Rosario Lalà

La storia di Sant’Eufemia è fatta da tantissimi personaggi anonimi, gente poverissima e affamata che a fatica, negli anni della grande miseria, riusciva a racimolare tutti i giorni un misero boccone. Tra le due guerre e nei primi anni del secondo dopoguerra non era inusuale che nelle numerosissime famiglie del tempo si saltasse più di un pasto, o che questo si riducesse a un po’ di pane accompagnato da qualche oliva. Molto triste era poi la condizione di chi viveva da solo e non svolgeva nessun mestiere. A questi poveracci non restava che affidarsi alla carità altrui. Potrebbe sembrare paradossale, ma non lo è: in una condizione di indigenza generale, slanci di umanità alleviavano la fatica del vivere di questi sfortunati. Si divideva il poco che si aveva.
Lalà (al secolo, Rosario Sabino) era “un innocuo vagabondo”. Così lo definisce Nino Zucco nell’omonimo racconto (Fuoco a Diambra, Bonacci Editore, Roma 1956). Un randagio senza parenti e senza un tetto, che dormiva sopra un giaciglio di “mattoni e pietre con calcinacci” in una vecchia casa terremotata. Indossava vestiti laceri, spesso sacchi rattoppati, i baffi sporchi e la barba ispida. Era letteralmente “a brandelli” e aveva i piedi spaccati dal gelo: «Sembrava che nei talloni gli avessero dato dei colpi d’accetta».
Raccoglieva per terra i mozziconi di sigaretta per alimentare la sua pipa e “si nutriva con il piatto della carità umana”, oppure con la frutta che rubava negli orti. Quando poi la fame diventava troppa, non disdegnava le galline morte “con il morbo”, che arrostiva nella forgia di mastro Rocco il maniscalco.
Il suo era per lo più un parlare senza senso: «Non sapeva fare altro che ridere e dire parole sconnesse». Il massimo del suo divertimento era attendere alla fermata della corriera l’arrivo delle bagnarote “cariche di mercanzie, che vendevano o barattavano con olio e ortaggi”: le seguiva attendendo il momento propizio per sollevare le loro vesti esclamando: «Bella Madonna!», ma spesso finiva inseguito e picchiato dalle possenti donne del mare.
Le buscava spesso Lalà. Era infatti il bersaglio preferito dei ragazzi del paese, che lo prendevano a colpi di pietra per strada oppure si introducevano di notte nel suo nascondiglio, per svegliarlo di soprassalto. Quegli stessi ragazzi che però si presero cura di lui quando si beccò la polmonite: «Rantolava rincantucciato in un angolo umido e fetido», eppure «voleva vicino i suoi ragazzi, e ad essi chiedeva un po’ di cibo e un po’ di vino, soprattutto vino».
Quella volta si salvò, ma una seconda polmonite gli fu fatale. Finiva così la vita di Lalà, il cui corpo, benedetto dal parroco (“che ebbe sempre pietà di lui”), fu portato via dagli spazzini.

A Lalà, tipico “personaggio” di paese, dedicò un suo componimento il poeta eufemiese Domenico Cutrì:

Parivi scemu, ma scemu non eri,
armenu a modu toi, tu ragiunavi,
si ’ncunu ti parrava l’ascurtavi
’mpocu sedutu e ’mpocu standu ’mperi.
Cu eri? Chi facivi? Chi speravi?
La to testa paria senza penseri,
non avivi famigghia, né mugghieri,
ridivi sempri e sempri caminavi.
Tenivi stritta ’nmanu na cortara
di crita, vecchia, rutta e nigru e lordu
tu eri sempri di ’n testa a li peri.
Na cosa avivi bona, lu ricordu,
ca ringraziavi tantu volenteri
cu ti stindiva ndi la manu ’n sordu!

*La fotografia è tratta dal libro di Domenico Cutrì, Cascami. Poesie dialettali, Tipografia La Cartografica, Palermo 1965, p. 90 (a pagina 91, la poesia).

