ha raffreddato i rapporti tra chi l’ha votata (Pd), chi ha negato la fiducia (Idv) e chi, non avendo rappresentanti in Parlamento, si è ritrovato nel mezzo (strattonato ora dall’uno, ora dall’altro). Le sirene del Terzo polo potrebbero dare il colpo definitivo alle speranze di unità a sinistra.
Z –ZAPATERO. Che sia un periodaccio per la sinistra, anche a livello internazionale, lo conferma la parabola del premier spagnolo Zapatero, travolto dopo sette anni di governo dalla crisi economica: 5 milioni di disoccupati, rischio default e Indignados nelle piazze. Il leader del Psoe ha almeno salvato la faccia, dimettendosi prima della scadenza naturale del mandato e affidando il destino della Spagna ad elezioni anticipate, stravinte dal candidato del partito popolare Mariano Rajoy. Si chiude così una stagione di importanti conquiste in materia di diritti civili (la più nota, la legislazione sulle coppie omosessuali), guardata con interesse dalle sinistre di tutto il mondo.

Pubblicato il 31 dicembre 2011 su http://www.scirocconews.it/index.php/2011/12/31/lalfabeto-del-2011-dalla-a-alla-z/

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