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Muti, Cilea e un po’ di Sant’Eufemia sconosciuta

Le immagini della visita di Riccardo Muti al mausoleo di Francesco Cilea, a Palmi, hanno riportato alla mia mente una curiosità storica della quale forse non tutti sono a conoscenza. L’autore di Adriana Lecouvreur nacque infatti a Palmi il 23 luglio 1866, figlio dell’avvocato Giuseppe e di donna Felicia Grillo. Nelle sue vene scorreva però una parte di sangue eufemiese: quello della nonna Rachele Parisi, figlia di Francesco e Marianna Capoferro, la quale a 23 anni, il 2 giugno 1822, aveva sposato il ventottenne Francesco Cilea, medico originario di Pentidattilo. L’atto di matrimonio, redatto dall’allora sindaco di Sant’Eufemia Antonino Luppino, è conservato nel “Registro dei matrimoni” (anno 1822), presso l’Ufficio Anagrafe e Stato civile.

Un altro filo rosso che lega Cilea alle pendici dell’Aspromonte ci porta invece dritti a Nino Zucco: pittore, scrittore e scultore originario di Sant’Eufemia sulla cui opera l’8 aprile 2013 l’amministrazione comunale ha organizzato un convegno, grazie all’input arrivato da una serie di articoli e interventi che su questo blog avevano denunciato l’oblio ingiustamente calato su uno degli eufemiesi più illustri del Novecento.

Zucco fu infatti spesso ospite della casa del compositore palmese, sia a Roma che a Varazze, in provincia di Savona, dove Cilea trascorse gli ultimi anni di vita. È opera di Zucco il celebre quadro che ritrae il Maestro seduto al pianoforte. Così come il disegno a carboncino che ne riproduce il volto sofferente, a pochi giorni dalla morte.

Fu proprio grazie all’opera di convincimento di Zucco che la moglie di Cilea, inizialmente contraria, acconsentì di rilevare il calco del viso del marito per realizzarne la maschera funeraria.

A trent’anni dalla morte (1981), Zucco diede alle stampe il ricordo e il carteggio attestanti il rapporto “di profonda devozione da parte mia e di benevolenza e affettuosa amicizia da parte del maestro per me che durò fino alla sua morte” (Francesco Cilea. Ricordi e confidenze, Barbaro editore). Un’amicizia iniziata negli anni Quaranta, quando Cilea volle conoscere personalmente l’autore dell’articolo a lui dedicato dal quotidiano newyorkese in lingua italiana “Il Progresso Italo-Americano” del potentissimo Generoso Pope, sul quale a lungo scrisse anche il giornalista e critico musicale Nino Fedele, un altro eufemiese illustre.

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Zucco scrittore e il suo tempo

Testo del mio intervento al convegno “Nino Zucco: pittore, scultore, scrittore, cantore della memoria eufemiese”, svoltosi l’8 aprile presso la Sala del consiglio comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte.

Qualche mese fa avevo sollevato la questione dell’oblio ingiustamente caduto su Nino Zucco (Nessuno è profeta in patria: Nino Zucco), proprio mentre nella vicina Palmi l’artista eufemiese veniva celebrato con i dovuti onori. Non ho difficoltà ad ammettere che fino a non molti anni fa ignoravo l’esistenza di questo artista poliedrico: pittore, scultore e scrittore, come recita il titolo del convegno. Nessuno me ne aveva parlato e reperire i suoi libri è un’impresa non da poco. Nella biblioteca comunale di Sant’Eufemia se ne trova soltanto uno; per gli altri, occorre rivolgersi altrove: Palmi, Polistena, Reggio Calabria.

Il mio primo “incontro” con Nino Zucco è avvenuto sulle colonne di un quotidiano locale, grazie alla lettura di un articolo che segnalava l’organizzazione del convegno “Nel centenario della nascita: Nino Zucco, una vita per l’arte” (2010), a cura dell’associazione culturale “Le Muse” di Reggio Calabria, presieduta dal professore e critico d’arte Giuseppe Livoti. Risale invece a qualche mese fa la notizia che il figlio, Antonello, aveva consegnato all’amministrazione comunale di Palmi una ventina di opere del padre (taccuini, oggetti personali, acquarelli, grafiche, sculture).

A Sant’Eufemia, prima di oggi, il silenzio più assoluto. Riflettendo su questo, consideravo quanto fosse triste constatare come il paese d’origine di una personalità così significativa nel panorama culturale nazionale non avesse mai pensato di perpetuarne in qualche modo il ricordo. Anche soltanto procurando i libri scritti da Zucco, per custodirli presso la biblioteca comunale e metterli a disposizione della collettività. L’articolo registrò le immediate repliche di Antonello Zucco e di monsignore Giorgio Costantino (nipote dell’artista eufemiese), alle quali fece seguito l’azione dell’amministrazione comunale, che ha tempestivamente accettato la donazione di sette opere d’arte proposta da Antonello Zucco e che, in breve tempo, ha organizzato il convegno odierno.

Molto è stato detto sul valore artistico di Zucco pittore e scultore. Meno note, invece, sono le sue qualità letterarie, anch’esse di livello e apprezzate da fior di critici.

I suoi racconti, in genere ispirati dai luoghi della memoria (Diambra, Mistra, Muraglio), possono essere accostati ad alcuni bozzetti di Giovanni Verga o di Luigi Capuana, i maestri del verismo italiano. Già a una prima lettura appare evidente un tratto inconfondibile, che svela l’influenza esercitata dall’arte pittorica sullo stile narrativo. La parola si fa pennello; così come la tela diventa un foglio bianco sul quale scrivere storie vissute o ascoltate. Nino Zucco è questo: uno scrittore che dipinge e un pittore che racconta.
Il suo primo libro è Fuoco a Diambra (1956), raccolta di racconti con protagonisti alcuni “personaggi” del paese natio. Il titolo rievoca uno dei tanti incendi verificatisi nella storia di Sant’Eufemia e fornisce all’autore lo spunto per soffermarsi sulla storica rivalità tra gli abitanti del “Vecchio Abitato” e quelli della “Pezzagrande”. Una vicenda che rimanda a quanto accaduto dopo il terremoto del 1908, quando – al termine di una polemica molto aspra – fu deciso di ricostruire il paese nel nuovo rione della “Pezzagrande”, mantenendo però anche il precedente sito (da allora, “Paese Vecchio” o “Vecchio Abitato”), che la fazione più “tradizionalista” si rifiutava di abbandonare.

Il volume è impreziosito dall’autorevole recensione di Arrigo Benedetti, noto giornalista che si era formato alla scuola di Leo Longanesi, sulle pagine della rivista “Omnibus”. Proprio insieme a Longanesi e a Mario Pannunzio, altro nome di primo piano del giornalismo italiano, Benedetti aveva firmato, su “Il Messaggero” del 26-27 luglio 1943, l’editoriale che annunciava la fine del Ventennio fascista, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno “Grandi” e l’incarico per la formazione del nuovo governo affidato da Vittorio Emanuele III al generale Pietro Badoglio. Fondatore e direttore di alcune tra le riviste italiane di maggiore successo (“Oggi”, “L’Europeo”, “L’Espresso”), Benedetti diresse inoltre “Il Mondo” e “Paese Sera”.

A proposito di Fuoco a Diambra, Benedetti scrive:

In questi racconti, tutti pervasi da una calda umanità, l’Autore, da acuto osservatore, delinea aspetti della vita del nostro tempo. Sia che rappresenti con crudo realismo personaggi della sua Calabria, sia che, portato a scrutare in profondità gli aspetti deteriori della società, ne scopra il volto più ignorato, egli raggiunge, attraverso una felice creazione di caratteri, un’efficacia descrittiva che fa dei suoi racconti un tipico e genuino esempio di narrativa moderna.
Lo stile dei RACCONTI DI DIAMBRA, scarno e privo di inutili orpelli, non sconfina mai – come forse gli argomenti trattati potrebbero suggerire – nella facile retorica, ma si mantiene costantemente su un tono elevato che contribuisce a mantenere desto l’interesse del lettore
.

Nel 1977 Zucco dà alle stampe I racconti di Mistra, volume che ebbe una vicenda editoriale singolare. Nello stesso anno vede infatti la luce Viaggio all’alba (sottotitolo: I racconti di Mistra), che contiene gli stessi racconti, con identiche impaginazione e numerazione delle pagine. Di fatto, lo stesso libro, pubblicato nel medesimo anno, con una copertina diversa (il dipinto dell’autore dal titolo “Tramonto”). Altra differenza, la presenza, nel risvolto di copertina, di un precedente giudizio critico dello scultore Michele Guerrisi (deceduto nel 1963), la cui bottega romana Zucco frequentò e con il quale ebbe un rapporto di profonda amicizia. Proprio al 1977 risale il lungo articolo scritto da Zucco per la rivista reggina “La Procellaria”: Michele Guerrisi: scrittore, scultore, filosofo.
Il suggestivo toponimo “Mistra” trae origine dall’omonima città del Peloponneso, dalla quale provenivano i fondatori di Sant’Eufemia, greci al seguito dei monaci basiliani che intorno al IX secolo emigrarono per sfuggire alle persecuzioni degli imperatori iconoclasti. Una delle strade più antiche di Sant’Eufemia è appunto “via Mistra”; pertanto, si legge “Mistra” (come, altrove, “Diambra” o “Muraglio”), ma deve intendersi “Sant’Eufemia”. L’autore, introducendo i racconti, osserva:

Mistra pare abbia mille anni di vita: lo si desume da alcuni atti custoditi nell’Archivio di Stato di Napoli. Mistra è un nome greco. Si vuole che i primi ad arrivare lassù e a fondare il borgo siano stati i basiliani, gli stessi monaci che pare abbiano piantato i grandi boschi di uliveti che dalle falde dell’Aspromonte degradano per colline e piani fino al mare di Medma e Locri. Mistra è situata in una di queste colline, ai piedi del monte. A nord e a sud è delimitata da orti rigogliosi e fertili che producono frutta succosa e ortaggi saporiti e teneri. L’acqua scende dalle gole dell’Aspromonte limpida e fresca. Verso l’alto, i viottoli degli orti sono coperti da fitti pergolati di uva “olivella” e “ruggia”, così chiamata perché i chicchi, grossi come noci, hanno il colore della ruggine.

Nel 1983 esce il romanzo Il Muraglio. Cronaca di ieri. Prefatore del libro è Mario De Gaudio, giornalista originario di Cosenza che fu capo del servizio esteri e redattore capo del quotidiano romano “Il Messaggero”. Esperto di questioni sudamericane, seguì le vicende del colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile (1973) e fu il primo giornalista occidentale a raccogliere la testimonianza della moglie di Salvador Allende, fuoruscita dal Cile subito dopo la morte del marito. Poeta e scrittore, per diversi anni presidente del Centro studi “Corrado Alvaro” di Roma, nel presentare Il Muraglio, De Gaudio annota:

Nelle sue narrazioni, Nino Zucco, con l’una e con l’altra qualità di scrittore e di pittore, ha reinterpretato i protagonisti di una umanità meridionale cruda e pertinace. Figure d’altri tempi, ma moderne per il male di vivere che li circonda, per le angosce inespresse, ma presenti nella filosofia segnata da bibliche dannazioni. Figure che sembrano uscite da una tela, dove il nero incornicia volti di donne straziate da logoranti attese di morte [e qui la mente corre, necessariamente, al quadro “Donne di Mistra”, riprodotto nella copertina dei “Racconti di Mistra” e che fa da sfondo alla locandina della manifestazione odierna]. Ma innanzi questa morte c’è lo splendore di una natura percepita in lontananza e ferma davanti ad un destino ostinatamente chiuso alla gioia.

La sintesi del profilo biografico dei critici che hanno recensito i libri di Zucco avvalora la tesi di una collocazione tutt’altro che marginale dell’artista eufemiese negli ambienti intellettuali della Capitale. Per averne maggiore consapevolezza occorre però leggere il libro Incontri, pubblicato nel 1978.

Gli incontri in questione non si riferiscono ai rapporti di amicizia più significativi e intimi che Zucco coltivò con “la meglio gioventù” calabrese trasferitasi a Roma nella prima metà del Novecento: il compositore palmese Francesco Cilea, il pittore e scultore Michele Guerrisi (nato a Cittanova), lo scultore Alessandro Monteleone (originario di Taurianova), gli scrittori Corrado Alvaro (San Luca) e Leonida Repaci (Palmi).
Incontri presenta tutta una serie di protagonisti di rilevo del circuito artistico regionale, nazionale, ma anche internazionale (si pensi agli “incontri” con il direttore d’orchestra Leonard Bernstein e con il pittore Salvador Dalì) con i quali Zucco si relazionava, restituendo così al lettore l’atmosfera culturale che Zucco respirò.

Tra i corregionali, Raoul Maria De Angelis apprezzò molto Fuoco a Diambra. Giornalista, pittore e scultore, il romanzo più famoso dello scrittore nato a Terranova da Sibari è La peste a Urana (1943), che fu al centro di una querelle per le accuse di plagio rivolte ad Albert Camus, autore qualche anno dopo del capolavoro La peste. Significativo anche l’incontro con Antonio Piromalli (originario di Maropati), uno dei maggiori storici della letteratura italiana, autore dell’opera in due volumi La letteratura calabrese.

Zucco frequentò inoltre assiduamente lo scrittore, saggista e critico letterario Italo Borzi, uno dei massimi studiosi di Dante e Pirandello (presiedette l’Istituto di studi Pirandelliani), dei quali curò l’opera omnia per la casa editrice Newton Compton. L’artista eufemiese si recava a trovarlo presso la Fondazione Besso, dove Borzi leggeva e commentava magistralmente i canti della Divina Commedia.

Altra frequentazione capitolina, il critico letterario Giovanni Orioli, profondo conoscitore del poeta Giuseppe Gioacchino Belli, del quale curò la pubblicazione dello “Zibaldone”. Orioli presentò Fuoco a Diambra all’interno dello storico “Caffè Greco” di via Condotti e nella recensione redatta per la rivista “Nuova Antologia” inserì Nino Zucco tra gli eredi della scuola verista dell’Ottocento.
E poi Mario Dell’Arco (pseudonimo di Mario Fagiolo), architetto e poeta romano, con Pier Paolo Pasolini curatore per la casa editrice Guanda dell’antologia Poesia dialettale del Novecento (1952). In Incontri Zucco ricorda che Dell’Arco si affidava spesso alla sua “consulenza” per tradurre in lingua italiani i vocaboli più ostici del dialetto calabrese.

Infine, l’attore reggino Leopoldo Trieste, che collaborò con i più grandi registi cinematografici (Federico Fellini, Roberto Rossellini, Steno, Mario Monicelli, Dino Risi, Pietro Germi); il popolarissimo Mino Maccari, giornalista e scrittore, oltre che pittore e scultore; e tanti altri personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo.

L’incontro più importante fu però quello con Francesco Cilea, nelle cui vene scorreva un po’ di sangue eufemiese, dato che la nonna materna Rachele Parisi era nata a Sant’Eufemia, dove aveva contratto matrimonio, nel 1822, con il nonno del compositore (suo omonimo), un medico originario di Pentidattilo.

Zucco fu ospite assiduo della casa del compositore palmese, sia a Roma che a Varazze, in provincia di Savona, dove Cilea trascorse gli ultimi anni di vita. Un suo celebre quadro raffigura l’insigne musicista seduto al pianoforte della propria abitazione; un disegno a carboncino ne ritrae invece il volto sofferente, a pochi giorni dalla morte. Fu grazie alla sua opera di convincimento che la moglie di Cilea, inizialmente contraria, acconsentì di rilevare il calco del viso del marito, per realizzarne la maschera.

Nel 1981, a trent’anni dalla morte del maestro, Zucco diede alle stampe un devoto e affettuoso ricordo: Francesco Cilea. Ricordi e confidenze.

Queste brevi note bio-bibliografiche evidenziano lo spessore culturale di Nino Zucco. Con la realizzazione del convegno e con la collocazione di alcune sue opere nella pinacoteca comunale, Sant’Eufemia oggi rimedia agli errori del passato, anche se – purtroppo – è andata persa la possibilità di ricevere, a costo zero, una parte consistente del patrimonio pittorico di Zucco, che è finito a Palmi e che invece avrebbe potuto dare prestigio e bellezza a questo Palazzo municipale.
Per una comunità, è colpa grave non valorizzare i talenti dei propri figli. Spesso si discute su cosa fare per rendere migliore l’ambiente in cui si vive e ci si perde in discussioni sterili sui massimi sistemi. In realtà, non ci vuole molto. È sufficiente, ad esempio, una manifestazione come quella di oggi. Un’iniziativa che io considero il modo in cui Sant’Eufemia si riconcilia con la propria storia e una forma di risarcimento nei confronti di Nino Zucco.

Pertanto, mi auguro che in futuro si possano realizzare altre iniziative analoghe. Occorre incoraggiare tutti i tentativi di fare memoria, per soddisfare quel bisogno naturale di identificarsi in una storia collettiva e di sentirsi parte di un destino comune.

Sono convinto che sarà la bellezza della cultura a salvarci. Perché la capacità di fare, divulgare e apprezzare la cultura rende gli individui migliori e più vivibile la società nella quale essi operano.
Ringrazio quindi il sindaco Creazzo e l’amministrazione comunale e li esorto a continuare su questa strada: la strada della cultura; la strada della riscoperta delle nostre radici; la strada delle nostre piccole e grandi storie; la strada che ci è stata indicata da concittadini illustri come Nino Zucco.

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Incontro su Nino Zucco

Si terrà la mattina dell’8 aprile presso il Palazzo municipale l’evento che, tributando finalmente i giusti onori all’artista Nino Zucco, riappacifica Sant’Eufemia con un pezzo importante della propria storia.

Inutile nascondere la soddisfazione personale per avere sollevato la questione dell’oblìo ingiustamente caduto su Zucco (23 gennaio 2013).
Alle repliche su questo blog del figlio Antonello e del nipote don Giorgio Costantino (qui) era infatti seguita l’immediata presa di posizione dell’amministrazione comunale (qui), che ha accettato la donazione delle opere dell’artista eufemiese e si è messa in moto per realizzare la manifestazione di lunedì prossimo, in collaborazione con il Liceo scientifico “Enrico Fermi” e con l’Archivio di Stato di Reggio Calabria: l’inaugurazione della Pinacoteca comunale, destinata ad accogliere quadri di artisti eufemiesi e all’interno della quale una parete sarà dedicata alle opere di Nino Zucco, cui seguirà il convegno “Nino Zucco: pittore, scultore, scrittore, cantore della memoria eufemiese”.

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Una bella notizia

Ho ricevuto una email di Antonello Zucco che mi ha reso molto felice, nella quale mi comunica che l’amministrazione comunale ha approvato la delibera necessaria per potere accettare la donazione delle opere di Nino Zucco.
Ritengo che si tratti di una bella notizia, per due motivi: perché toglie dall’oblio un personaggio che dà lustro a Sant’Eufemia e perché essa è indice di attenzione e sensibilità nuove sul tema della cultura. [D. F.]

Egregio dottore,
La voglio informare che domenica sera mi ha telefonato il Sindaco di Sant’Eufemia comunicandomi che la Giunta del paese aveva approvato una delibera concernente la donazione delle opere di mio padre. Devo dire che sono contento che l’attuale amministrazione abbia preso in considerazione un suo cittadino che sicuramente ha reso onore al suo paese. Il Sindaco mi ha anche detto che ci sentiremo per stabilire una data per ricordare mio padre.
L’autorizzo fin da ora a pubblicare questa email sul suo blog.

Ringraziandola ancora le invio i miei più cordiali saluti nella certezza che presto potremo incontrarci a Sant’Eufemia.
Antonello Zucco

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La lettera di Monsignor Giorgio Costantino

Ritengo opportuno condividere con chi segue il blog l’email che ho trovato poco fa nella mia casella di posta elettronica, ovviamente dopo avere avuto il consenso dell’autore. Monsignor Giorgio Costantino, personaggio di primo piano della Chiesa calabrese, è eufemiese nonché nipote di Nino Zucco. Mi ha scritto a proposito dell’articolo pubblicato qualche giorno fa e il contenuto fa ben sperare sulla possibilità di organizzare qualcosa per ricordare degnamente questo nostro grande artista e letterato. Ho immediatamente contattato telefonicamente Monsignor Costantino e ci siamo ripromessi di risentirci ancora per cercare di realizzare qualcosa di interessante e utile. La nostra idea è quella di coinvolgere il liceo scientifico e l’amministrazione comunale. Speriamo bene.
[D.F.]

Ho letto con una certa sorpresa, ma con vero piacere e soddisfazione in Messaggi nella bottiglia: “Nessuno è profeta in patria: Nino Zucco”.
Sono il nipote, Mons. Giorgio Costantino, anch’io nato a S. Eufemia d’Aspromonte. Vorrei solo comunicarle che con mio cugino Antonello Zucco, figlio dell’artista, ci siamo recati al Comune di S. Eufemia mercoledì 16 gennaio, a parlare con il Sindaco per una eventuale donazione, allo stesso Comune, di alcune opere di pittura e scultura di Nino Zucco. Il Sindaco era fuori sede, ma ci siamo sentiti, tramite l’assessore ai lavori pubblici, per telefono. Il Sindaco insieme con il Vice Sindaco sono venuti a Reggio Calabria il giorno successivo nella mia parrocchia, dove con mio cugino abbiamo loro presentato la donazione che consiste in:

due calcografie della via Crucis di S. Sperato,

un busto dello scultore,

4 opere di pittura.

Mio cugino, inoltre, ha promesso di regalare le fotocopie di tutti i libri scritti dallo zio. Da parte mia ho delle cartelle con articoli e commenti sull’opera di Nino Zucco e un opuscolo che abbiamo pubblicato in occasione del centenario della nascita.

Con il Comune di Palmi siamo rimasti d’accordo che il 5 aprile 2013, in occasione della conclusione del venticinquesimo della morte, ci sarà a Palmi, nel salone Consiliare, una Solenne Commemorazione.

Sarebbe bello che qualche giorno prima si facesse anche a S. Eufemia.

Qualche anno addietro avevamo tentato di interessare l’Amministrazione Comunale di S. Eufemia d’Aspromonte a una eventuale donazione che sarebbe stata più ricca se qualcuno si fosse degnato di rispondere; mio cugino ha donato 20 delle opere di scultura e pittura alla Casa della Cultura di Palmi che gli ha dedicato uno spazio permanente nella sala dedicata a Michele Guerrisi.

Veramente “Nemo propheta in patria”.

Tuttavia siamo in attesa che il Sig. Sindaco e la Giunta facciano una delibera nella quale accettano la donazione e decidono di conservare le opere donate, in dignitosa collocazione, nella Casa Comunale.
Spero che l’entusiasmo suscitato in lei e nella signora Carmela possa contagiare tanti altri eufemiesi.
Con vera simpatia e stima,
Mons. Giorgio Costantino

E quella di Antonello Zucco

Un paio d’ore più tardi è arrivata anche l’email di Antonello Zucco, figlio dell’artista eufemiese. Tra le righe traspare una giustificata amarezza, ma confido sul fatto che Sant’Eufemia faccia ancora in tempo a porre rimedio alle gravi disattenzioni del passato. È il mio auspicio. [D. F.]

Avvertito da mio cugino Monsignor Giorgio Costantino ho letto quanto da Lei scritto riferito a mio padre Nino Zucco in “nemo propheta in patria” e La ringrazio vivamente per le parole e i giudizi che ha voluto esprimere nei confronti dell’artista Nino Zucco. Purtroppo è vero. “Nemo propheta in patria”. E mio padre non è stato particolarmente fortunato con il suo paese Sant’Eufemia d’Aspromonte che lui, invece, ha sempre amato e nel cui comune ha voluto essere sepolto. Infatti le sue spoglie sono a Sant’Eufemia nella tomba di famiglia, accanto al padre e alla madre e ad un fratello, perché ha voluto così perpetuare il suo attaccamento non solo alla terra d’origine, la Calabria, ma in particolar modo al suo paese natale.

Sant’Eufemia e la sua amministrazione hanno solo posto un suo profilo nel sito del comune, pure errato in origine, confondendo il nome della madre, mia nonna Rosina Lirosi di Sinopoli, con quello di mia madre Cinzia Massera, sua moglie, di Roma. Ho dovuto insistere più volte perché l’errore fosse rimosso. Anche da queste piccole cose si può notare la scarsa attenzione.

Ho più volte contattato le varie amministrazioni che si sono succedute nel tempo specificando che avrei fatto una donazione al comune natale di mio padre senza oneri, quindi, per il comune stesso, senza tuttavia aver alcuna risposta. Ultimamente ho riproposto al sindaco del paese la stessa donazione, ma aspetto ancora una risposta.

Ho trovato, invece, un’attenzione particolare da parte dell’amministrazione comunale di Palmi. Il sindaco dott. Barone e l’assessore alla cultura dott. Pace unitamente alla gentilissima dottoressa Mariarosa Garipoli responsabile della Casa della Cultura di Palmi, anche per l’interessamento affettuoso dell’amico professor Giuseppe Livoti, hanno tempestivamente accettato la donazione attraverso una delibera di giunta.
Ho anche letto con commozione il commento di Carmela…. e l’accenno a Caterina Iero, che evidentemente nei personaggi di Fuoco a Diambra e di Mistra hanno forse ritrovato echi e la memoria del tempo passato. Sono particolarmente grato a tutti Loro per questo riconoscimento all’opera di mio padre.
Con animo grato,

Antonello Zucco

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Nessuno è profeta in patria: Nino Zucco

Confesso che fino a un paio d’anni fa non sapevo chi fosse Nino Zucco (Sant’Eufemia, 1910 – Roma, 1987). Nessuno me ne aveva parlato e trovare i suoi libri è lavoro da segugi. Nella biblioteca comunale, aperta al pubblico da non più di dieci anni, credo se ne trovi uno solo: per gli altri, occorre rivolgersi altrove (Palmi, Polistena).

Trasferitosi a Genova a diciassette anni, Zucco lavorò come ebanista in una fabbrica di mobili e studiò da autodidatta. Dopo il servizio militare fece ritorno in Calabria, quindi ripartì alla volta di Roma, dove conseguì gli studi classici ed entrò in contatto con i massimi esponenti della cultura calabrese nella capitale: Leonida Repaci, Corrado Alvaro, Raul Maria De Angelis. Frequentò lo studio dello scultore Alessandro Monteleone e quello dello scultore e filosofo Michele Guerrisi, che commemorò in uno scritto del 1977 (Michele Guerrisi. Scultore, pittore e filosofo). Incontri (1978) è invece il quadro nitido del fermento culturale al quale Zucco partecipò e contiene i “ritratti” di importanti personalità calabresi, italiane e straniere conosciute a Roma: Leonard Bernstein, Salvator Dalì, Francesco Perri, Antonio Piromalli, Leopoldo Trieste, John Steinbeck e Domenico Rea, giusto per fare qualche nome. L’incontro più importante della vita di Zucco fu però quello con Francesco Cilea, che ritrasse al pianoforte in un celebre dipinto e del cui volto realizzò il calco in cera sul letto di morte (Francesco Cilea. Ricordi e confidenze, l’affettuoso e devoto ricordo edito nel 1981).

Zucco fu artista e intellettuale eclettico: giornalista, scrittore, pittore, scultore. Docente in diversi licei artistici (tra i quali il “Mattia Preti” di Reggio Calabria), ricoprì anche la cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti reggina. Realizzò bassorilievi in bronzo per la chiesa di San Sperato a Reggio Calabria e per il cimitero di Francavilla Marittima. Fu corrispondente per la “Gazzetta di Messina” e collaboratore per “La Voce di Calabria”, “Il Progresso Italo-Americano”, “Giustizia”, “Tribuna del Mezzogiorno”, “Airone”, “Auditorium”, “Nosside”, “Nuova Calabria”. Partecipò a importanti mostre: la “VII Quadriennale nazionale romana d’arte”, “L’arte nel Mezzogiorno d’Italia”, il premio nazionale di pittura “Marzotto”, la “Mostra d’Oltremare” di Napoli, il premio nazionale di pittura “Villa San Giovanni” e tante altre rassegne nazionali e internazionali. Il critico Arrigo Benedetti definì il suo libro di racconti Fuoco a Diambra (1956) “un tipico e genuino esempio di narrativa moderna”, mentre Domenico Zappone, recensendo I racconti di Mistra (1977), considerò: “c’è materia per un affresco grandioso degno di un grandissimo artista”.

Il centenario della nascita di Zucco era stato ricordato dall’associazione culturale “Le Muse” di Reggio Calabria (presieduta dal professore e critico d’arte Giuseppe Livoti) con il convegno Nel centenario della nascita: Nino Zucco, una vita per l’arte. E proprio oggi (ore 17), presso la Sala del consiglio comunale di Palmi, il figlio Antonello Zucco consegnerà ufficialmente al sindaco Giovanni Barone 18 opere del padre (taccuini, oggetti personali, acquarelli, grafiche, sculture), nell’ambito delle iniziative culturali organizzate dalla stessa associazione reggina per il 2012-2013.

A Sant’Eufemia, invece, non è mai stato fatto nulla. Mette tristezza constatare che il paese d’origine di una personalità così significativa nel panorama culturale nazionale non abbia pensato di perpetuarne il ricordo, anche soltanto conservandone i libri nella biblioteca comunale e affiggendo (almeno) una targa commemorativa in via Mistra, presso la fontana di Diambra o al Muraglio (Il Muraglio. Cronaca di ieri è il titolo del romanzo pubblicato nel 1983), i luoghi della memoria che hanno ispirato la produzione artistica di Zucco.

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